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Borse e mercati ancora all’insegna di Grecia e petrolio

Investitori concentrati anche sull’avvenimento clou della settimana: il board della Fed in programma da domani – La debolezza del petrolio continua a riflettersi sulle valute dei Paesi produttori – L’incertezza politica greca pesa sugli spread dell’europeriferia – Test per Generali e Unipol dopo il downgrade di S&P – Finale d’anno caldo per Telecom Italia.

Borse e mercati ancora all’insegna di Grecia e petrolio

Apertura all’insegna dell’incertezza delle Borse asiatiche. Pesa su Tokyo il pessimismo emerso dal Tankan, il superindice dell’economia, che ha azzerato l’effetto della vittoria elettorale di Shinzo Abe. Nel finale, però, i mercati hanno parzialmente corretto la rotta: il Nikkei, già sotto dell’1,9%, ha ridimensionato le perdite.

La debolezza del prezzo del petrolio, intanto, continua a riflettersi sulle valute dei Paesi produttori: il rublo, in calo del 9% la settimana scorsa, cade ai minimi storici nonostante l’aumento dei tassi; il real brasiliano scivola ai valori del 2005 (-7,2%) mentre il colosso petrolifero Petrobras arretra del 18%. In forte ribasso anche la rupia indonesiana (-2,8%). A condizionare la seduta anche un possibile episodio di terrorismo a Sidney.

Si profila un avvio contrastato anche per le Borse europee, già concentrate sull’avvenimento clou della settimana: il board della Federal Reserve in programma da domani. I mercati si presentano all’appuntamento in condizioni non ideali: più di mille miliardi di dollari sono stati bruciati nell’ultima settimana sotto la pressione del calo del greggio e dei timori di un tracollo dei listini emergenti.

E’ il conto che le Borse presentano alla Fed alla vigilia dell’ultimo meeting del 2014 della banca centrale Usa. L’attenzione è appesa al filo di poche parole: secondo le indiscrezioni il comunicato del Fomc potrebbe cancellare l’espressione “i tassi non saliranno per un tempo ragionevole”, ad anticipare il cambio di rotta sulla politica del costo del denaro. A favore di questa tesi depongono: a) la crescita dei consumi (+4,4% a novembre); b) l’andamento dell’occupazione; c) l’accordo sul budget federale per il 2015.

Ma negli ultimi giorni molte nubi si sono accumulate sui cieli dei mercati, novità che potrebbe consigliare un nuovo rinvio: l’inflazione, ai tempi del petrolio sotto i 60 dollari, non fa paura.

PETROLIO

“Il troppo di una cosa buona è splendido”, ebbe a dire Mae West, l’icona sexy del cinema anni Trenta. Forse non è così vero, a giudicare dal brusco calo dei mercati azionari, il peggiore dell’anno. Dal mese di giugno i prezzi del Wti sono scesi del 45%, toccando venerdì il livello di 61,73 dollari al barile (- 1,95 dollari rispetto alla vigilia). Il brent, a quota 57,72 (-2,23 dollari nella seduta) è ai livelli del maggio 2009. Stamane, in apertura, ci sono stati nuovi minimi (56,25 dollari al barile) prima di un robusto rimbalzo (+1,3%).

La discesa comporta senz’altro grossi benefici per la bolletta energetica dei consumatori (1.700 miliardi di dollari risparmiati, ma provoca effetti collaterali: calo dell’inflazione, caduta degli investimenti nel settore energia, rinnovata avversione al rischio. In sintesi, agli occhi degli operatosi, una nuova spinta verso la recessione. Di qui il passo indietro dei listini azionari: l’indice S&P è arretrato in settimana del 3,5%. In forte ribasso i listini europei. Fanalino di coda è Milano -7,4% davanti a Madrid -7% e Parigi (-7%), colpita nel finale dal downgrading del debito francese da parte di S&P. Pesanti anche Londra (-6,5%) e Francoforte (-4,8%). 

GRECIA/BTP

A complicare la partita sullo scacchiere europeo contribuisce la crisi politica greca. Il premier Antonis Samaras, dopo aver ottenuto una tregua di due mesi dalla trojka (Bce, Fmi, Ue) prima di definire il nuovo piano di aiuti (in cambio di sacrifici), ha anticipato il voto sul nuovo presidente della Repubblica. Entro il 29 dicembre, data del terzo scrutinio, il governo conta di raccogliere 180 voti a favore del suo candidato. Altrimenti saranno inevitabili le elezioni anticipate in cui potrebbe prevalere Alexis Tsipras, deciso a cancellare gli accordi con Bruxelles.

Anche questo spiega l’incremento dei rendimenti dei titoli dei Paesi della cosiddetta periferia dell’area euro: il rendimento del decennale è invariato al 2,05%, ma lo spread con il Bund si allarga a 144 (contro i 117 del 5 dicembre) perché il panico sui mercati finanziari spinge il denaro ancora una volta verso il titolo di Stato tedesco, il cui rendimento scende al nuovo minimo storico dello 0,62%.

Non è solo Atene la causa di tanta turbolenza: assieme ai Bund salgono anche i T bond Usa (il decennale è al2,08%) per via dei problemi degli emergenti, sotto pressione in vista di un possibile rialzo dei tassi americani e del tracollo del greggio: il Venezuela, in particolare, sembra vicino al default.

ENERGY, PER I PRIVATE E’ UN’OCCASIONE

Per Stephen Schwarzman di Blackstone e David Rubenstein di Carlyle la situazione è ottima: dopo la caduta dei prezzi, dicono, il settore energia “è la miglior opportunità di investimento degli ultimi anni”. L’indice S&P Energy è arretrato venerdì del 2,2%. Il calo, dall’inizio del 2014, è pari al 16,5%, il peggiore tra i dieci comparti del listino. Sia Exxon che Chevron sono ai minimi da 52 settimane.

Eni ha chiuso la settimana con un ribasso superiore al 10% sui nuovi minimi dal novembre 2011 a 13,77 euro. La major ha tolto Saipem dal mercato, affermando che “recentemente le condizioni di mercato sono divenute instabili e pertanto, pur confermando tale strategia, la valutazione delle opzioni è sospesa”.

Dagli inizi di ottobre a venerdì, il titolo della società oil equipment ha perso il 46% (ha chiuso a 8,68 euro) riportandosi sui livelli di fine 2004, indebolito dalla crisi che investe il settore ma anche dall’incertezza attorno al South Stream. 

Tenaris (venerdì -3,7%) è in calo del 35& da inizio ottobre. Tra le maggiori compagnie petrolifere Conoco Phillips ha già annunciato pesanti tagli agli investimenti e il mercato si aspetta che molte altre major cambieranno le loro strategie.

TEST PER GENERALI (ED UNIPOL) DOPO LO SCHIAFFO DI S&P

S&P ha decretato venerdì sera il downgrading delle Generali perché… italiana. La regola dell’agenzia di rating vuole, infatti, che una società non possa avere un giudizio di due notches superiore al rating Paese. Perciò, dopo la retrocessione del debito Italia, il Leone di Trieste è stato declassato da A- a BBB, nonostante il 70% del business avvenga fuori dai confini e che l’indicatore di Solvency 1, dopo la cessione di Bsi a settembre, sia salito al 169%. “Una regola insensata” ha tuonato Mario Greco, ceo della compagnia.

L’agenzia ha rivisto al ribasso il rating dell’intero comparto assicurativo italiano: Unipol Assicurazioni e Cattolica passano da BBB a BBB-, Allianz Italia, controllata del colosso tedesco, da A ad A-.

RESPIRANO MPS E CARIGE

Da seguire la reazione di Piazza Affari alla promozione di Mps (-2,31% venerdì) e Carige (+2,16%) all’esame d’appello della Bce. L’approvazione definitiva da parte del consiglio direttivo della Bce avverrà il giorno 18. Da quel momento scatterà il termine di 9 mesi per attuare i piani. Ovvero le misure individuate da Mps per raccogliere poco più di 3 miliardi, necessari per fra fonte a gap di capitale (2,1 miliardi) e restituire i Monti bond (un miliardo). La tabella di marcia di Siena prevede prima l’approvazione dei conti 2014, poi l’elezione del nuovo board. Infine, nel secondo trimestre il varo dell’aumento di capitale.

Domani si riunirà il cda di Carige: anche in questo caso l’aumento di capitale, già approvato, è previsto per il secondo trimestre.

TELECOM ITALIA

Finale d’anno caldo per l’ex incumbent delle tlc. La situazione brasiliana è in fase di stallo: l’assemblea di Portugal Telecom potrebbe bocciare la vendita ad Altice, complicando i piani di Oì. Non meno complessa la situazione sullo scacchiere italiano, dopo la manifestazione di interesse per Metroweb. Franco Bassanini, presidente di Cdp ha ribadito che il 46% detenuto tramite il Fondo strategico italiano non è in vendita. Al contrario, la Cdp è pronta ad aumentare la dotazione di capitale nella speranza che l’azionista di maggioranza, F2i con il 53% del capitale, concorra. All’operazione. Dal fondo si fa sapere che prima di prendere una decisione occorrerà valutare i piani industriali dei potenziali acquirenti (Vodafone, oltre a Telecom Italia). Non c’è alcuna fretta di vendere (F2i è in Metroweb da soli tre anni) o di cedere il controllo ad un singolo player: Telecom Italia, al contrario, intende rilevare il 51%. 

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