Sembra ancora di sentirle le campane stonate dell’italianità che risuonavano nella campagna elettorale di cinque anni fa nella quale Silvio Berlusconi – ringalluzzito dall’incredibile assist della Cgil che aveva bocciato le nozze con Air France – fece dell’Alitalia tricolore uno dei suoi punti di forza. Berlusconi vinse le elezioni e chiamò una cordata italiana di “capitani coraggiosi” guidata da Roberto Colaninno e da Corrado Passera a salvare l’Alitalia. Dopo la demenziale bocciatura del matrimonio tra Alitalia e Air France, provocata dalla Cgil e cavalcata da Berlusconi, la cordata italiana era l’ultima alternativa al fallimento. Ma il miracolo del rilancio è sempre rimasto una chimera e in Alitalia le cose non sono mai andate come i nuovi soci speravano: la spietata concorrenza dell’Alta Velocità, l’inasprirsi della recessione, il caro petrolio e, da ultimo, la fine del monopolio di Alitalia sulla redditizia tratta Roma-Milano hanno mandato a carte e quarantotto tutti i piani di rinascita.
Ora non resta che raccogliere i cocci. Domani il consiglio d’amministrazione di Alitalia approverà il progetto di bilancio del 2012 che, malgrado alcune operazioni cosmetiche, evidenzierà conti in profondo rosso e un deficit gestionale di oltre 200 milioni. La conseguenza sarà il cambio della guida e la traumatica cacciata dopo un solo anno dell’ad Andrea Ragnetti. Ma, al di là delle preoccupazioni sul bilancio, è la rissa continua tra i soci e il buio pesto sulle strategie che allarma.
Prima o poi sarà inevitabile che Air France si presenti al tavolo da vincitore e faccia un’offerta al ribasso per assorbire l’intera compagnia che dieci anni fa – se non si fossero messi di traverso il corporativismo dei sindacati (Anpac e Cobas prima e Cgil dopo) e la miopia dei politici (An in testa) – avrebbe potuto negoziare un’alleanza vantaggiosa con i francesi, come aveva cercato di fare Francesco Mengozzi, l’unico ad che riuscì a riportare in attivo l’Alitalia e che non per caso fu cacciato dai politici del centrodestra. Ma sornionamente i francesi attendono sulla riva del fiume e pensano per ora a rimettere in sesto i loro di bilanci sotto la vigile guida di quel grande manager che è Jean-Cyril Spinetta. Si faranno molto probabilmente vivi verso la fine del 2013 quando sarà chiaro anche il quadro politico italiano dopo le elezioni di oggi e di domani. Intanto a fermare le ambizioni degli arabi di Etihad ci pensano Colannino e Intesa Sanpaolo.
Per ora sull’Alitalia è nebbia assoluta: i conti piangono e per evitare l’aumento di capitale la rissosa assemblea di venerdì non ha potuto far altro che votare una delega per un prestito soci che dovrebbe portare una boccata di ossigeno di circa 120 milioni nelle casse vuote della compagnia. Ma è sulla strategia, sulle alleanze e sulla leadership che soprattutto diventa preoccupante la spaccatura tra i soci, molti dei quali non vedono l’ora di sfruttare la fine del lock up per vendere il loro pacchetto d’azioni. A farne le spese fin dai prossimi giorni sarà l’attuale amministratore delegato di Alitalia, Andrea Ragnetti, che dopo un solo anno verrà silurato al termine di una esperienza disastrosa. Ma anche sul suo successore la nebbia resta fitta: provvisoriamente le sue deleghe saranno affidate al vicepresidente Elio Catania. Per il futuro si vedrà ma le turbolenze non sono finite.