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Visco, il coraggio della verità sull’Italia. Oggi l’appuntamento all’assemblea di Bankitalia

Ora che l’Europa ci ha tolto dalla lista dei cattivi, il dilemma s’impone: torniamo alla spesa pubblica fatta di tanti regali a destra e a manca? Oppure imbocchiamo un percorso di riforme serie? – Oggi, all’assemblea della Banca d’Italia, il Governatore Visco non avrà un compito facile: si attendono da lui risposte, anche sulla solidità delle nostre banche.

Visco, il coraggio della verità sull’Italia. Oggi l’appuntamento all’assemblea di Bankitalia

C’è un gran vociare in giro sulla fine dell’austerità: l’Europa ci ha tolto dalla lista dei cattivi e quindi ora tutti, a cominciare dai politici, pensano che lo Stato possa tornare a bei tempi antichi quando tutti i livelli dell’amministrazione pubblica erano pronti a soddisfare le più varie richieste dei cittadini-elettori. Intendiamoci l’austerità non piace a nessuno. Fin da quando veniva predicata con piglio moralistico da Berlinguer tanti anni fa, abbiamo sostenuto che fare sacrifici poteva essere un modo per superare un momento di difficoltà, ma non certo una filosofia di vita o un obiettivo politico. Tuttavia sarebbe bene che i tanti critici dell’austerità che con faciloneria viene addebitata all’Europa, ci dicessero quali sono le ricette adatte a farci riprendere un decente cammino di sviluppo. Torniamo alla spesa pubblica fatta di tanti regali a destra e a manca e di pochi investimenti? Oppure dobbiamo imboccare un percorso di riforme come quelle suggerite da Bruxelles (e che dovremmo fare anche senza suggerimenti esterni)? Ma il paese è davvero governabile con queste regole o dobbiamo cambiarle?

Oggi il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco non avrà un compito facile. Come sempre l’assemblea della Banca d’Italia offre al Paese un momento di riflessione e stimoli per un’azione di governo coerente con l’obiettivo di una duratura ripresa della crescita, purtroppo quasi sempre inascoltati. Ma quest’anno la confusione culturale e politica oltre alla crescente insofferenza della gente che non riesce a vedere con chiarezza nel proprio futuro, richiede al Governatore un supplemento di chiarezza e di coraggio. Chiarezza nel confutare le tante ricette sbagliate che vengono avanzate in sede politica sul rilancio della domanda interna tramite la spesa pubblica, sulla possibilità di far tornare il credito con misure coercitive sulla banche, sulla possibilità di evitare quelle modifiche al nostro sistema politico ed amministrativo che, senza oneri per le finanze pubbliche, agevolerebbero molto la nostra competitività, come ad esempio quelle della Giustizia, che invece vengono rinviate di anno in anno. Ma ci vuole anche coraggio per indicare quelle ricette che potrebbero attaccare i due principali ostacoli che hanno inchiodato l’Italia ormai da oltre 15 anni ad una bassa crescita ed ora ad una recessione particolarmente dura e prolungata: la bassa produttività e l’alto debito pubblico.

Si tratta sicuramente dei due aspetti cruciali della crisi italiana e non è certo rassicurante che il premier Letta abbia accuratamente evitato di insistere su questi due aspetti preferendo parlare genericamente di rimettere al centro dell’azione politica il lavoro, come se il riassorbimento dei disoccupati potesse venire da chissà quale miracolo. Sarebbe bene spiegare da dove deriva la bassa produttività del sistema italiano e che essa si annida soprattutto nel settore pubblico dove operano le “arciconfraternite del potere” che sequestrano abbondanti risorse per fini privati o, nel migliore del casi, improduttivi.

Non sarebbe male spendere qualche parola sulla necessità di tagliare le spese (dicendo dove e come) per poter ridurre le tasse a cominciare da quelle sul lavoro e sulle imprese e non da quelle sugli immobili che esistono in tutto il mondo e la cui mancanza ha provocato in Italia un eccesso di concentrazione del risparmio sul mattone.

Massima chiarezza è poi necessaria sulla situazione del banche al di là delle solite rassicurazioni sulla loro solidità. Se è vero che il credito non può ripartire perché le nostre aziende bancarie hanno poco capitale e per di più eroso dalle imponenti perdite derivanti dai fallimenti delle imprese, come si fa ad accelerare i tempi del loro risanamento? Tra le varie proposte quella che sembra ormai prevalere è quella di chiedere una ricapitalizzazione al fondo europeo Salva Stati così come fatto dalla Spagna. Questo comporterebbe la firma di un memorandum di intenti sulle riforme da fare entro tempi certi, che peraltro sono sempre le stesse di cui si parla da anni e che riguardano il mercato del lavoro, la Giustizia, l’aumento della concorrenza, la riforma fiscale, il sistema bancario e il controllo della spesa pubblica. Difficile pensare che gli italiani sarebbero scontenti se finalmente facessimo queste riforme sulla spinta di Bruxelles invece che su autonoma iniziativa del nostro Parlamento.

A proposito del debito pubblico non sarebbe male se il Governatore spendesse qualche parola sulla possibilità di abbassarlo con qualche iniziativa straordinaria di cessione di beni pubblici agli investitori e non solo immobiliari ma anche societari, comprese le troppe aziende possedute dagli enti locali che operano al di fuori della concorrenza ed in maniera spesso inefficiente.

Infine l’Europa. Detto che bisogna rifiutare l’alibi di attribuire tutti i nostri guai a Bruxelles o alla signora Merkel, bisogna anche chiarire che molte cose non vanno in questa Europa. L’unificazione bancaria procede con troppa lentezza, il sostegno agli investimenti è troppo modesto, il mercato dei servizi non viene unificato. Soprattutto occorre dire con chiarezza ai tedeschi che non è possibile mantenere in eterno un modello di economia basato solo sulle esportazioni e quindi sull’accumulo di ampi surplus della bilancia commerciale. Loro hanno ragione quando dicono che il risanamento dell’industria è avvenuto grazie ai sacrifici fatti un po’ da tutti i cittadini e quando dicono che anche gli altri paesi devono seguire questa strada, ma hanno torto a continuare con l’austerità nel loro bilancio e sugli aumenti salariali quando potrebbero con più coraggio rilanciare la domanda interna.

Da parte di Visco serve insomma un grande impegno per dimostrare che le facili scorciatoie invocate da tanta parte della pubblica opinione sarebbero in realtà controproducenti e vanificherebbero i sacrifici fatti nei due anni passati, ma soprattutto per indicare una via d’uscita possibile e capace di portare a risultati soddisfacenti per l’intero paese e soprattutto per i tanti giovani in ansia per il loro avvenire.

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