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Borgonovi: cari economisti, non basta sognare. Il governo Monti e l’arte del cambiamento possibile

Molti degli opinionisti che chiedono al governo Monti di fare di più e meglio sembrano dimenticare il problema della fattibilità politica – Cambiare è più difficile che sognare – La sfera del possibile è fatta di contenuti, tempi e interlocutori – Monti deve destreggiarsi tra 5 interlocutori: l’Europa, i mercati, i partiti, i sindacati e l’opinione pubblica

Borgonovi: cari economisti, non basta sognare. Il governo Monti e l’arte del cambiamento possibile

La maggiore difficoltà e la più grande sfida che il Presidente del Consiglio Mario Monti e il suo governo “tecnico” devono affrontare non fanno riferimento tanto alla definizione delle politiche, quanto alla “gestione del cambiamento”. Si può tranquillamente pensare che il Premier e i suoi ministri conoscano bene i problemi, le politiche che potrebbero essere adottate per risolverli, i vantaggi, i rischi e i limiti di ognuna di esse. Non è sfuggita la sottile ma molto chiara ironia con cui nella conferenza stampa di fine anno Mario Monti ha ricordato che “penso di avere ancora qualche conoscenza di economia”.

Pertanto suscitano non poche perplessità gli articoli di coloro che ricordano i possibili (o probabili) effetti recessivi di una manovra in larga misura concentrata su aumenti della tassazione, che riducono il potere di acquisto di pensionati e lavoratori e che provocano l’aumento delle tariffe di elettricità, benzina, autostrade e altri servizi. Perplessità che aumentano quando alcuni di questi opinionisti criticano il governo perché non ha avuto il coraggio di “tagliare gli sprechi, i costi della politica, gli incentivi impropri alle imprese” per dare maggiore spazio ad interventi di sostegno alla crescita. Non perché tali osservazioni siano sbagliate nel merito, anche se alcune di esse sono figlie di una precisi orientamenti (o ideologie) di tipo economico e, in quanto tali, discutibili, ma perché sottovalutano il problema della fattibilità della accettabilità e fattibilità degli interventi.

Anche se tutti definiscono il nuovo governo come “tecnico”, esso opera comunque in un quadro “politico” poiché la sua esistenza dipende dalle maggioranze che dovrà ottenere in Parlamento, come si sforza ogni volta di sottolineare il Presidente del Consiglio. E non è nemmeno un “governo del Presidente”, anche se fortemente voluto e sostenuto da Giorgio Napolitano, poiché l’Italia non ha un sistema presidenziale. Un governo che, quindi, deve muoversi facendo proprio il principio secondo cui “la politica è l’arte del possibile”. I più cinici considerano la politica come “l’arte del creare illusioni” o “l’arte del mentire”, ma escludo che componenti di questo governo possano anche lontanamente pensare a questa chiave di lettura.

La sfera del possibile è composta da tre elementi: i contenuti, i tempi, gli interlocutori. Tutto sommato il primo elemento è paradossalmente il più semplice. Per ognuno dei grandi problemi che il governo si trova ad affrontare, è disponibile un largo spettro di possibili soluzioni. Ogni ministro conosce queste soluzioni con riferimento al proprio ambito di competenza e, inoltre, ben vengano tutti i contributi di studiosi, delle forze politiche, economiche e sociali degli opinionisti che servono ad aumentare lo spettro o ad approfondire le possibili implicazioni di ogni soluzione. Il governo ha già deciso in tema di pensioni, di tassazioni degli immobili e su molti altri aspetti del decreto “salva Italia”, dispone di almeno cinque proposte in tema di interventi sul mercato del lavoro e sta valutando numerose alternative di interventi per quanto riguarda il rilancio e il finanziamento degli investimenti in infrastrutture, la revisione della giustizia civile e del sistema giudiziario in senso più ampio, la vendita di parti del patrimonio a prezzi non stracciati, la liberalizzazione del settore dei servizi pubblici, della vendita di farmaci, delle professioni e sui molti altri fronti ancora aperti.

Già più difficile da affrontare è l’aspetto dei tempi. Come ha affermato Mario Monti nella conferenza di fine anno, sarebbe preferibile non parlare di una manovra in due tempi, il primo del rigore (“decreto salva Italia”) e il secondo dell’equità e della crescita (“decreti cresci Italia), ma di una successione di interventi del governo nei quali cambia il peso dei tre elementi. Senza voler essere giustificazionisti o essere considerati troppo filo governativi, occorre ricordare che non si poteva (e non si può) chiedere che il governo potesse dare una decisiva svolta al paese in poco più di un mese. Come dice il detto popolare, “la gattina frettolosa ha fatto i gattini ciechi o sordi”, quindi bene ha fatto il governo a evitare questo rischio e a non percorrere la via dell’illusionismo nei confronti del paese.

Mettere in sicurezza i conti pubblici, impegno che l’Italia aveva assunto nei confronti dell’Europa e che comunque è richiesto/imposto dai mercati finanziari, agendo prevalentemente sul taglio delle spese e non sui tributi, richiede tempo. Se si vogliono evitare i tagli lineari e adottare una politica di “spending review” occorre avere il tempo necessario per attuare una effettiva verifica della qualità della spesa. Oltretutto, politiche di “spending review” non possono essere affidate a commissioni o a consulenti esterni, ma possono essere attuate solo se si è in grado di ottenere il coinvolgimento degli apparati amministrativi e, quindi, se cambiano i metodi di amministrazione e le competenze dei Dirigenti e, in generale, dei pubblici dipendenti.  Recuperare alcuni miliardi tramite la cancellazione di incentivi impropri alle imprese, come suggerito da alcuni saccenti opinionisti, richiede il tempo necessario per raccogliere informazioni, o almeno elaborare in modo organico quelle esistenti, sulle complicazioni create dalla procedure, sulle imprese destinatarie, sui progetti finanziati, sui risultati ottenuti. Ognuno di noi conosce probabilmente casi più o meno clamorosi di incentivi impropri, ma le politiche non si fanno sui singoli casi o agendo su alcune normative senza tener conto dei collegamenti con altre normative o dell’esistenza di programmi già inviati o delle aspettative generate in imprese che utilizzano in modo efficiente e razionale certi incentivi. Occorre tempo per evitare revisioni che rischiano di “buttare il bambino insieme all’acqua sporca”. Definire e proporre riforme strutturali richiede tempo, se si vogliono evitare operazioni di semplice maquillage e se si vogliono creare le alleanze necessarie per superare le resistenze o gli ostacoli frapposti da coloro che vedono minacciati i propri privilegi, reali o presunti che siano.

Una tipica debolezza della cultura italiana, cui non sfuggono nemmeno molti di coloro che presumono di avere un approccio razionale ai problemi della politica economica, è quello di chiedere in tempi brevi la soluzione di problemi storici o strutturali, il che ha portato i governi degli ultimi decenni a privilegiare la logica dell’urgenza che ha prodotto ulteriori urgenze in una sequenza che fino ad ora non è stato possibile rompere. Si è sempre detto che l’Italia riesce a salvarsi, dando un “colpo di reni”, ogni volta che si trova sull’orlo del burrone, ma che non riesce mai ad allontanarsi dal precipizio. Per ritornare ad essere un “paese normale”, come molti auspicano, occorre anche prendersi il tempo giusto per affrontare i problemi complessi.

L’ultima parte della sfida che il governo Monti, come peraltro tutti i governi, si trova ad affrontare è quella di riuscire a decidere e operare pur in presenza del fuoco incrociato di diversi interlocutori. Gli interventi devono rassicurare l’Europa che, soprattutto per la spinta della Cancelliera Merkel, privilegia il rigore di bilancio, anche se proprio in questi giorni a livello di parlamento e commissione si è incominciato a dare maggior peso al tema della crescita. Altri interlocutori esterni sono i mercati finanziari, sarebbe meglio dire le persone che con le loro scelte formano i mercati finanziari. In questo caso si parla molto di fiducia di cui hanno bisogno i mercati, anche se per indurre i mercati a tenere maggiormente conto della solidità dell’economia italiana e non solo dell’ammontare del debito, sarebbero necessari messaggi che facciano percepire il rischio reale per chi continua a speculare. Un terzo interlocutore è costituito dai partiti che, da un lato, non possono assumersi la responsabilità di determinare la crisi, mentre dall’altro hanno già iniziato le grandi manovre in prospettiva elettorale. Un sistema politico molto più frammentato di quanto sarebbe lecito aspettarsi in presenza di un modello elettorale maggioritario, esprime continue fibrillazioni che non è facile interpretare. Un quarto interlocutore è costituito dai sindacati e dalle associazioni degli imprenditori che sono alla ricerca di un nuovo assetto delle reciproche relazioni. Gli interventi relativi alla disciplina del lavoro e alle misure per dare flessibilità al sistema delle imprese non sono agevoli di fronte ad un contesto di unità sindacale per lo meno instabile e di relazioni industriali da ripensare.

Il governo è chiamato non solo a trovare una posizione di equilibrio, ma anche ad adottare politiche capaci di favorire una evoluzione positiva di queste relazioni. Infine l’opinione pubblica nella quale, dopo l’elevato gradimento delle prime settimane, sembrano incominciare alcuni segnali di delusione. Più volte ho sentito dire da amici che il governo Monti avrebbe dovuto dimostrare maggiore coraggio e intervenire con maggiore decisione sulle situazioni di rendita, di privilegio e contro l’evasione e la corruzione, senza preoccuparsi troppo dei partiti. Sono posizioni in un certo senso qualunquiste, poiché molti di coloro che attribuiscono al governo la mancanza di coraggio e di rapidità decisionale sono gli stessi che giudicano vessatoria l’iniziativa dell’Agenzia delle Entrate a Cortina d’Ampezzo, che si oppongono alle liberalizzazioni degli orari dei negozi e che difendono privilegi sulla base del principio “esistono altri ancor più privilegiati”.

Gestire il cambiamento non significa fare i miracoli, cosa che neppure il più esperto dei tecnici ha imparato a fare, ma significa adottare provvedimenti che consentono alle cinque classi di interlocutori sopra ricordati di vedere il lato positivo rispetto alle proprie attese. E significa trovare i tempi giusti per ogni azione, né troppo brevi per evitare l’improvvisazione, né troppo lunghi poiché ciò condannerebbe all’immobilismo e, con esso, alla irreversibile recessione.

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