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Barbie è un film femminista, cripto-conservatore o una via di mezzo? Se lo chiede anche il New York Times

Barbie è veramente un film femminista? O piuttosto è il contrario? Se lo chiede l’opinionista del New York Times Ross Douthat. Ecco la risposta che si dà

Barbie è un film femminista, cripto-conservatore o una via di mezzo? Se lo chiede anche il New York Times

Generalmente il pubblico di orientamento conservatore ha accolto Barbie, il film della coppia Greta Gerwich e Noah Baumbach due degli autori più originali del cinema attuale, con fastidio e anche con un certo furore. Si sono anche visti roghi della bambola Barbie su You Tube. 

Barbie non è neanche un’icona dell’opposta e detestata sponda liberal. Tutt’altro. Hilary Mantel, la scrittrice inglese del ciclo dei Tudor due volte vincitrice del prestigioso Booker Prize recentemente mancata, nel 2013 non ha indugiato a definire Kate Middleton, la principessa del Galles, una “Barbie”, cioè un “manichino di plastica”. In effetti la Middleton dopo l’uscita del film ha iniziato a mostrarsi in occasioni ufficiali con mise rosa cipria su tacchi a spillo. 

In Cina, seppur proiettato in poche sale per via del contingentamento dei film stranieri, il film ha ricevuto un’attenzione rimarchevole e dato luogo a una “Barbie mini mania”. Le autorità cinesi che non hanno molta simpatia per i temi di genere, intuendo una possibile lettura del cinema in quella chiave, ha spostato l’accento del messaggio della pellicola sul femminile, piuttosto che sul femminista. I cinesi infatti considerano il femminismo un complotto occidentale per indebolire la coesione sociale dello Stato cinese.

In Cina il film è uscito con un sottotitolo che potrebbe suonare in italiano come “femminilismo” e in inglese come “women-ism”. Cioè qualcosa che ha ben poco a che vedere con i diritti delle donne.

Ma Barbie è veramente un film femminista? O piuttosto è il contrario?

È quello che si domanda uno dei più accreditati opinionisti del “New York Times”, Ross Douthat, di orientamento conservatore e come dice lui “critico cinematografico a tempo perso”. 

È molto interessante quello che scrive. Lo riportiamo di seguito in traduzione italiana. Chi ha visto già il film può proseguire senza problemi, chi lo deve vedere sappia che si imbatterà in vari spoiler.

Attenzione: d’ora in avanti ci sono spoiler importanti!

La domanda del New York Times

Il film di Greta Gerwig è indiscutibilmente femminista, cripto-conservatore o una via di mezzo? Si chiede Douthat.

La lettura più semplice, risponde, è “femminista”. Il film ritrae una bambolopoli in cui le Barbie occupano tutti i posti di lavoro e le cariche più importanti (con i loro Kens come testimonial). Qui vediamo che tutti i problemi delle donne sono spariti. Anche la Corte Suprema è composta da sole donne, per chi vuol afferrare l’antifona.

Vediamo anche che nel mondo reale la situazione è ben altra. Nella Los Angeles contemporanea il sessismo esiste ancora, il patriarcato è abilmente mascherato ma imperante, che le ragazze detestano le bambole oche come la Barbie. Quest’ultima scopre tale situazione del mondo reale quando vi si reca su consiglio della “Barbie stramba (Bad Barbie)” – accompagnato da un imbucato Ken – per capire la ragione per la quale i suoi piedi sono diventati piatti e ha pensieri di morte. 

Inoltre a Los Angeles Barbie scopre che il consiglio di amministrazione della Mattel è sì convintamente “femminista”, ma composto da soli uomini, peraltro idioti, e che non c’è mai stato una donna a presiederlo. Alla fine le donne devono fare tutto quello che gli viene chiesto per un misero compenso.

Questa presa di coscienza della reale condizione femminile culmina in un lungo monologo di una dipendente della Mattel nel quale è abbastanza facile intravedere il manifesto politico del movimento MeToo. 

Se a tutto questo si aggiunge il fatto che Ken (Ryan Gosling) si invaghisce del sogno del patriarcato e organizza un putsch macho a Barbieland, come si può scrivere che in “Barbie” ci siano “temi conservatori, antifemministi, a favore della famiglia tradizionale e della maternità”, come fa il commentatore politico di orientamento moderato, Michael Knowles del Daily Wire.

Dal dispotico al reale

In parte, lo spirito conservatore è stuzzicato dal puro divertimento che viene dall’interpretazione di Gosling, che rende il risveglio maschilista di Ken abbastanza piacevole e anche liberatorio per gli spettatori di genere maschile, affezionati a un certo modo di pensare. 

In realtà alcuni dei temi conservatori sono effettivamente presenti nel film. Barbieland è un’utopia femminista che sembra fondamentalmente distopica: plastica, denaturata, dove la morte è negata. Negazione che si estende all’amore, alla procreazione, alla maternità. 

Infatti nel mondo in cui vivono le Barbie non c’è posto per la gravidanza e la famiglia. È un mondo totalmente e felicemente asessuato.

Il film rappresenta la rivoluzione keniana in modo parodistico, caricaturale. Proprio per il suo carattere farsesco espresso dall’abbigliamento di Ken, dell’elevazione del cavallo a nuovo emblema di Barbieland, nello spettatore cresce il pathos, le simpatia per Ken e la consapevolezza che stia facendo tutto questo sconquasso solo per impressionare Barbie e farsi accettare come fidanzato. Del resto a cosa servono gli uomini nel paesaggio post rivoluzione sessuale se non per farsi accogliere dalle donne? 

Anche la reazione restauratrice delle Barbie al coup dei Kens è parte della parabola “umanizzante” della Barbie stereotipata. Si compie infatti, anche con la scoperta della sua vera natura, un progressivo allontanamento dalla visione distopica di puro e inappellabile dominio femminista per tornare alla femminilità che è parte del mondo reale con tutti i suoi residui patriarcali, fino alla possibilità della maternità.

Un film sostanzialmente femminista

Douthat si dice convinto che questa interpretazione di Knowles e dei critici conservatori contenga un errore. Quello di considerare questo materiale come una solida alternativa agli aspetti del film che ripropongono argomenti liberal e femministi. 

Barbie è un film sì con una evidente impostazione femminista, ma anche con aspetti complicati e talvolta confusi su ciò che la rivoluzione sessuale ha aperto e su dove il femminismo dovrebbe andare.

È contro il patriarcato resiliente, ma diffida dell’alternativa matriarcale. 

Vuole la femminilità e la maternità, ma non vuole che i Kens tornino a comandare. Non sa bene quale ruolo si debba assegnare agli uomini. Un uomo può letteralmente organizzare una rivoluzione, però questo non basta a far sì che Barbie lo veda come amante, partner, oggetto erotico, marito o padre.

E così il film si conclude – ancora una volta un grosso spoiler – con Barbie fuori da Barbieland ma da sola, con una voglia di maternità. La vediamo dal ginecologo circondata da una squadra di cheerleader, ma con nessun Ken in vista.

Sia Barbie che Ken

“La mia posizione ufficiale di scrittore e critico cinematografico part-time – scrive Douthat – è che i sequel sono una cattiva idea, che un film originale di grande successo dovrebbe stare in piedi da solo piuttosto che essere inserito nella macchina dei franchise di Hollywood. 

Ma nel caso di Barbie potrei fare un’eccezione, se non altro per vedere cosa pensano la Gerwig e il suo co-sceneggiatore e partner, Noah Baumbach, di far incontrare le loro Barbie e il loro Ken.

Nel film che hanno realizzato, “Barbie e Ken” sono una dichiarazione di dominio femminile e di eclissi maschile. 

Ma in realtà, per la felicità di entrambi i generi e per il futuro della razza umana – conclude Douthat” – non c’è nulla di così importante come la possibilità che Barbie e Ken riescano a trasformare quella “e” in qualcosa di reciproco e costruttivo: un ponte, un legame, un matrimonio.

Fonti:

Ross Douthat, Why Barbie and Ken Need Each Other, The New York Times, 9 agosto 2023

Vivian Wang, Siyi ZhaoWhy, ‘Barbie’ Became a Sleeper Hit in China, The New York Times, 6 agosto 2023

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