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Usa, elezioni di Midterm difficili per Biden: per l’economista Einchengreen “l’inflazione è vista come atto d’accusa verso chi governa”

INTERVISTA ALL’ECONOMISTA BARRY EICHENGREEN dell’Università di Berkeley – “L’economia Usa appare ancora forte ma la Fed non ha riconosciuto per tempo il surriscaldamento” – “Preoccupa una possibile rottura tra il nuovo Governo italiano e Bruxelles”

Usa, elezioni di Midterm difficili per Biden: per l’economista Einchengreen “l’inflazione è vista come atto d’accusa verso chi governa”

Le elezioni di Midterm rappresentano il prossimo grande punto in agenda della politica internazionale. L’8 novembre si rinnoveranno tutti i membri della Camera dei Rappresentanti e un terzo di quelli del Senato americano. Simbolicamente si tratta di un primo cruciale giudizio politico sulla presidenza di Joe Biden, alle prese con la guerra in Ucraina, l’aumento dei tassi di interesse e un’inflazione che non accenna a fermarsi. L’economista Barry Eichengreen insegna Economia e Scienze Politiche all’università di Berkeley in California, dove studia le origini finanziarie delle crisi economiche e la relazione con l’affermarsi dei movimenti populisti.

Come si presenta l’economia americana alle elezioni di medio termine?

«L’economia, almeno superficialmente, continua ad apparire forte. La crescita ha ancora slancio e la disoccupazione è a tassi storicamente molto bassi, ma la stretta finanziaria si sta facendo strada nel sistema. La politica monetaria in atto avrà effetti importanti prima sul mercato immobiliare e poi in generale sull’economia. Le probabilità di una recessione nel prossimo anno sono alte. Ma siamo solo a poche settimane dal midterm, adesso conta la situazione attuale non quello che succederà nel 2023».

Come valuta l’opinione pubblica americana il sostegno sempre più diretto degli Stati Uniti all’Ucraina?

«Le elezioni americane ruotano su questioni interne, non sulla politica estera. La maggior parte degli americani non ha un’opinione precisa sul sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina. Anche chi è ampiamente d’accordo con il sostegno dell’amministrazione Biden all’Ucraina spera che la guerra non degeneri in una pericolosa escalation militare».

Con l’Inflation Reduction Act Joe Biden ha messo a punto un poderoso piano per sostenere l’economia. È una misura popolare?

«Direi di no. L’Inflation Reduction Act non ha mai promesso di intaccare in modo significativo l’inflazione e nessuno al di fuori della Beltway (ndr. la strada che separa la Washington delle istituzioni dalla periferia) ha mai pensato che l’avrebbe fatto. La notizia è ampiamente sprofondata sotto i titoli dei giornali. Non è né popolare né impopolare, quindi non avrà implicazioni per la campagna elettorale di Biden».

Quindi quali sono gli argomenti che “sposteranno” i voti in queste elezioni?

«L’inflazione è vista come un atto d’accusa nei confronti di chi sta amministrando, quindi la sua persistenza sarà negativa per i Democratici. Le questioni sociali, a cominciare dal diritto all’aborto, galvanizzeranno i Democratici e faranno emergere ulteriori fasce di elettori, soprattutto donne, che altrimenti potrebbero astenersi. Domineranno le questioni economiche o sociali? Sono un “triste economista”, quindi sono propenso a pensare che i Repubblicani guadagneranno molto consenso a novembre. Ci sono anche politici, i governatori del Texas e della Florida, per esempio, che cercano di mettere l’immigrazione come questione elettorale primaria. Ma quei governatori si stanno posizionando come candidati alle elezioni presidenziali del 2024, quindi è improbabile che le loro mosse abbiano molta importanza a metà mandato, tranne forse in luoghi come l’Arizona, che sono in prima linea».

Donald Trump ha ancora un reale potenziale per influenzare la vita politica americana?

«La sua base elettorale è ancora molto solida».

L’inflazione è la vera grande incognita nell’economia statunitense ed europea. Questi numeri di inflazione non si vedevano da decenni. La Fed doveva intervenire prima sui tassi?

«Sì, la Fed è rimasta troppo dietro la curva. Non è riuscita a riconoscere gli indizi del surriscaldamento dell’economia prima che fosse troppo tardi».

Qual è la sua opinione su questa fase di inflazione?

«Dipenderà da ciò che faranno le banche centrali, in particolare dal fatto che si manterranno sulla “giusta rotta”, continuando ad aumentare i tassi, anche se la disoccupazione inizierà a crescere. La cultura della stabilità è profondamente radicata nelle moderne banche centrali, inclusa la Fed. Capiscono che “disancorando” tutte le aspettative di inflazione i rischi di tenuta della stabilità finanziaria sarebbero troppo elevati. Un’analogia è con la politica europea nei confronti della Russia. L’Europa ha ritardato l’embargo sul petrolio russo per evitare dolori a breve termine. Ma questo ha dato a Putin più risorse con cui portare avanti la sua guerra all’Ucraina. Quindi ora l’Europa deve prendere misure ancora più drastiche, a costi ancora più elevati».

Se l’inflazione dovesse mantenersi su livelli elevati, negli Stati Uniti e in Europa, quali sarebbero gli effetti sulla formazione del consenso politico?

«Storicamente sappiamo che l’inflazione corrode consenso. Renderà più difficile mettersi d’accordo su qualsiasi cosa. L’inflazione elevata sarà vista come un atto d’accusa nei confronti di chi governa in questo preciso momento. E l’identità degli “incumbent”, di sinistra o di destra, varia a seconda dei singoli Paesi».

La crisi energetica sta sconvolgendo l’economia europea, aumentando le pressioni nazionalistiche e le tentazioni di salvaguardare le economie dei singoli Paesi europei al di fuori delle politiche comuni. Vede un rischio di rottura per l’Unione Europea?

«Il momento è complicato, ci sono molti rischi per l’Unione. C’è stato un bel po’ di “sniping” tra la Germania e gli altri Stati membri sui generosi sussidi energetici che Berlino ha attivato per le sue aziende e i suoi cittadini. Ma penso che tutto sommato la crisi aumenterà il grado di integrazione europea, sulla consapevolezza che l’Unione ha bisogno di una politica energetica comune e di un mercato dell’energia più integrato. E ovviamente ha bisogno di una vera politica estera e di sicurezza comune».

Negli Stati Uniti come si valuta il progressivo aumento del consenso in Europa dei partiti politici di destra?

«Personalmente mi preoccupano i rischi di compromissione delle libertà sociali, ad esempio i diritti delle donne in Italia. Naturalmente da questo punto di vista i rischi in Italia non sono diversi rispetto agli Stati Uniti. Mi preoccupano in generale i rischi che incombono sui meccanismi di controllo e di equilibrio delle democrazie parlamentari. L’Ungheria, dove la stampa e la magistratura sono minacciate, è un buon esempio di questi rischi. Ancora una volta lo ripeto, gli Stati Uniti non sono immuni da questi scenari: in un buon numero di Stati l’integrità del processo elettorale rischia di essere seriamente compromessa. Temo inoltre che i leader di destra possano adottare politiche economiche irresponsabili».

L’Italia è oggetto di preoccupazione?

«Sono preoccupato per una possibile rottura tra il nuovo Governo italiano e Bruxelles sulle necessità di concordare delle riforme economiche strutturali. Mi preoccupa la tendenza di questi partiti e dei governi di destra nel demonizzare gli immigrati. Viviamo in un mondo di immigrazione, continueremo a vivere in un mondo di immigrazione, che piaccia o no a questi partiti e governi».

Gli Stati Uniti in questo momento storico possono davvero permettersi di avere un’Europa debole economicamente e politicamente frammentata?

«Assolutamente no».

La guerra in Ucraina, la competizione geopolitica tra USA e Cina, la crisi energetica, le misure per la transizione ecologica che stanno cambiando tutti i paradigmi dell’economia, l’accorciamento delle catene del valore internazionali. Qual è la sua definizione aggiornata di globalizzazione?

«Nel mondo ci sono ancora molte economie nazionali profondamente integrate. L’idea che la loro interdipendenza cresca sempre più nel tempo è però finita. Anche il commercio tra Cina e Stati Uniti sopravviverà, in assenza di un conflitto palese tra Cina e Stati Uniti per Taiwan. L’evitare quel conflitto è forse la questione principale dell’agenda geopolitica di oggi».

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