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Vitalizi, un rebus infinito che toccherà alla Consulta risolvere

L’illustre giurista Sabino Cassese ha rilevato che un semplice regolamento parlamentare non può disciplinare il trattamento pensionistico di persone che non sono più parlamentari o non lo sono mai stati e che il Consiglio di Stato è stato troppo accondiscendente – Alla fine toccherà alla Corte Costituzioale pronunciarsi

Vitalizi, un rebus infinito che toccherà alla Consulta risolvere

Commentando su Foglio il parere del Consiglio di Stato sui quesiti posti, a proposito dei vitalizi degli ex parlamentari, dalla Presidente del Senato Elisabetta Casellati, Sabino Cassese, da par suo, ha messo in evidenza un aspetto critico, fino ad ora non adeguatamente considerato nel dibattito suscitato dalla fatwa di Roberto Fico. Citando la giurisprudenza della Consulta, di cui è stato autorevole componente, Cassese fa notare che le potestà normativa (autocrinia) e giurisdizionale (autodichia) riconosciuta agli organi del Senato e della Camera non possono essere operanti nei confronti di cittadini che non solo non sono più parlamentari (gli ex) ma che addirittura non lo sono mai stati (i titolari di trattamenti di reversibilità). In sostanza, la condizione di parlamentare non è uno stato giuridico che una persona si porta dietro per tutta la vita (anche se per tradizione e cortesia non più giustificate continua ad esibire l’appellativo). Cessato dal mandato, magari da molto tempo, oppure legato da rapporti familiari con un ‘’de cuius‘’ già parlamentare, ogni cittadino ha il diritto di ricorrere al suo giudice naturale. Perché ciò sia garantito è necessario che le misure che lo riguardano sia disposte per via legislativa e non attraverso un regolamento che consenta – sostiene l’ex giudice costituzionale – di ridisciplinare i vitalizi (Cassese ricorda che tale istituto è stato soppresso – pro rata – a partire dal 2012) erogati a persone  che non sono più parlamentari o che sono state soltanto congiunte di costoro.

L’argomento è forte sul piano del diritto e chiama in causa la legittimità della fonte normativa, non per i suoi effetti (violazione di diritti soggettivi perfetti, irrazionalità, assenza di motivi gravi e straordinari, mancata tutela dell’affidamento in una situazione giuridica legittima, ecc.), ma per la sua stessa natura. In sostanza, una eventuale delibera del Consiglio di Presidenza del Senato, come del resto quella già assunta dalla Camera su iniziativa del suo supremo ayatollah, sarebbe inficiata da un vistoso abuso di potere. Se infatti si può ritenere ammissibile (come è confermato anche nel parere del Consiglio di Stato) che in tale controversa materia si intervenga per regolamento (così è sempre avvenuto), non sarebbe legittimo, ad avviso di Sabino Cassese, l’esercizio nei confronti di normali cittadini di un potere autonomo e riservato ai parlamentari in carica.  Nella sua intervista al Foglio Cassese sviluppa molti altri interessanti argomenti. Primo fra tutti, esprime una severa critica al ruolo (non) svolto dal supremo organo della giustizia amministrativa. ‘’E’ un parere che mi ricorda Dumas e ‘’I tre moschettieri’’ – afferma – In particolare l’ordine scritto di suo pugno da Richelieu <il latore della presente ha fatto quel che ha fatto per mio ordine e per il bene dello Stato>’’.

L’errore del Consiglio sarebbe stato quello di accettare di ‘’dare un parere in astratto senza avere la bozza o lo schema di delibera, quindi senza conoscere il suo contenuto dispositivo. Ha dato il via libera a qualcosa che non conosceva, rispondendo a tre domande alle quali possono essere date… anche risposte molto diverse’’. Questo percorso è ammesso nello stesso parere. Scrive il Consiglio di Stato che aveva persino costituito una Commissione speciale per  redigere il testo: ‘’In via preliminare occorre delimitare l’ambito  dell’intervento consultivo di questo Consiglio di Stato. Il Senato non ha trasmesso un proprio schema di disciplina, sicché l’avviso di questa Commissione speciale non potrà che tratteggiare il quadro giuridico-costituzionale che possa fungere da riferimento all’intervento prospettato”. In parole povere, la Commissione ha rinviato la palla nel campo del Consiglio di Presidenza del Senato. ‘’Non essendovi un testo operativo – è sembrato dire – non possiamo che  ragionare sul dover essere anziché sull’essere’’. Ovvero la rogna è vostra, grattatela da soli. Il problema è soprattutto politico: solo dopo aver risolto con una chiara assunzione di responsabilità – così si possono interpretare le conclusioni del giurista – questo aspetto, si potrà dissertare sul merito. A pronunciarsi dovranno essere i giudici; anzi diverse istanze di giudizio fino alla Consulta. Cosi – prevede Cassese – ‘’chi ha cavalcato il giustizialismo finirà per passare i propri giorni con i giudici in casa. E’ quello che capita a chi eccede nell’esercizio dei propri poteri’’.  

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