Il discorso del presidente Sergio Mattarella a Latina è stato al centro delle manifestazioni della Festa del Lavoro, sia per quanto riguarda la tragedia delle morti sul lavoro sia per sottolineare l’importanza dell’inadeguatezza delle retribuzioni che penalizza il nostro paese nell’ambito dell’OCSE, mentre ‘’le questioni salariali sono fondamentali per la riduzione delle disuguaglianze, per un equo godimento dei frutti offerti dall’innovazione, dal progresso”. E per dare un futuro di maggiori certezze ai giovani per il loro programma di vita allo scopo di contenere la ‘’fuga dei cervelli’’, perché secondo Mattarella a sopperire al calo demografico “non bastano le migrazioni dall’estero”. Tanto più che gli stessi migranti subiscono un trattamento salariale inadeguato. Anche qui occorre intervenire, ha affermato il Capo dello Stato.
Quest’ultimo cenno del discorso non è stato messo in particolare evidenza nel dibattito che ne è seguito, perché – la mia è una malignità – i ‘’traduttor dei traduttor d’Omero’’ di casa nostra, non esitano ad avvalersi degli indici di povertà delle famiglie di migranti per rappresentare una condizione di miseria diffusa, né si danno cura di stimare con un minimo di veridicità quanto i lavoratori stranieri contribuiscono ad abbassare il livello medio delle retribuzioni. Quando si parla – a sproposito – di ‘’salari da fame’’ si lascia intendere che il fenomeno riguardi i lavoratori italiani, mentre si tratta dei lavoratori residenti in Italia.
Ovviamente questa distinzione non deve consolarci, perché ha il piglio di un atto di accusa nei confronti di un sistema (‘’la Signoria di massa’’ di Luca Ricolfi) che scarica su quanti sono venuti da noi per avere una vita migliore, le condizioni di lavoro peggiori. Il XXVI rapporto del CNEL sul mercato del lavoro e la contrattazione – ancora fresco di stampa-ha affrontato queste problematiche.
Il lavoro degli stranieri
Secondo i dati ISTAT, al 1° gennaio 2025 la popolazione straniera residente in Italia è pari a 5 milioni e 422 mila, quasi il 9,2% della popolazione complessiva italiana (58 milioni 934 mila). Rispetto all’anno precedente, la popolazione straniera è aumentata di 164 mila unità (+3,2%). All’inizio del 2023, erano presenti 3 milioni 700 mila cittadini non comunitari, il 60% dei quali con un permesso di soggiorno di lungo periodo. I cittadini provenienti da Paesi terzi rappresentano oltre il 70% del totale dei cittadini stranieri residenti in Italia.
Nel 2024 il numero degli occupati stranieri sono 2 milioni 514 mila (in aumento di 140 mila unità rispetto al 2023), il tasso di occupazione degli stranieri in età lavorativa (15-64 anni) è pari al 64,9% e risulta crescente con minore intensità rispetto a quello degli italiani (rispettivamente +0,7% e +1,6%). L’analisi su questa fascia di età conferma il dato sul vantaggio degli stranieri in termini di tassi di attività e di occupazione rispetto agli italiani, mentre per le donne straniere il tasso di occupazione presenta uno svantaggio di 4,5% rispetto alle italiane.
Il tasso di occupazione dei cittadini UE in Italia è pari al 64,9%, quello dei cittadini non comunitari è pari al 61,5%; di contro, il tasso di disoccupazione dei cittadini UE in Italia è pari al 10,9%, quello della popolazione straniera extra UE è pari al 9,8%.
Analizzando la tipologia di lavoro, il più richiesto (21,9%) è quello di bracciante agricolo (550.861 assunzioni, di cui 387.999 extra UE) con l’applicazione di contratti brevi. Seguono, con contratti di lungo periodo, gli addetti all‘assistenza personale (195.651, di cui 134.281 extra UE) e i camerieri e professioni assimilate (174.808, di cui 129.188 extra UE).
Il numero complessivo dei rapporti di lavoro cessati (2.346.559) è aumentato del 2,8% rispetto al 2022 (+4,3% per i non comunitari). I settori a maggiore concentrazione di cessazioni che hanno coinvolto i lavoratori stranieri sono le altre attività nei servizi e l’agricoltura: tali settori hanno registrato rispettivamente il 68% e il 12% dei rapporti di lavoro giunti a termine o interrotti prima della scadenza.
Nel 2023, secondo la tipologia di contratto, anche per i cittadini stranieri si è registrata una diminuzione del numero delle cessazioni dei contratti a tempo indeterminato (-5,7%). Risultano, piuttosto, in aumento, rispetto all’anno precedente, le cessazioni per le altre tipologie contrattuali, tra cui i contratti a tempo determinato (+5,8%), in questo caso in aumento dell’8,3% per i lavoratori non UE e in lieve flessione per quelli comunitari (-0,5%).
Poco meno dell’87% degli occupati stranieri nel 2023 aveva un contratto da dipendente, mentre il restante 13,2% (314 mila) aveva un rapporto di lavoro autonomo. Secondo Infocamere, al 31 marzo 2024 le imprese a titolarità straniera erano 663.615 e, di queste, il 70% aveva come titolare un cittadino di Paesi terzi. Nel tempo è cresciuto il numero delle imprese individuali a titolarità di cittadini non UE e si è assistito ad un aumento graduale delle imprese in forma di società di capitali. Nel 2023 il 9% degli artigiani era non comunitario: 130.619 su un totale di 1.456.918 (9,1% nel 2022 e 8,9% nel 2021). Gli imprenditori cittadini non UE sono prevalentemente concentrati nei settori commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli (38,6%) e nelle costruzioni (23,8%).
Secondo la nota semestrale gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia (dicembre 2024) del Ministero del lavoro, che offre una disamina dettagliata al II trimestre 2024, i lavoratori non comunitari ammontano a circa 1 milione 770 mila e i comunitari (EU27) a 760 mila unità.
Le retribuzioni, le condizioni di lavoro, il sommerso per i lavoratori stranieri
Dove casca l’asino, anche quello dei sindacati? Secondo le analisi dell’OIL nel 2024 i lavoratori stranieri hanno percepito un salario orario mediano inferiore del 26,3% rispetto a quello dei colleghi italiani, registrando un divario retributivo generale superiore rispetto alla media dei Paesi europei. Sebbene in Italia, il divario salariale di genere sia al di sotto della media europea, le diseguaglianze aumentano se si tratta di lavoratrici straniere. Il divario di retribuzione si attesta al 10,3% rispetto al salario orario medio di uomini stranieri occupati, che aumenta al 22% se calcolato attraverso il raffronto dei salari mensili.
Un altro aspetto relativo alla condizione di lavoro si riscontra nei dati sugli infortuni. Guardando al Paese di nascita, se i lavoratori nati in Italia vedono gli infortuni diminuire del 2,9%, quelli nati all’estero invece registrano un aumento nel 2024 del +1,4%, con un’incidenza sul totale degli infortuni che passa dal 23% del 2023 al 24%. Diversa è l’incidenza delle malattie professionali: rispetto al Paese d’origine, i nati in Italia rappresentano il 91,4% dei casi. Quanto alla tipologia delle malattie professionali denunciate, le prime tre per consistenza numerica, riconfermando l’andamento dell’anno precedente, sono riferite all’apparato muscolo-scheletrico, al sistema nervoso e all’orecchio, seguite dai tumori, dalle patologie del sistema respiratorio e dai disturbi psichici e comportamentali. La prevalenza dei casi di malattia professionale per gli italiani dipende dalla natura stessa dell’evento che si forma in periodi non brevi di attività lavorativa che coinvolgono in numero maggiore i lavoratori nativi.
Quanto al lavoro irregolare che, quasi sempre, è la premessa per la negazione dei diritti, risultano quindi particolarmente esposti i cittadini extracomunitari, soprattutto se sprovvisti di permesso di soggiorno, che si trovano costretti ad accettare condizioni degradanti pur di lavorare. Secondo le stime degli osservatori, sarebbero circa 180mila i soggetti da considerarsi a rischio sotto questo aspetto.