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Banche: antiriciclaggio, stretta per i correntisti

Le nuove norme antiriciclaggio prevedono che i titolare di conti correnti forniscano alle banche ulteriori informazioni rispetto a quelle fornite nella fase di accertamento iniziale, al fine di verificare la possibilità di attività di riciclaggio – I correntisti che non forniranno queste informazioni entro la fine dell’anno saranno segnalati alle autorità.

Banche: antiriciclaggio, stretta per i correntisti

L’antiriciclaggio stringe le sue viti sui correntisti bancari. Se entro la fine dell’anno non forniranno ai propri istituti le informazioni che le medesime banche sollecitano, si vedranno prima bloccare ogni operazione e poi addirittura chiudere il conto e venire segnalati alle autorità e organi di vigilanza. Sono le conseguenze del decreto legislativo n.231 del 2007 in tema di prevenzione del fenomeno del riciclaggio e finanziamento al terrorismo.

In queste settimane ai titolari di conti correnti bancari sta arrivando, da parte della propria banca, una lettera in cui si sollecita la fornitura di “informazioni ulteriori rispetto a quelle già fornite in fase di accertamento iniziale”. Si tratta di “un preciso obbligo normativo” da parte delle banche, alla luce appunto di quel decreto legislativo. Questa normativa disciplina obblighi, responsabilità, strumenti, attività, attori e tempi per consentire agli intermediari finanziari (e non solo) di valutare correttamente l’operatività della propria clientela e individuare eventuali comportamenti non coerenti rispetto alle informazioni in possesso della banca, che possono far sospettare attività di riciclaggio. Il decreto prevede l’immediata acquisizione delle informazioni per i nuovi clienti, mentre per quelli già in essere l’integrazione delle informazioni già in possesso della banca era prevista in tempi più diluiti. Le banche hanno proceduto negli anni a contattare prima di tutto i clienti che presentavano profili più critici o con comportamenti economici più rilevanti, per completare poi  l’adeguata verifica della clientela con riguardo ai clienti che presentano profili meno rischiosi.

Ma a quali ulteriori informazioni si riferiscono gli istituti di credito? E come si rapportano queste informazioni con la tutela dei dati personali? E’ la Banca d’Italia a puntualizzare, con le disposizioni attuative del citato decreto emanate lo scorso aprile, le “ulteriori informazioni da acquisire” oltre ai dati anagrafici, ovviamente: “l’origine dei fondi utilizzati nel rapporto, le relazioni d’affari e i rapporti con altri destinatari, la situazione economica (fonti di reddito) e patrimoniali, la situazione lavorativa, economica e patrimoniale di familiari e conviventi”. La circolare di Bankitalia aggiunge che “oltre ai documenti sopra indicati, possono essere acquisiti bilanci, dichiarazioni Iva e dei redditi, documenti e dichiarazioni provenienti dal datore di lavoro, da intermediari o altri soggetti”. E questo quando le stesse banche “rilevino, secondo un approccio in base al rischio, elementi che potrebbero configurare un elevato rischio di riciclaggio”.

Da parte delle banche c’è l’assicurazione che le informazioni raccolte non debbono e non possono essere diffuse in base al rispetto degli obblighi di riservatezza ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 30 giugno 2003, in materia di protezione dei dati personali. Ma- viene poi puntualizzato- possono essere comunicate ad Autorità e Organi di Vigilanza e Controllo, nei casi previsti dalla legge.

Ma che succede in caso di posizioni non regolarizzate per impossibilità di contattare il cliente o per volontà dello stesso di non fornire le informazioni richieste? In base a quanto prevede il decreto antiriciclaggio, dal 1° gennaio 2014 la banca sarà obbligata ad astenersi dall’eseguire ulteriori operazioni richieste, a revocare l’eventuale convenzione di assegno e , infine a chiudere i rapporti contrattuali. In tale circostanza, è previsto che le disponibilità del cliente siano trasferite presso un’altra banca indicata dal cliente stesso e che la causale del bonifico riporti il riferimento all’impossibilità di adempiere agli obblighi di adeguata verifica.

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