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Bentivogli (Fim-Cisl): “Di Maio, scopri le carte sull’Ilva”

INTERVISTA a MARCO BENTIVOGLI, segretario generale della Fim-Cisl – “Nella vertenza Ilva sono in gioco 20 mila posti di lavoro e l’1% del Pil” ma finora il Governo è parso sottovalutare l’importanza della posta in palio – Nell’incontro promosso per lunedì da Di Maio sull’occupazione si aprirà una nuova partita? Si vedrà, ma quel che è certo è l’Italia non ha bisogno della “decrescita felice” ed è ora che il Governo lo capisca.

Sull’Ilva si sta finalmente aprendo una nuova partita? Lo sapremo lunedì. Finora i segnali che sono arrivati dal Governo non sono stati incoraggianti e i tre commissari del gruppo siderurgico hanno detto chiaro e tondo in Senato che a settembre la cassa finirà e che entro l’anno serviranno altri 132 milioni di euro per salvare il più grande impianto d’acciaio d’Europa. Ma a sorpresa il ministro Luigi Di Maio, dopo l’inconcludente incontro di lunedì scorso, ha convocato per il prossimo lunedì un nuovo incontro con le parti sociali per affrontare il nodo dell’occupazione da cui dipendono le chances di un’intesa finale oppure no sul futuro dell’Ilva. Ecco come – in questa intervista rilasciata a FIRSTonline – vede il caso Ilva il segretario generale dei metlameccanici della Cisl, Marco Bentivogli, il più consapevole dei sindacalisti sull’importanza della posta in gioco sia per i lavoratori che per l’industria italiana e per la credibilità stessa del Paese.

Bentivogli, Lei ha definito l’incontro di lunedì scorso con il ministro dello Sviluppo Economico Di Maio sull’Ilva come un “inconcludente happening estivo” mentre le nubi che incombono sul futuro del più grande gruppo siderurgico italiano crescono di giorno in giorno su più fronti: realisticamente, c’è ancora la possibilità – e come ? – di evitare il più grande disastro industriale del Paese e di rilanciare l’Ilva entro la fine dell’anno?

“Un incontro di due ore con 62 associazioni e quattro componenti per associazione come quello di lunedì scorso che cos’altro poteva essere? C’è stato un minuto a testa per porre domande, tra l’altro solo per ricevere chiarimenti di carattere tecnico rispetto all’addendum presentato dall’azienda. Francamente mi sembra una modalità finalizzata solo a perdere tempo. Il metodo del confronto dovrebbe essere una cosa più seria. La decisione di allungare il commissariamento fino al 15 settembre è stata un errore, si continuano a perdere 30 milioni di euro al mese e le ditte dell’appalto stanno licenziando. Non solo, lo stabilimento diventa ogni giorno che passa meno sicuro per la salute e l’incolumità dei lavoratori, che sono costretti a ricucirsi le imbragature per conto proprio. Anche la tutela dell’ambiente viene penalizzata dell’allungamento dei tempi, mentre sul piano industriale si perdono competitività e quote di mercato. Tutto ciò avviene in un momento in cui l’industria italiana, in particolare quella del settore metalmeccanico, che contribuisce per oltre la metà all’export del nostro Paese, è costretta ad importare acciaio, per lo più dalla Germania. Il Ministro Di Maio continua a muoversi come se fosse in campagna elettorale, ma non si può continuare a giocare. Il tempo in questa vertenza non è una variabile indipendente: se la gara presenta vizi gravi e se ci sono gli estremi la annulli, ma non rinvii ulteriormente la decisione. Vedremo ora che succederà nell’incontro di lunedì prossimo”

Come valuta le nuove proposte avanzate da ArcelorMittal sul piano ambientale e quali sono le distanze che ancora separano sul piano occupazionale il gruppo indiano dalle richieste dei sindacati? 

“Alcune parti del piano ambientale, come la copertura dei parchi minerari, erano già partite e si completeranno in anticipo grazie al lavoro del tavolo sindacale. Sull’addendum presentato lunedì 30 luglio abbiamo appreso la volontà di anticipare di qualche mese i tempi di realizzazione del piano ambientale, come previsto tuttavia nella vecchia AIA del 2012. In sostanza, poco di nuovo. Noi comunque riteniamo che piano ambientale e piano industriale/occupazionale debbano viaggiare in parallelo. Ci sono ancora dei nodi da sciogliere sull’occupazione, in particolare sul numero di esuberi, 4.000 per ArcelorMittal. Questo sarà il compito del tavolo sindacale, il nostro obiettivo resta quello di trovare una soluzione occupazionale per tutti i dipendenti del Gruppo ILVA e preservare l’indotto: il negoziato sindacale aveva comunque avvicinato le posizioni”.

Un accordo tra azienda e sindacati potrebbe rappresentare una spinta importante anche per il Governo a concludere la partita trovando un’intesa con tutte le parti in causa ma quanto è realistico uno scenario del genere?

“Di accordi sindacali come quello che stiamo discutendo con ArcelorMittal ne abbiamo fatti a decine in questi anni di crisi. Certo, ci sono ancora ostacoli da superare ma non sono insormontabili. Bisogna però invertire l’ordine: prima il Ministro chiarisca che cosa vuole fare, poi si fa l’accordo sindacale. Se c’è chiarezza l’intesa si troverà”.

In realtà le mosse del ministro Di Maio sull’Ilva fanno dubitare che il Governo voglia realmente raggiungere in tempi brevi un accordo con azienda e sindacati che metta in sicurezza l’Ilva e ponga le basi del suo rilancio, ma se malauguratamente si arrivasse alla chiusura di Taranto quale sarebbe il conto che l’Italia si troverebbe a pagare in termini occupazionali e industriali?

“Ad oggi tutto lascia intendere che si vada alla ricerca di pretesti per annullare la gara. Deve essere chiaro che le conseguenze di un eventuale annullamento sarebbero devastanti, innanzitutto per i lavoratori e il Sud d’Italia. Ricordo che l’Ilva dà lavoro, tra diretti e indiretti, a 20 mila persone e genera qualcosa come l’1% del Pil nazionale. Poi ci sarebbero da calcolare i danni economici e di credibilità di un Paese che al cambio di Governo rimette in discussione gli impegni presi. Arcelor Mittal non aspetta altro e pagare eventuali contenziosi con i soldi dei contribuenti non mi pare proprio geniale. Di Maio ha in mano due Ministeri importanti: o capisce che si coinvolge e si ascolta tutti, magari in base alla rappresentatività, ma poi è lui che deve decidere o continua a cercare qualcuno che si prenda le sue responsabilità, rendendo inutile il suo ruolo. Governare con il 100% di consensi sulla propria azione è possibile: se non si fa nulla. Ma così ambiente, occupazione e industria vanno a rotoli e noi non lo consentiremo”.

Tra gli ondeggiamenti e le dilazioni sull’Ilva e il no allaTav e al Tap sembra delinearsi un filo rosso nella strategia del Governo che esprime la propensione alla cosiddetta “decrescita felice”: il sindacato ne è consapevole? Non crede che fin da settembre il sindacato dovrebbe alzare il tiro sul terreno industriale ed occupazionale e proporre una mobilitazione generale per salvare l’Ilva ma anche i progetti infrastrutturali avviati da tempo? 

“Sull’Ilva è chiaro che non staremo a guardare: ci sono 20mila posti a rischio, la nostra reazione in caso non ci fossero risposte concrete sul futuro prima della data di scadenza del commissariamento, prevista per il 15 settembre, non si farà attendere. La decrescita non è mai felice, semmai è fonte di malessere diffuso e povertà. I risultati del nostro paese dal dopoguerra ad oggi sono stati possibili grazie alla  crescita industriale, che ha portato un benessere diffuso. L’Italia è passata in pochi decenni da essere un’economia esclusivamente agricola e artigianale, con grandi sacche di miseria e diseguaglianze, a  potenza industriale,  tra le prime 10 economie al mondo. Il 52% dell’export italiano è metalmeccanico, possiamo mai permetterci un Governo anti-industriale? Tutto questo oggi si dà troppo spesso per scontato, insieme ai benefici che la crescita economica, non la decrescita, ha portato: assistenza sociale, sanità per tutti, pensioni, scuola, ecc. Oggi esistono sicuramente nuove diseguaglianze che vanno riequilibrate. Per farlo, però, serve  maggiore crescita per recuperare il gap con gli altri grandi paesi industriali. Siamo infatti alla vigilia della 4a rivoluzione industriale: chi saprà cogliere prima e meglio le opportunità ne otterrà  anche i benefici, ma bisogna creare le condizioni  investendo sulle infrastrutture materiali e immateriali. A tutto questo va affiancato un lavoro di carattere culturale . Dobbiamo ripensare la  formazione e la scuola perché  i nostri ragazzi che frequentano le scuole elementari per il 65% faranno lavori che oggi nemmeno esistono. Lo ribadisco: quando Di Maio vorrà governare davvero, noi non ci sottrarremo mai dalle nostre responsabilità, ma lo scaricabarile non è governare ma dare il colpo di grazia al Paese”.

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