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Berta: “Fca-Psa, mossa difensiva ma di successo”

INTERVISTA A GIUSEPPE BERTA, docente di Storia economica alla Bocconi – “La fusione tra Fca e Psa è un’operazione necessaria, ma non facciamoci illusioni perché l’Europa, con la parziale eccezione della Germania, è destinata a subire il cambiamento più che a promuoverlo” – “Tavares è un manager all’altezza della sfida, ma il futuro sarà complicato”

Berta: “Fca-Psa, mossa difensiva ma di successo”

Un’operazione positiva. Anzi, necessaria. Ma non facciamoci illusioni: l’industria dell’auto, specie quella europea, deve prepararsi a vivere almeno un decennio difficile. Giuseppe Berta, storico dell’economia, appassionato cronista di un secolo e più di vicende di quella che è stata l’industria chiave dell’Italia del Novecento, applaude con distacco al matrimonio del secolo, ovvero la fusione tra due vecchie signore del mondo a quattro ruote, convolate a nozze dopo una lunga serie di ammiccamenti e di progetti sviluppati e poi accantonati in passato. Ma la fusione tra Fiat Chrysler e Peugeot oggi, spiega il docente della Bocconi, a suo tempo custode della memoria dell’archivio storico della casa torinese, non nasce da volontà di conquista, ma «è una mossa difensiva. Nonostante la forte impronta americana di Fiat Chrysler – dice Berta – l’operazione è frutto di due gruppi con una componente europea ben precisa, attenta agli equilibri nazionali e, più in generale, dell’industria europea».

La fusione premia, nei numeri, la componente Psa anche se a Parigi diversi azionisti protestano per il trattamento di favore riservato a Fca nella fusione tra eguali…

«Valuteremo nel tempo chi ci guadagna di più. Mi sembra, a giudicare dalla prima fase del processo di fusione, che finora le cose siano andate bene».

Carlos Tavares, il numero uno del gruppo, si sta comportamento un vero leader?

«Finora ha dimostrato un approccio all’altezza della fama: finezza di tratti, rispetto dei ruoli anche nei particolari, molta abilità nei passaggi più delicati. Tavares ha confermato nel suo approccio l’abilità già dimostrata in Opel. È un manager che sa fare le fusioni e sa agire di fronte a situazioni molto complesse. Il giudizio per ora non può che essere positivo. Poi si vedrà».

Non si rischia, insomma, un’operazione di rigetto.

«In realtà, aspetto non positivo, l’Italia ha rinunciato fin da quasi subito a un ruolo attivo nell’operazione. Il Paese è stato in pratica inerte, un protagonista mancato che non ha cercato di inserirsi nella dialettica dell’operazione. E questo vale soprattutto per le regioni del Nord, non solo il Piemonte, che pure dovrebbero essere consapevoli dell’importanza della partita che si sta per giocare».  

Perché questo limite?

«È l’effetto dello scompaginamento del quadro politico: manca una coscienza comune, un tessuto omogeneo. E questo non riguarda solo la politica: il mondo del business non è più in grado di esprimere una visione di sistema».

Ma l’operazione s’inserisce in un periodo di grandi trasformazioni: cambia il luogo di lavoro, ai tempi dell’elettrico. Per non parlare della componente ambientale.

«È vero, ma non facciamo illusioni. L’Europa, con la parziale eccezione della Germania che obbedisce a una sua logica industriale, è destinata più a subire il cambiamento che non a promuoverlo. È una realtà intermedia, che insegue il progresso, più che promuoverlo».

Non esagera?

«Negli ultimi dieci anni nella classifica delle top-ten si sono inserite sei società cinesi che prima non esistevano nemmeno. È inutile soffermarsi sui primati di Tesla. Non c’è un solo protagonista europeo della sfida dell’auto a guida autonoma, salvo qualche esperienza tedesca sviluppata grazie alla Silicon Valley. L’Europa dell’auto patisce il calo delle sue ambizioni globali. Ormai non è più la tecnologia che traina il cambiamento. Il ruolo da protagonista ormai lo ha assunto l’Asia, in competizione con i colossi del digitale Usa».

Povera Stellantis, se così stanno le cose.

«Bisogna distinguere tra il declino di un’industria strategica e le performance nel futuro di qualche protagonista. È possibile far profitti nel tempo anche se non si è un leader assoluto. Stellantis è al quarto posto nel mondo per volumi di vendita, un risultato importante apprezzato alle Borse per il dividendo, come si conviene ad un settore maturo, ma tutt’altro che da disprezzare. Nel futuro, però, per crescere bisogna pensare ad altro». 

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