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ACCADDE OGGI – 18 aprile 1948, le elezioni che segnarono il destino dell’Italia repubblicana

Il 18 aprile del 1948 si tennero le prime elezioni politiche dell’Italia libera. Una data che dovrebbe essere ricordata come una seconda Liberazione perchè segnò il futuro dell’Italia e la sua collocazione occidentale

ACCADDE OGGI – 18 aprile 1948, le elezioni che segnarono il destino dell’Italia repubblicana

Il 25 aprile gli italiani celebreranno la Festa della Liberazione. È giusto che tutto il paese si riconosca in questa ricorrenza che ricorda l’inizio del nostro percorso democratico. Purtroppo, i custodi di quella memoria – l’Anpi – da molti anni si sono distinti per il loro atteggiamento settario, nei confronti di altre formazioni politiche o di personalità prive della patente di antifascismo che solo loro si sentono autorizzati a rilasciare. 

Quanto all’atteggiamento dell’Anpi sulla guerra in Ucraina, persino il presidente onorario Carlo Smuraglia ha sentito il dovere di dissociarsi. Vedremo come andranno le manifestazioni quest’anno. Se saranno fischiati i rappresentanti della Brigata ebraica e più in generale quali saranno i temi dei discorsi. Intanto nel manifesto celebrativo dell’Anpi i colori della bandiera sono stati messi di traverso, come in quella ungherese. Si è parlato di un errore del grafico; in verità vi è l’ipotesi che si sia trattato di un gesto di solidarietà con Viktor Orban, il leader europeo che ha fatto ‘’il gran rifiuto’’ della condanna alla Russia per l’aggressione all’Ucraina.

18 aprile 1948: le prime elezioni libere

Ma in aprile c’è un’altra data che merita di essere ricordata. Settantaquattro anni or sono (il 18 aprile del 1948) la coalizione dei partiti democratici vinse le prime elezioni politiche dell’Italia libera, sconfiggendo quel Fronte popolare in cui si consumava l’alleanza contro natura tra socialisti del Psi e comunisti. Si trattò di un evento fondamentale per la vita del Paese, che ne condizionò le alleanze politiche ed iscrisse le scelte della ricostruzione post-bellica, dopo il degrado del periodo fascista, nell’ambito dei sistemi democratici e delle libertà economiche, grazie anche al contributo per la ricostruzione disposto dal Piano Marshall.  

Probabilmente, all’Italia gli accordi di Yalta non avrebbero lasciato altre possibilità. La collocazione geopolitica ne determinava (per fortuna) pure le ragioni dell’appartenenza in un mondo spaccato in due all’insegna del principio rinnovato del “cuis regio eius religio”. 

Ma gli italiani seppero scegliere bene per loro conto, con l’arma del voto, evitando ogni tipo di avventura, mentre la vicina Grecia – abbandonata a se stessa da Stalin – pagava il prezzo di una feroce guerra civile che ne condizionò pesantemente la vita politica e sociale per alcuni decenni.    

Se il 25 aprile del 1945 aveva segnato la vittoria contro i totalitarismi nazifascisti e la fine della guerra, il 18 aprile di tre anni dopo fu nei fatti una Seconda Liberazione. La Dc e gli alleati centristi salvarono non solo il Paese, ma anche la sinistra da se stessa. La giornata del 18 aprile meriterebbe di essere proclamata Festa nazionale o quanto meno di ricevere una menzione onorevole a testimonianza della svolta che si realizzò e dei pericoli che furono sventati. 

Un’Italia divisa in due

Purtroppo, in Italia, anche la storia patria ha subìto un condizionamento  – che prosegue anche post morte – da parte del Pci. Sono così patrimonio comune solo gli eventi che coinvolsero in prima persona quella formazione politica, da sempre inclusa nel c.d. arco costituzionale, anche quando era esclusa dalla possibilità di governare. Per decenni, l’Italia è stata divisa in due come la Germania; solo che da noi il Muro era invisibile, ma attraversava egualmente la politica, la società, le comunità, persino le famiglie. E questo Muro è caduto solamente quando è crollato l’altro, quello costruito in cemento armato che attraversava Berlino. 

Perché la data del 18 aprile 1948 è ricordata con sofferenza, quasi si fosse consumato, allora, un avvenimento negativo? I testi di storia propinati a scuola agli incolpevoli ragazzini – al pari di decine di film e di libri – hanno rappresentato e rappresentano il risultato di quelle elezioni (da cui prese avvio l’Italia moderna) come un fatto negativo: come l’inizio della “restaurazione capitalistica” o come il “tradimento degli ideali della Resistenza”. 

In sostanza, secondo quella corrente di pensiero che è stata prevalente nella sinistra (e nel Paese), la consultazione del 1948 riportò l’Italia indietro, ai vecchi equilibri delle tradizionali classi dominanti. In fondo, il tema della “rivoluzione tradita” si iscrive nel filone che parte da gruppi di ex partigiani “non rinunciatari” dell’immediato dopoguerra, passa per le formazioni parallele di “autodifesa” e arriva alle BR degli anni 70 e 80 e, tragicamente, fino ai nostri giorni. Tanto che persino un reazionario come Vladimir Putin  trova ‘’comprensione’’ perché, secondo la vulgata farlocca della storia, i veri nemici sono annidati nella Nato. 
Gli ex comunisti hanno cambiato nome al partito, prima di cancellarne la memoria come se fossero affetti da una totale amnesia; ma si guardano bene dal chiedere scusa, dall’ ammettere di avere sbagliato. Si prenda il caso di Giuseppe Saragat. Per decenni gli vennero rivolti (anche da parte dei socialisti, per la verità) i peggiori epiteti. Poi fu risarcito con l’elezione a presidente della Repubblica con i voti determinanti del Pci. Ma nessuno (solo Craxi lo fece) ha mai affermato esplicitamente che nel 1947, con la scissione di Palazzo Barberini, aveva salvato l’Italia. Ostili avversari della Dc, il destino ha voluto che gli ex comunisti finissero in un partito diretto dagli ex democristiani.

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