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Bentivogli, la Fim-Cisl e la rivoluzione copernicana del sindacato

Il leader dei metalmeccanici della Cisl ha gettato le basi al congresso della sua organizzazione per una vera rifondazione del sindacato italiano liquidando con coraggio i luoghi comuni e l’antagonismo fine a se stesso: dall’epoca della paura alla globalizzazione, dalle nuove tecnologie al reddito di cittadinanza – Il vero mestiere del sindacato oggi è il ritorno in fabbrica

Bentivogli, la Fim-Cisl e la rivoluzione copernicana del sindacato

Marco Bentivogli non è come Maurizio Landini. Il segretario generale della Fim-Cisl non ha l’enfasi oratoria vagamente logorroica del suo dirimpettaio della Fiom-Cgil. E’ una persona sobria e misurata, un po’ come lo sono i marchigiani (lui lo è d’adozione) dei quali Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia” diceva che erano “il paradigma dell’Italiano medio, prudente, riservato, buono e lavoratore”.

In poco meno di un’ora di relazione al congresso nazionale dei metalmeccanici della Cisl, Bentivogli ha rovesciato l’impostazione della Fiom e della Cgil (e forse anche quella della sua Cisl) e ha gettato le basi di una vera e propria rifondazione del sindacato italiano. Lo ha fatto, innanzitutto, sgombrando il campo dai cascami del “politicamente corretto” che hanno sino ad ora impedito al Sindacato di essere protagonista attivo del rinnovamento del paese.

Non è vero, ha detto Bentivogli scandendo bene le parole, che la nostra è l’epoca della paura. In realtà è l’epoca delle opportunità! Non è vero che la globalizzazione rappresenti il male assoluto. E’ vero invece che è un processo altamente positivo che ha avvicinato i popoli e che ha già tratto fuori dalla miseria più di due miliardi di uomini. Non è vero che l’innovazione tecnologica mette in pericolo il nostro futuro. Al contrario, l’innovazione rappresenta la leva principale dello sviluppo futuro. Non è vero, infine che l’automazione è destinata a cancellare il al lavoro. Serve, invece, ad eliminare quei lavori usuranti e ripetitivi che nessuno in realtà vorrebbe o dovrebbe più fare.

Bentivogli non ha neppure ceduto alle sirene di Piketty sulle diseguaglianze crescenti e non ha dato spazio alle teorie pauperistiche della decrescita felice (al contrario, ha vigorosamente difeso San Francesco dal tentativo sacrilego di Grillo di impadronirsene). Soprattutto, ha chiuso la porta all’idea del reddito di cittadinanza (il reddito bisogna contribuire a crearlo per poterlo distribuire) e ad ogni forma di assistenzialismo peloso. Sull’Europa è stato poi lapidario: è la nostra Patria! E, a scanso di equivoci, ha fatto suonare in sala l’Inno alla Gioia di Beethoven.

Può sembrare una esagerazione, ma Bentivogli, senza strafare e senza minacciare sfracelli, ha rimesso il sindacato con i piedi per terra. Ha liquidato tutte le ideologie che lo hanno appesantito e condizionato per ridare centralità all’uomo, alla persona, al lavoratore. Una rivoluzione copernicana. Di questa rivoluzione ha anche tracciato il percorso.

La prima necessità del Paese, ha detto Bentivogli, è quella di tornare a crescere e per farlo l’Italia deve investire. Deve investire nelle imprese e nelle opere pubbliche, ma anche e soprattutto nella formazione del capitale umano, nella scuola, e nella ricerca. Il lavoro, in tutte le sue forme, è il motore principale delle sviluppo ed è questa la ragione per la quale è indispensabile dare vita ad un sistema di relazioni industriali che sia davvero in grado di coinvolgere tutti i protagonisti dello sviluppo. Non si tratta per il sindacato di rivendicare nuovi diritti quanto piuttosto di assumersi delle responsabilità rispetto al futuro dell’azienda, come si è fatto alla Fiat di Pomigliano.

La vecchia rivendicazione dell’ “autonomia” dei lavoratori (dal padrone, dal capitalismo o dallo Stato) deve cedere il passo alla rivendicazione di un coinvolgimento positivo nella gestione del processo produttivo. Ritorna, in questa impostazione partecipativa della Fim, il progetto che fu di Adriano Olivetti dell’ impresa come “Comunità”, come luogo in cui il capitale e il lavoro, la cultura e la tecnica si fondevano per creare ricchezza e benessere per tutti. Non c’era in Olivetti un “oltre” (il socialismo) cui l’azione operaia doveva traguardarsi. C’era invece un processo economico e produttivo concretamente in atto da gestire insieme e nell’interesse di tutti. Il sogno di Olivetti si infranse contro il muro dell’ideologia (la quale, come diceva Marx, una volta che si impadronisce delle masse diventa una forza materiale) e contro l’antagonismo. Oggi si può e si deve riprendere quel cammino interrotto.

Accanto ad un sistema di relazioni industriali da costruire c’è anche un nuovo sistema di contrattazione da sperimentare. La vittoria della Fiat (vittoria di Marchionne, ma anche della Fim e della Uilm che ci hanno creduto) ha aperto la via ad un rovesciamento dell’approccio tradizionale. Il contratto nazionale resta, ma come cornice. I contenuti concreti debbono essere sempre di più definiti attraverso la contrattazione articolata, aziendale e territoriale. E’ questa la via per legare il salario alla produttività e per superare le rigidità del mercato del lavoro.

Bentivogli non ha parlato dell’economia in generale e non ha fatto riferimento alla politica del Governo, se non per esprimere un apprezzamento per l’impegno del ministro Calenda. Non si tratta di una dimenticanza ma di una precisa scelta di campo. La concertazione, nel bene come nel male, è finita. La strada da imboccare è oggi un’altra. E’ quella del “ritorno in fabbrica”: di ricollocare cioè il sindacato nel cuore del processo produttivo. Questa è la sua missione o, se si preferisce, il suo mestiere. Non è una “diminutio”, tutt’altro. Lungo questa via il sindacato potrà recuperare il ruolo che gli compete nella società italiana. La Fim di Bentivogli si è messa in marcia. L’augurio è che presto a seguirla siano anche tutti gli altri sindacati. Auguri.

Clicca qui per leggere il testo integrale della relazione di Marco Bentivogli al congresso della Fim Cisl.

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