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“Bentornato Stato, ma” di Giuliano Amato: le oscillazioni del pendolo in economia richiedono garanzie

Nell’agile volume “Bentornato Stato, ma”, edito da Il Mulino, il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato parla della fine dell’infatuazione liberista ma scava sui rischi insiti in un ritorno su vasta scala del ruolo dello Stato se non si eviteranno gli errori del passato

“Bentornato Stato, ma” di Giuliano Amato: le oscillazioni del pendolo in economia richiedono garanzie

Giuliano Amato, attualmente presidente della Corte Costituzionale, già presidente del Consiglio, ex presidente dell’Antitrust, ha attraversato da protagonista la storia d’Italia dagli anni settanta del secolo scorso. Conosce bene vizi e virtù del nostro paese, dei suoi politici, della classe dirigente in generale. Proprio per questo è di grande interesse l’agile volumetto che ha deciso di dare alle stampe e che si intitola “Bentornato Stato, ma” edito dal Mulino

In meno di cento pagine Giuliano Amato affronta il tema di fondo dell’economia e della politica attuali: la fine della infatuazione liberista, la crisi del mercato inteso come il miglior sistema che, autoregolandosi, risolve gli squilibri che dovessero manifestarsi, il ritorno degli Stati nazionali ad un ruolo molto più invasivo nell’economia e negli assetti sociali. 

Amato non nasconde i rischi insiti in un ritorno su vasta scala del ruolo dello Stato, ed anzi più volte nel corso del libro sottolinea i difetti e le distorsioni del passato, e l’attenzione che bisogna porre oggi affinché quei difetti non si possano riproporre, magari in forme non proprio analoghe a quelle di qualche decennio fa, prima che la rivoluzione liberista le spazzasse via. 

Copertina di “Bentornato Stato, ma”, Libro di Giuliano Amato edito da Il Mulino

Lo Stato ha superato i vecchi vizi

“Oggi – ci dice Giuliano Amato nel corso di una breve conversazione su temi così complessi – mi sento molto più tranquillo di 20 o 30 anni fa perché gli antidoti alla possibile prevaricazione dello Stato nei confronti del mercato, ci sono. 

L’emergenza sanitaria da un lato e l’innovazione tecnologica connessa all’urgenza ambientale, oltre naturalmente al riproporsi drammatico degli equilibri geopolitici, hanno rilanciato il ruolo del pubblico. E ciò ha riguardato sia il sostegno immediato alle imprese e ai cittadini costretti a rimanere chiusi in casa per l’emergenza sanitaria, sia il ruolo dello Stato come investitore di medio termine per superare la propensione della finanza privata a operare solo nel breve”. 

Le circostanze stanno spingendo i cittadini a chiedere aiuto e rassicurazione alle autorità.  E quelle che sono più vicine sono gli Stati nazionali che hanno le risorse e l’organizzazione per poter affrontare l’emergenza e nello stesso tempo porsi obiettivi a lungo termine, come quello della lotta ai cambiamenti climatici che richiede non solo risorse finanziarie ma anche la capacità di formulare politiche destinate ad influire nella vita quotidiana della totalità della popolazione. 

La corruzione dilagava, ma la concussione era più invasiva

L’esperienza passata dell’invadenza dello Stato nell’economia, ma si potrebbe dire in tutte le manifestazioni della società, non è stata delle più felici. Amato ricorda senza reticenze il fenomeno della corruzione e dice addirittura che “in quegli anni la corruzione era sempre più rara, perché arrivava prima la concussione”. “Nell’estate del ‘92 – mi racconta – da presidente del Consiglio si decise insieme al mio ministro del Lavori Pubblici Franco Merloni, figura di primo piano del nostro mondo imprenditoriale, di sospendere tutte le procedure di appalto. Quando, dopo un anno, completammo le procedure di riassegnazione, emerse un risparmio del 30% per lo Stato sul costo delle opere. Capii allora perché già da qualche tempo alcuni imprenditori, a cominciare da Cesare Romiti, venivano a dirmi che proprio non se ne poteva più. Che la situazione dei rapporti con i partiti era diventata insostenibile”. 

Visto che nel nostro prossimo futuro avremo uno Stato più presente, e considerando che certi vecchi vizi dell’intervento pubblico e quindi della gestione politica rivolta alla ricerca del consenso più che al perseguimento dell’interesse generale, possono considerarsi superati, chi ci garantisce che quei vizi non possano riproporsi in futuro, o magari possano essere sostituiti da altri difetti analoghi, o più gravi? 

È proprio questa la questione fondamentale intorno alla quale ruota la riflessione di Amato. La conclusione è che possiamo guardare al futuro se non proprio con ottimismo, almeno con una ragionevole speranza che si possa creare una integrazione virtuosa tra Stato e mercato. Uno Stato che tramite una maggiore trasparenza e anche grazie ad una più forte integrazione internazionale (per il nostro paese nella UE), ha ridotto i vecchi vizi , mentre abbiamo un sistema di imprese competitivo a livello internazionale, capace di guardare ad orizzonti più lunghi di quelli del profitto trimestrale. I partiti, che pure sono ancora troppo impegnati nella ricerca del consenso a breve termine, offrendo bonus alle più svariate categorie di cittadini e sostegni per lo più alle imprese piccole e marginali, sono tenuti a bada dai tecnici che occupano ruoli chiave nel Governo e nell’amministrazione. Draghi somministra bottiglioni di metadone, per sostenere il sistema dei partiti ed evitare bruschi sbandamenti.

Oggi dobbiamo affrontare problemi così gravi come la gestione della globalizzazione, la regolamentazione delle acque, l’uscita in tempi brevi dall’uso dei carburanti fossili che richiedono un ruolo dello Stato. Il rischio è che si determini una spinta verso l’accentramento delle decisioni, verso un governo forte, dotato di un adeguato apparato repressivo in grado di imporre determinati comportamenti, o sacrifici se necessario, ai cittadini. Oppure che si rimanga fedeli ad una società democratica capace di mobilitare le energie delle autonomie sia istituzionali che di mercato, per applicare quelle misure che si devono attuare tramite il consenso, l’adesione dei cittadini alle disposizioni delle autorità perché ritenute nell’interesse generale. 

Non cedere alla tentazione dell’uomo forte al comando

La sfida del futuro sarà tra autocrazie, erroneamente ritenute più efficienti, ma poi si è visto che un uomo solo al comando comporta rischi enormi per tutti, oppure tra democrazie “governanti”, ben diverse – dice Amato – da quelle che abbiamo avuto nel recente passato, e in cui centro e periferia dialogano su modelli di integrazione e non solo di contrapposizione basati sulla distribuzione a tutti i livelli di prebende e privilegi ai cittadini. 

Ormai abbiamo visto che ideologie assolutiste basate solo sul mercato o solo sullo Stato non possono funzionare. Dobbiamo trovare una nuova armonia capace di rendere le nostre democrazie in grado di affrontare le grandi sfide dei prossimi anni. 

La riflessione di Giuliano Amato stimola tutti noi a prendere rapidamente consapevolezza della situazione e dei rischi che corriamo. Certo la soluzione ancora non c’è, e tuttavia è evidente che possiamo dare il bentornato allo Stato solo a certe condizioni e solo se il sistema politico e i partiti sapranno offrire adeguate garanzie che non abuseranno del maggiore potere che verrà loro dall’ intermediazione della ricchezza e dalla possibilità di fissare le regole di funzionamento dei sistemi economici e sociali.

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