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Uscire dall’euro non porta in paradiso: la lezione dell’uscita dell’Italia dal serpente monetario

La sgangherata compagnia di giro che predica la buona morte dell’euro ha la memoria corta e dimentica tutti i guai che nel 1973 provocò l’uscita dall’Italia dal serpente monetario: svalutazione della lira, alta inflazione, effetti su titoli di Stato e spesa pubblica per interessi, crollo della Borsa, fuga di capitali – Replica altamente sconsigliabile

La sgangherata compagnia di giro per la buona morte dell’Euro (anche entusiasta per il modesto successo del referendum propositivo) difetta di memoria su avvenimenti neppure troppo lontani: di certo prima che molti di loro venissero al mondo: ma per queste new entry esistono buoni libri e manualetti che dovrebbero essere consultati prima di dire ciò che si pensa. Così, come recita l’antico adagio, si potrebbe stupire l’ascoltatore se si pensa prima di dire. 

Altri estremisti della compagnia di giro invece, di antica cultura politica comunista, non ricordano che Lenin sostenne che l’estremismo è la malattia infantile del comunismo e quindi si pose il problema del Che Fare? Sarebbe uscito dall’Euro? Troppo intelligente e conoscitore della storia per farlo.

Senza la pretesa di svolgere esercizi fantasiosi e non documentabili su cosa accadrebbe all’Italia se uscissimo dall’euro, vale la pena di riflettere su cosa avvenne nel nostro paese quando uscimmo dal serpente monetario e su cosa potrebbe accadere se, per analogia, uscissimo dall’ euro.

Correva l’anno 1973 e in febbraio l’Italia uscì dal serpente monetario. Il rapporto di cambio tra la lira italiana ed il marco tedesco passò dalle abituali 160-170 lire per un marco nel 1971 a 260 lire nel 1974. Nel caso che vincesse la compagnia della buona morte, dopo l’uscita dall’euro il rapporto di cambio sarebbe principalmente tra lira e il valore dell’euro imposto dalla Germania, quindi, a parità di condizioni, la liretta dovrebbe svalutarsi nel confronto dell’euro fino a dovere corrispondere 1.800 lire in più per un euro, ovvero circa 3.800 lire. Vantaggi di breve per gli esportatori, ma grande sofferenza per l’industria dei servizi che non esporta ma deve comunque importare beni dall’estero. 

A fronte della svalutazione delle lira nei confronti del marco l’inflazione interna dall’intorno del 5 per cento crebbe oltre il 10 per cento nel 1974. L’indice dei prezzi al consumo salì di quasi il 63 per cento tra il 1973 ed il 1976-77. La compagnia della buona morte dell’euro si augura una siffatta inflazione? Oppure come la contrasterebbe? Il Che Fare, ad esempio, sulla inevitabile retroazione dell’inflazione sui rendimenti dei titoli pubblici il cui indice del rendimento nominale crebbe anche esso del 60 per cento. Ovviamente a parità di rendimento reale dei titoli pubblici è la spesa pubblica per interessi passivi che deve seguire l’inflazione reale.

Allora l’indice dei corsi azionari alla Borsa di Milano, deflazionati con l’indice dei prezzi al consumo, cadde del 40,6 per cento nel corso del 1974 e di un ulteriore 19,5 per cento nel 1975. Forse qualche estremista di oggi valuterebbe il crollo al pari della tanto auspicata patrimoniale sulla ricchezza finanziaria. E poiché non si possono chiudere le frontiere ai movimenti dei capitali, la compagnia delle buona morte dovrebbe farsi carico dell’uscita impetuosa dei capitali (vedi Grecia oggi)

I numeri sono noiosi ed i confronti antipatici ma potrebbero obbligare gli attori e i capì comici della compagnia di giro della buona morte dell’euro e non promettere che dopo la sua morte godremo il paradiso in terra, neppure se ridotta nella pianura padana e nelle valli alpine. 

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