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Welfare aziendale e sanità: un nuovo modello per i cittadini

I tagli alla sanità sono sempre più frequenti a causa della debolezza dei conti dello Stato. Il welfare aziendale può essere una risposta per aiutare i cittadini a far fronte ai loro bisogni e si sta diffondendo

Welfare aziendale e sanità: un nuovo modello per i cittadini

Che in Italia vi sia la crisi non è certo una novità, che i conti dello Stato non brillino per virtuosità lo è ancor meno e che a risentirne per prima sia la sanità pubblica di certo non stupisce. Nel 2015 i piani di rientro e la spending review hanno messo in atto una manovra da circa 2,3 miliardi euro. A risentirne sono state per circa  1,5 miliardi di euro le spese per beni e servizi e per dispositivi medici, per più di 500 milioni la spesa farmaceutica ed inoltre, è stato previsto un indebolimento delle prestazioni “inappropriate” per visite specialistiche, ambulatoriali e per i ricoveri di riabilitazione.

Peccato che i tagli della spesa sanitaria pubblica non vadano di pari passo con le esigenze dei cittadini, 9 milioni dei quali dichiarano di non essere in grado di accedere alle prestazioni sanitarie di cui necessitano, a causa delle loro condizioni economiche. A ciò va aggiunto il  mutamento nella struttura societaria italiana, che vede un progressivo incremento della popolazione ultra 65 enne (l’ISTAT ha stimato che saranno circa 3,5 milioni nel 2030) che, tipicamente, rappresenta individui con una forza economica debole e con necessità sanitarie consistenti e sempre crescenti.

Come mettersi al riparo? Il termine ancora non molto diffuso nel sistema italiano è “welfare aziendale” ovvero l’utilizzo di forme di remunerazione per i lavoratori, alternative rispetto alle tradizionali. Le aziende possono fornire ai propri dipendenti, invece che aumenti salariali, coperture assicurative sanitarie così da supportare sia il sistema pubblico sia i cittadini che non sono in grado di far fronte, con la spesa privata, ai bisogni sanitari.

 Stati Uniti e Regno Unito sono tra i paesi più avanzati nell’utilizzo di meccanismi di “welfare aziendale” mentre l’Italia è ancora debole. I cittadini, infatti, hanno sempre potuto contare sul “welfare pubblico” e poi non va dimenticata la particolarità del mercato del lavoro italiano, composto per l’85% circa da PMI che molto spesso non hanno né le conoscenze né la forza manageriale per poter promuovere e incentivare cambiamenti, tanto più nelle politiche retributive.

Nonostante l’Italia non sia all’avanguardia, tuttavia, deboli meccanismi sono comunque in atto per stimolare l’avvio di un cambiamento nel rapporto tra cittadino e sanità. Molti CCNL obbligano le imprese a elargire coperture sanitarie ai lavoratori (che tuttavia, ad oggi, risultano essere minime e insufficienti rispetto ai reali bisogni). Inoltre, la legislazione italiana prevede considerevoli benefici fiscali per le aziende che avviano politiche di “welfare aziendale” nei confronti dei propri dipendenti.

Per il mercato italiano diventa fondamentale comprendere e inserirsi nelle forme retributive di “welfare aziendale”. Ciò è tanto più vero se si considera che non si tratta unicamente di compensare un sistema pubblico debole e di andare in contro ai bisogni dei lavoratori, ma, in un mondo sempre più piccolo, nel quale i lavoratori sono sempre più propensi a espatriare, il mercato italiano deve essere competitivo anche grazie a politiche remunerative che possano confrontarsi con quelle offerte dal mercato estero. 

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