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ACCADDE OGGI – Il 6 gennaio 2021 l’assalto a Capitol Hill: una ferita ancora aperta in attesa di verità

L’assalto al Congresso, su cui sta tuttora indagando una commissione d’inchiesta, ha lasciato il Paese diviso. Caos nei repubblicani per l’elezione dello speaker. Ecco cosa è successo

ACCADDE OGGI – Il 6 gennaio 2021 l’assalto a Capitol Hill: una ferita ancora aperta in attesa di verità

La marcia verso il Campidoglio, l’assedio, le bandiere che sventolavano. E poi gli scontri con la polizia per un totale di 52 arresti, 13 feriti e 5 vittime. È il bilancio del famoso assalto a Capitol Hill, un tentativo di insurrezione attuato a Washington il 6 gennaio 2021 per contestare il risultato delle elezioni presidenziali del 2020 e sostenere la richiesta del presidente uscente, Donald Trump, al vicepresidente Mike Pence e al Congresso di rifiutare la proclamazione di Joe Biden a 46º Presidente. L’allora presidente uscente non accettava la sconfitta alle elezioni e ripeteva da settimane che il voto era frutto di brogli elettorali, sebbene mai dimostrati.

L’assalto al Congresso, su cui sta tuttora indagando una commissione d’inchiesta, è stato un attacco alla democrazia americana ma ha anche segnato l’inizio della crisi del partito repubblicano, popolarmente noto negli Usa come “Grand Old Party” (Gop). Dalle numerose inchieste sull’ex presidente alla cattiva performance alle Midterm 2022, in cui repubblicani non hanno ottenuto il controllo del Senato e incassato solo una vittoria risicata alla Camera fino allo stallo dell’elezione del nuovo Speaker alla Camera. Ma andiamo con ordine.

L’assalto a Capitol Hill

Tutti gli eventi si sono concentrati in 7 ore: dalle 13 alle 20, dall’inizio della marcia dei “trumpiani” fino allo sgombero degli ultimi manifestanti. Sette ore che hanno segnato la parabola della crisi della leadership di Trump che non si è più fermata. Sette ore che hanno cambiato il corso della politica americana.

L’assalto iniziò nelle prime ore del pomeriggio, quando in Italia era circa le due di notte. Migliaia di sostenitori di Trump si erano riuniti a Washington per una manifestazione: l’allora presidente uscente non accettava la sconfitta. “Non ci arrenderemo mai, fermeremo il furto dei voti”, aveva detto Trump nel comizio. “Siamo giunti qui per chiedere che il Congresso faccia la cosa giusta e che conti solo gli elettori che sono stati nominati legalmente”. E ancora: “Se Mike Pence fa la cosa giusta vinciamo le elezioni. La presidenza appartiene agli americani”. Ma Pence rifiutò. “La mia valutazione”, scrisse, “è che il giuramento fatto di sostenere e difendere la Costituzione mi impedisce di rivendicare l’autorità unilaterale di determinare quali voti elettorali debbano essere contati e quali no”.

Un riferimento che non era casuale, perché proprio quel giorno, il suo vice stava presiedendo la sessione congiunta del Congresso, riunito per certificare la vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali.

Finito il discorso del presidente uscente inizia la marcia verso il Congresso. Una volta arrivati i manifestanti cominciarono a intimidire i poliziotti a guardia dell’edificio. Scalarono i muri esterni e le terrazze, sfondarono porte e finestre, finché non riuscirono a fare irruzione nel palazzo arrivando fino alle aule dove erano riuniti i parlamentari, evacuati in tutta fretta.

Tutto l’attacco venne documentato sui social. All’inizio la seduta del Congresso continuò normalmente, poi si decise di sospenderla. Deputati e senatori vennero evacuati, così come il vicepresidente Mike Pence. Si aspettava un appello di Trump, che non arrivò.

Su tutti, spiccava un uomo soprannominato “lo sciamano”, con il volto dipinto, un copricapo con pelo e le corna, a petto nudo e una lancia con la bandiera degli Stati Uniti. Divenne il simbolo della protesta e lasciò un messaggio al vice presidente Pence: “È solo questione di tempo, la giustizia sta arrivando”. Non fu l’unico a farsi notare. Un altro uomo, Richard “Bingo” Barnett si fece ritrarre coi piedi sopra la scrivania della Speaker della Camera, Nancy Pelosi.

Dopo alcune ore e con l’intervento della Guardia Nazionale, le forze dell’ordine riuscirono a riprendere il controllo dei locali e la seduta riprese. Il risultato delle elezioni venne ratificato il 7 gennaio, dopo 14 ore di seduta. Lo stesso giorno Trump pubblicò un video in cui condannò l’assalto e concesse per la prima volta la vittoria a Biden.

Assalto a Capitol Hill: tutti i guai legali di Trump

Dopo l’assalto, Washington ha iniziato a indagare sul ruolo dell’ex presidente Usa nell’ambito dell’assalto di Capitol Hill.

Il panel della Camera, che da un anno e mezzo indaga sull’assalto a Capitol Hill, ha concluso la sua ultima udienza votando per inviare ai pubblici ministeri del dipartimento di Giustizia una raccomandazione affinché Trump sia accusato di 4 crimini: incitamento all’insurrezione, ostruzione di un procedimento ufficiale del Congresso, cospirazione per frodare gli Stati Uniti e cospirazione per rendere falsa dichiarazione. Non era mai successo che una commissione parlamentare raccomandasse di incriminare un ex presidente. Starà ora al dipartimento di Giustizia decidere cosa fare con queste raccomandazioni, e il risultato potrebbe essere un’accusa formale per l’ex presidente attualmente in corsa nelle elezioni del 2024.

Ma non finisce qui. Il 30 dicembre 2022, la commissione parlamentare sul fisco, controllata dai Democratici, ha votato a favore della pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi di Trump dal 2015 al 2020, con alcune limature sulle informazioni sensibili, come i numeri di previdenza sociale e le informazioni di contatto. I documenti hanno confermato che Trump ha pagato solo 750 dollari di imposte federali nel 2016 e nel 2017. Nel 2018, invece, quasi 1 milione di dollari. Poi i conti al’estero: incluso uno in Cina dal 2015 al 2017.

A distanza di due anni, l’America aspetta ancora la verità. Fu una protesta sfuggita di mano o una insurrezione ben organizzata? In ogni caso, quello che è successo due anni fa ha mostrato tutta la fragilità del sistema politico americano. E ha lasciato una ferita non ancora rimarginata che divide gli americani. Così come dimostra lo stallo dell’elezione del nuovo Speaker alla Camera: non succedeva da 100 anni che un presidente della Camera non venisse eletto al primo round.

Usa, lo stallo dell’elezione del nuovo Speaker alla Camera

Kevin McCarthy, che gode dell’appoggio del 90% dei deputati per la nomina alla presidenza della Camera, è stato bocciato in sei votazioni. Un piccolo gruppo di venti repubblicani radicali sta bloccando la sua elezione, approfittando del fatto che la maggioranza repubblicana alla Camera è molto piccola. E non è chiaro come riusciranno a sbloccare l’impasse.

Persino Trump è intervenuto per cercare di convincere i ribelli a votare per il candidato favorito dalla stragrande maggioranza del partito. L’ex presidente teme che una lotta prolungata possa disaffezionare ulteriormente la vasta base elettorale che ha già abbandonato il partito repubblicano, mettendo in pericolo le sue aspirazioni presidenziali. Ma il suo appello è stato un buco nell’acqua.

La battaglia dei radicali di ultradestra contro McCarthy è anche una battaglia contro lo stato. Senza un presidente, la Camera è bloccata, i nuovi deputati (repubblicani e democratici) non potranno insediarsi formalmente. Non possono nemmeno leggere i rapporti secretati che arrivano abitualmente dalle agenzie del governo. Anche la creazione di commissioni e ogni procedura legata al lavoro dei parlamentari rimane bloccata.

E anche se si arriverà a un risultato, sarà comunque troppo tardi. L’immagine che la disfida alla Camera proietta in America e nel mondo mette in imbarazzo tutto il sistema. Lo stesso Biden è estremamente preoccupato dalla sbandata repubblicana: “Quanto accade è imbarazzante”. Non ci sono più le parti politiche, né l’universale politico bensì delle parti, ridotte a parzialità privatistiche, sia a destra che a sinistra, che si sono perse in balia delle correnti estremiste e di credenze ideologiche fine a se stesse.

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