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2021, l’odissea dell’economia verso il lieto fine

LE LANCETTE DELL’ECONOMIA DI GENNAIO 2021 – Con il vaccino che scende in campo contro la pandemia e la vittoria democratica in USA si prospetta una vivace ripresa nella seconda metà dell’anno. Ma il viaggio del ritorno alla normalità non sarà senza rischi. Inflazione e tassi ancora bassi. Il dollaro continua a calare. E le Borse?

2021, l’odissea dell’economia verso il lieto fine

La versione inglese del coronavirus ha messo in ginocchio il Regno Unito e minaccia di diffondersi in altri Paesi, dove già sono apparse le mutazioni. Di nuovo, come argomentato il mese scorso, i tempi delle statistiche congiunturali sono in ritardo rispetto alla conta dei contagi, ed anche i dati di dicembre non danno conto dell’accelerazione della pandemia nella seconda metà del mese e fino ad oggi. Nel trimestre appena concluso la variazione del Pil tornerà a essere negativa in Europa, mentre sarà ancora positiva in America. Ma nel corso del trimestre le cose sono peggiorate anche da quelle parti, ponendo un’ipoteca sul primo trimestre 2021.

In Asia le cose vanno senz’altro meglio che in Occidente. Tuttavia, pure colà si nota una crescita dei focolai: in Giappone, nella Corea del Sud, a Hong Kong, in Thailandia… La Cina non è toccata, e quest’anno la crescita prevista dal Fondo (+8,2%) conterà, ancora una volta, per circa un terzo della crescita del Pil mondiale.

Dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico si intensifica la ‘stanchezza da restrizioni’ (è possibile trattenere il respiro per 20 secondi, ma non per 20 minuti…). Una stanchezza che potrebbe essere contrastata dalle vaccinazioni, i cui tempi e modi saranno lenti e farraginosi, date le difficoltà nella logistica e nella somministrazione.

L’inizio d’anno è tempo di scenari e di filosofie, e in quest’ottica c’è una notizia consolante. Si fa strada, nelle politiche economiche, la nozione secondo cui i bilanci pubblici devono continuare a sostenere l’economia ed evitare prematuri ritorni all’austerità (come successe nel 1937 in America, e, più recentemente, e a più riprese, in Giappone; e come accadde ovunque dopo la Grande recessione del 2008-9).

Non è solo una questione di politica economica, ma anche di economia come scienza. In poche parole, con tassi di interesse secolarmente bassi, i deficit di bilancio non devono preoccupare e possono continuare a essere secolarmente alti.

Cambia, così, il modus operandi delle politiche economiche che vedono un ruolo più forte delle politiche di bilancio, mentre alle Banche centrali viene assegnato il compito di tenere i tassi bassi e, gentilmente e occasionalmente, finanziare i deficit pubblici con creazione di moneta. Il tutto, con buona pace dei benpensanti che si rodono le unghie pensando ai debiti pubblici in costante ascesa.

L’inflazione continua a non destare preoccupazioni, se non per il fatto che la si vorrebbe più alta. In effetti, a livello dei prezzi alla produzione si notano delle tensioni. C’è una ragione generale: l’economia dei beni – lo abbiamo già detto – ha tenuto meglio (o meno peggio) dell’economia dei servizi, e questo spiega la salita di quei prezzi. E c’è una ragione particolare: fra gli effetti secondari delle restrizioni ci sono anche le difficoltà nei trasporti, che generano indisponibilità delle merci con conseguenti pressioni sui prezzi. A livello delle materie prime – oil e non-oil – gli aumenti sono evidenti, ma sono dovuti anche, e in buona parte, alla fame del più grosso assorbitore di materie prime: la Cina.

Certamente, anche il cambio ha fatto la sua parte. Il prezzo del petrolio, per esempio, è aumentato del 30% in dollari dal giugno 2020 ad oggi, ma solo del 18% in euro, grazie all’apprezzamento (vedi sotto) della moneta unica. Per le materie prime non-oil, le percentuali sono, rispettivamente, del 28% (in dollari) e del 16,7% (in euro). Tutto questo potrà mettere sotto pressione i margini delle imprese, ma è poco probabile che tracimi nei prezzi al consumo, vista la debolezza della domanda e dei salari.

I tassi a lunga sono in leggera risalita, più marcata per gli Stati Uniti, dove sui T-Bond hanno varcato il muro (si fa per dire) dell’1%. Per i Bund e BTp sono aumentati di pochi punti base, ma quel ‘poco’ è stato più poco per i BTp, talché lo spread è sceso, rispetto al mese scorso, a quota 110 o giù di lì.

I BTp continuano a compensare coloro che li avevano comprati quando rendevano di più dei bassi frutti di questo inizio anno. Siamo su un rendimento appena sopra lo 0,50%, il più schiacciato da sempre. I già menzionati benpensanti, angosciati dal debito pubblico al 160% del Pil o su di lì, non abitano nel mercato, che si accuccia sotto mamma Bce (intellettualmente confortato anche dalle nuove filosofie di politica economica sopra menzionate).

Per i tassi reali, questi, a inizio d’anno, si sono posizionati, con rara comunanza di intenti, appena sotto lo zero, per T-Bond, Bund e BTp. Variando sulle geremiadi delle precedenti Lancette, che lamentavano come, nell’annus horribilis 2020, avrebbero dovuto essere ben più bassi, è giusto osservare che in un 2021 che vedrà il rimbalzo dell’attività economica (incrociare le dita è d’obbligo), un tasso reale vicino a zero aiuta la ripresa.

Per i cambi, continua la discesa del dollaro, già adombrata in passato. Siamo, contro euro, a 1,23 circa (continua a essere vicino a zero il differenziale dei tassi reali a lunga), mentre lo yuan fa un altro balzo nell’apprezzamento, a 6,46. Per lo yuan continua a pesare la migliore performance dell’economia, oltre il fatto che, malgrado le punture di spillo di Trump e sanzioni assortite, i capitali continuano ad affluire verso il gigante cinese. È d’obbligo un’altra considerazione, a proposito del dollaro: se la moneta è il biglietto da visita di una nazione, questo biglietto, visto quel che è successo in America con le elezioni e i tragici assalti al Congresso, appare oggi molto sgualcito. E poi il buco nei  conti con l’estero è destinato ad allargarsi e andrà finanziato.

Se il 2021 ha due facce, quella positiva – l’uscita dalla pandemia grazie alle vaccinazioni – è quella cui guardano con affetto i mercati azionari, che, come al solito, ignorano l’altra faccia (i danni all’economia da restrizioni). Un grafico che accostasse contagi e morti nel mondo con l’indice delle Borse mondiali, vedrebbe una macabra sintonia fra le tre variabili. Ma le Borse guardano a produzione e profitti, non a ospedali e cimiteri. Non c’è che da credere ai mercati e (incrociando per la seconda volta le dita) sperare che abbiano ragione. Unitamente ai bassi tassi reali sopra menzionati, il basso costo del capitale di rischio legato all’allegrezza delle Borse rende le condizioni monetarie favorevoli alla ripresa.

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