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Borsa, banche e titoli di Stato: che fare col nuovo Governo

Da “IL ROSSO E IL NERO” di ALESSANDRO FUGNOLI – I mercati non hanno un’anima sola ma sia Usa che Europa si guardano bene dal mettere in discussione l’euro – Sui nostri titoli di Stato “non ci sono rischi particolari all’orizzonte” – E in Borsa…..

Borsa, banche e titoli di Stato: che fare col nuovo Governo

Dice il globalista che i mercati e l’Europa ci stanno spiegando che così non va bene e che dobbiamo metterci in riga. Bisogna ascoltarli perché hanno ragione nel merito e perché ci finanziano.

Dice il sovranista che i mercati e l’Europa si sono impadroniti dell’Italia, prendendosi molto di più di quello che eravamo disposti a concedere. Dobbiamo fare il contrario di quello che ci chiedono perché gli interessi del dominante sono di segno opposto rispetto a quelli del dominato.

Tanto il globalista quanto il sovranista ipostatizzano i mercati, l’Europa e i poteri forti o fortissimi. Danno cioè loro un volto unico e un’identità definita. Per i globalisti questo volto è severo ma giusto, per i sovranisti è invece rapace e distruttivo.

Il dibattito tra globalisti e sovranisti è circoscritto all’Occidente. La Cina, il Giappone, la Russia o l’India sono ombre sullo sfondo, poteri astrattamente forti che non si rapportano politicamente o emotivamente a noi. Se comprano o vendono Btp lo fanno solo per diversificare o guadagnare e non hanno nessuna intenzione di ammonirci, aiutarci, punirci o dominarci. In questo senso coincidono con il mercato nella sua forma più pura e astratta.

In Occidente invece, in casa nostra, i soggetti esterni che influenzano il corso dei Btp in questo momento sono una pluralità che ha interessi talvolta divergenti. Non c’è un unico immenso Moloch con le idee chiare, ma un certo numero di Moloch grandi, medi e piccoli. E i Moloch si dividono in politici, finanziari e intermedi.

La politica, innanzitutto, cominciando da Washington. C’è qualcuno che tifa per la dissoluzione dell’euro o, per incominciare, per l’uscita dell’Italia? C’è Steve Bannon, l’anima in pena del trumpismo antemarcia che insieme a Farage agisce su un piano esclusivamente ideologico, e poco altro. Il trumpismo reale, quello della Sala Ovale, del Tesoro e del Dipartimento di Stato, vuole un’Italia che non dia problemi e che non viva sull’orlo della guerra civile, perché questo potrebbe portare a radicalizzazioni antisistema che rischierebbero di scivolare nell’anticapitalismo, nell’antiamericanismo, nel putinismo, nello chavismo. Per questo l’America si è dimostrata più aperta a cooptare gli uomini nuovi della politica italiana di quanto abbia fatto l’Europa.

In generale, Washington vede l’euro come uno strumento utile per tenere insieme l’Europa, un continente che, se balcanizzato, finirebbe spartito tra America Russia e Cina in modo disordinato e conflittuale (con il rischio grave di una saldatura russo-tedesca). Un’Europa che si tiene insieme, invece, continuerebbe a gravitare intorno all’America sulle questioni di fondo.

E poi non c’è solo la strategia, ma anche la contingenza. Un’Italia in crisi finanziaria nei prossimi mesi, decisivi per tentare di mantenere a novembre il controllo repubblicano sul Congresso, farebbe scendere anche Wall Street e rafforzerebbe troppo il dollaro in un momento in cui si vorrebbe proprio il contrario. Si può quindi concludere che, al di là di qualche tiepida apertura ideologica verso il populismo italiano, l’America trumpiana, in nome della Realpolitik, si adopererà per un governo che abbia una legittimazione popolare reale e che sia però sufficientemente addomesticato da non mettere in discussione l’euro.

In Europa bisogna cercare di capire lo stato d’animo della Germania, un paese meno solido di quello che appare, con una Merkel indebolita, Afd che ha superato la Spd nei sondaggi ed è ormai il secondo partito, la Cina a Stoccarda nel cuore dell’industria automobilistica, Trump che non dà tregua sui dazi (e ora sulle banche), l’immigrazione da integrare al costo già stanziato di 100 miliardi su cui Afd fa campagna capillare nei supermercati e nelle scuole. Un’Italia che dovesse lasciare l’euro e facesse schizzare quello che resta a 1.50 contro dollaro capiterebbe in un pessimo momento e costringerebbe la Bce a riprendere il Qe.

Le elites tedesche sanno che non si può tenere insieme l’Europa solo con la paura e sarebbero disposte a qualche concessione, ma i politici hanno ben chiaro che qualunque cedimento comporterebbe la non rielezione al Bundestag. L’Italia va quindi tenuta a bada energicamente, almeno in pubblico.

La Bce, dal canto suo, deve dosare bene lo spread, mettere paura ma evitare di portare i nostri tassi al livello di avvitamento irreversibile. Non, quindi, un livello sempre più alto, ma una volatilità elevata intorno a un punto medio. Quanto alla fine del Qe, per ora sarà sufficiente lasciare tutto nel vago.

Quanto ai Moloch intermedi, quelli che stanno a metà strada tra finanza e politica, ci riferiamo ad esempio ad alcuni grandi fondi americani. Alcuni sono politicizzati per vocazione, altri sono semplicemente così grandi da trattare da pari a pari con gli stati sovrani. In questi soggetti la posizione verso l’Italia è chiara e i flussi di  denaro in entrata o in uscita possono essere molto veloci, aggressivi e decisivi.

Nelle delicate partite che si giocheranno nelle prossime settimane tra Italia e mondo vedremo in azione pompieri e incendiari. La nostra impressione è che da entrambi i lati si cercherà di non superare la soglia di sicurezza. Chi lo farà, magari tra i fondi più corsari in vena di attacchi sanguinari, sarà richiamato all’ordine.

Un primo momento di paura è probabilmente in fase già discendente. Un secondo test sarà costituito dalle elezioni (se ci saranno) o dai primi atti concreti del nuovo governo. Se il governo sarà politico inizierà con atti simbolici e non si metterà subito a spendere grosse cifre. Il modello sarà Trump, nessuna promessa si rinnega, ma l’attuazione ha da essere costante ma graduale.

La discesa degli asset italiani sta già creando occasioni interessanti. Poiché queste occasioni sono diffuse, tanto vale essere selettivi. Sui titoli di stato non ci sono rischi particolari nell’orizzonte visibile e si può continuare a tenerli, possibilmente nella versione indicizzata all’inflazione, che copre dal remoto rischio di svalutazione e successivo aumento dei prezzi. Non ne compreremmo però altri se l’intento fosse speculativo.

Lo stesso vale per i titoli bancari. Concentreremmo quindi gli acquisti sugli esportatori grandi e piccoli. Non crediamo a una svalutazione (se ne è parlato così tanto che il tema si è quasi bruciato politicamente) ma se proprio ci dovesse essere gli esportatori ne trarrebbero immediato benficio.

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