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Acqua: non è più la cenerentola dei servizi pubblici

Gli investimenti crescono e la riforma del settore con la supervisione dell’ARERA sta dando buoni risultati. Critiche alla proposta di legge dei Cinquestelle per una gestione prevalentemente pubblica. Rapporto dell’Arel

Acqua: non è più la cenerentola dei servizi pubblici

L’acqua non è più la cenerentola dei servizi pubblici italiani? Sembra di si a leggere i dati più recenti sulla governance del sistema. Dal 2012 gli investimenti sulle reti sono passati da 20 euro per abitante ai 54 euro di quest’anno. Sono, dunque, triplicati, per effetti di revisione delle tariffe e di adeguamenti tecnici sugli impianti. Molta acqua si perde ancora lungo le condotte, ma una visione industriale  sta avanzando.

Nel recente seminario dell’AREL, l’Agenzia di ricerche fondata nel 1976 da Beniamino Andreatta, è stata presentato il quadro nazionale più veritiero. Con un invito esplicito a non smontare la regolazione del settore ormai saldamente nelle mani dell’Autorità per energia, reti e ambiente (Arera). Il sistema, nonostante tutto, mostra segni di vitalità, dicono esperti e gestori. Per cui non si vede la necessità di nuovi provvedimenti legislativi. Un chiaro messaggio al Parlamento che ha in esame la proposta di legge Cinquestelle di cui è prima firmataria Federica Daga.

L’iniziativa dei Cinquestelle parte dal presupposto che il sistema così com’è è fallimentare. L’indice è puntato contro le  privatizzazioni, demonizzate in lungo e largo. Un errore di visione, perché  la capacità di investire e rendere remunerativo un servizio pubblico non può essere inibita a priori. E senza tanto scomodare i principi sulla libertà d’impresa. Parliamo, infatti, di impianti idrici vetusti, di depuratori da mettere a posto,  di fognature da sistemare , di infrastrutture da ammodernare con inevitabili  ripercussioni sull’ambiente e sulla natura.

Donato Berardi, direttore di Ref.ricerche, al seminario AREL ha spiegato i cambiamenti intervenuti dal 2012, l’anno in cui la legge ha affidato all’Autorità il potere di regolamentare il settore. Gli investimenti sono triplicati ed oggi sono ai massimi da sempre. Prima dei 54 euro del 2018, il picco era stato di 40 euro/abitante, con bassa proiezione al rialzo. I buoni dati attuali di gestione indicano un +17% nel 2019 rispetto al 2018. Nel gennaio 2016, 36 Ambiti territoriali ottimali avevano completato il percorso di riforma, mentre 59 erano incompleti o non avevano affidato la gestione unica.

Quest’anno è arrivata la spinta: solo 9 Ato non sono in regola. Passando alle gestioni, vero totem della proposta dei Cinquestelle, 258 gestioni sono operative, 340 sono cessate e oltre 100 sono nelle mani dirette dei Comuni. Il M5S vuole rivedere tutto da cima a fondo, lasciando l’obbligo della gestione dell’acqua esclusivamente in mano pubblica. Una battaglia dagli esiti incerti, giacché non sarà certo una legge a rivoluzionare il quadro complessivo e in poco tempo.

Ma attenzione, perchè il panorama su cui si intende intervenire è a dir poco dissimile dalla battaglia ingaggiata dai pentastellati. Il 12% sono gestioni dirette comunali, il 55% sono pubbliche, il 30% miste pubblico-privato a controllo pubblico e solo il 3% sono classificate come gestioni private in concessione. Il consiglio saggio di Alberto Biancardi, ex consigliere Arera è di cambiare il meno possibile o almeno di non interferire con un processo che sta andando sempre meglio, anche in aree come il Sud, dove il decollo della riforma è stato più difficile.

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