Con una popolazione che invecchia rapidamente e un mercato del lavoro sempre più in affanno, le imprese italiane iniziano a guardare fuori dai confini dell’Unione europea per colmare un vuoto che il sistema nazionale non riesce più a riempire. Secondo un’indagine di Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne condotta su 4.500 aziende del manifatturiero e dei servizi, un’impresa su tre ha già assunto o prevede di assumere lavoratori provenienti da Paesi extra Ue entro il 2026.
La spinta principale non è economica, ma strutturale: il 73,5% delle aziende segnala la difficoltà nel reperire manodopera italiana. Solo una piccola minoranza (il 3%) ammette di essere motivata dal costo più basso del lavoro straniero. Il problema, dunque, non è il risparmio, ma la mancanza.
Demografia in crisi e manodopera introvabile
Alla base di questa tendenza c’è una dinamica demografica ormai sotto gli occhi di tutti: l’Italia invecchia e i giovani scarseggiano o emigrano. La riduzione della popolazione in età lavorativa è diventata una delle principali criticità per le imprese, che non riescono più a trovare figure adeguate né in quantità né in competenze.
Proprio per questo, il ricorso a personale extra Ue si configura sempre più come una risposta strategica e non come una scelta temporanea. Lo dimostra anche l’atteggiamento verso la formazione. Tra le aziende che assumono stranieri, il 68,7% è disposto a investire nella loro qualificazione, segno che si tratta di inserimenti stabili e strutturati. Al contrario, tra le imprese che non assumono extra Ue, la quota scende al 54,5%.
E così, l’immigrazione assume un ruolo sempre più centrale nel sostenere la capacità produttiva del Paese con le imprese che sembrano pronte a cambiare mentalità: niente più semplici sostituti, ma nuove risorse da integrare e valorizzare nel lungo periodo.
Chi assume e dove: il Nord Est in prima linea
A guidare questa trasformazione sono soprattutto le imprese del Nord Est: qui quasi quattro su dieci (36,5%) hanno già avviato o pianificano assunzioni extra Ue. In cima alla classifica il Trentino-Alto Adige (39,1%), seguito da Veneto (37,6%) e Friuli-Venezia Giulia (36,8%). Meno dinamico il Mezzogiorno, dove la quota scende al 28,6%, comunque significativa.
E se guardiamo ai settori, il trend è ancora più marcato nell’industria manifatturiera, in particolare nelle imprese ad alta tecnologia: il 40,2% di queste ha scelto o sceglierà lavoratori extra Ue, contro il 36,2% delle aziende dei servizi a bassa intensità tecnologica. Le imprese più grandi, con 50-499 addetti, fanno da apripista.
Cercasi operai specializzati (disperatamente)
Non solo numeri, ma anche profili. Il 47,1% delle imprese punta su operai specializzati, mentre il 32,6% cerca operai generici. Seguono tecnici, artigiani e professionisti qualificati, ma con numeri più ridotti. I manager? Solo l’1,1% delle imprese ha previsto assunzioni di questo tipo.
A mancare, insomma, non sono solo i numeri, ma anche le competenze. E in un Paese dove la natalità crolla e l’età media sale, il ricorso a lavoratori stranieri sta diventando un’esigenza strutturale, non un’opzione tattica.
Immigrazione come risorsa strategica
“L’Italia comincia ad avvertire gli effetti dell’invecchiamento della popolazione dovuto alle dinamiche demografiche”, ha spiegato Andrea Prete, presidente di Unioncamere, “I lavoratori immigrati sono quindi sempre di più una risorsa indispensabile per far fronte alla domanda di occupazione delle imprese. C’è anche un bacino di italiani di seconda o terza generazione che vivono soprattutto nel Sud America al quale il nostro Paese dovrebbe guardare con attenzione. Si tratta spesso di giovani con competenze già consolidate e con un legame di lingua e di storia familiare con l’Italia, che potrebbero essere interessati a trasferirsi nel nostro Paese”.