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Una parte dell’establishment spara ormai a zero su Renzi ma dopo di lui c’è solo la Troika

Dai sindacati alla minoranza del Pd, dal “Corriere della sera” a Scalfari, dai vescovi a pezzi di magistratura, di burocrazia e di imprenditoria alla Della Valle, il fuoco incrociato contro Renzi cresce di giorno in giorno anche se i sondaggi gli danno ragione – Ma se cade Renzi, cosa viene dopo? Nè le elezioni anticipate nè il governo Visco: solo la Troika.

Una parte dell’establishment spara ormai a zero su Renzi ma dopo di lui c’è solo la Troika

E’ assai dubbio che ai giorni nostri i grandi giornali italiani, come la maggior parte delle tv, interpretino realmente il sentiment dell’opinione pubblica e non piuttosto quello dei loro editori o quello, assolutamente legittimo ma completamente autoreferenziale, dei loro direttori e di chi li scrive. La  rivoluzione di Internet non basta a spiegare il declino della stampa, che non è certamente solo italiano, ma che nel nostro Paese è crisi di copie e di fatturato ma anche di autorevolezza.

Tutto ciò premesso e senza la benché minima intenzione di sopravvalutare l’importanza dei giornali, non può non colpire l’immagine che del nostro Paese esce stamattina dalle aperture dei due principali quotidiani italiani. Il “Corriere della sera”, il cui direttore Ferruccio de Bortoli ha nei giorni scorsi scritto un editoriale di fuoco contro il premier Matteo Renzi, apre con un’intervista all’ex leader del Pd Massimo D’Alema così titolata: “Renzi istruito da Verdini”. “La Repubblica” risponde con un’intervista-sfogo di Renzi che si intitola così: “Mi attaccano, ma non mollo”, il cui sottotitolo è: “Non sono massone e non omaggio i  poteri forti”.

Un tempo, proprio D’Alema si augurava che l’Italia potesse finalmente diventare “un Paese normale”, ma siamo lontani mille miglia se le critiche al premier diventano insulti e se il complimento più carino che gli viene rivolto dal “Corriere della Sera” e da uno degli esponenti una volta più in vista della sinistra è di essere un massone o comunque di intrigare con massoni.

Ognuno naturalmente può pensare quel che vuole di Renzi e della sua azione di governo e di segretario del Pd, ma certo fa sorridere pensare a chi, come Beppe Grillo, accusava e accusa Renzi di essere un dittatore. Dev’essere una ben strana dittatura quella di un premier che ha contro i sindacati, i vescovi, una parte del suo stesso partito, le opposizioni esterne, il direttore del “Corriere della sera” e il fondatore de “La Repubblica”, Eugenio Scalfari,  pezzi di burocrazia, di magistratura, di imprenditori alla Della Valle, per non dire dei talk show e della stampa trash. Una dittatura così non s’era mai vista.

Ma è casuale la pioggia di attacchi che si infittisce in questi giorni contro Renzi o è il frutto di un piano studiato a tavolino che vedrebbe addirittura scendere in campo un nuovo partito capitanato da Diego Della Valle, orfano ahilui! di un genio della politica come Clemente Mastella che per lungo tempo è stato il suo consigliere, e che dovrebbe portare al ribaltone a Palazzo Chigi per affidare ancora una volta la guida del Governo a una riserva della Repubblica come Ignazio Visco? Meglio lasciare ad altri le dietrologie e rileggere la lezione di un grande – lui sì – della Repubblica come fu Bruno Visentini.

L’ex ministro e presidente del Partito Repubblicano era solito ricordare che, al di là delle semplici apparenze, un buon politico è quello che assomma tre virtù: ha competenza tecnica dei problemi che deve affrontare, ha ben chiare le priorità e soprattutto sa vedere in anticipo gli effetti di ogni sua mossa politica. E’ difficile stabilire quanti dei leader attuali abbiano davvero competenza tecnica dei problemi che devono affrontare e, ancor di più, abbiano chiare le priorità che l’azione politica richiede, ma soffermiamoci sull’ultima delle tre virtù indicate da Visentini per un buon politico: la capacità e la lungimiranza nel vedere gli effetti futuri di ogni sua mossa.

La domanda allora è semplice ma ineludibile: ammesso e non concesso che Renzi non sia all’altezza della situazione (ma in democrazia chi dovrebbe stabilirlo?), qual è l’alternativa all’attuale premier e che cosa verrebbe dopo di lui, se cadesse e se restasse impossibile votare in anticipo per l’assenza di una nuova legge elettorale? Di nuovo un tecnico a Palazzo Chigi? Chi lo invoca giurava solo qualche mese che mai e poi mai la politica doveva abdicare alla guida del governo. Ma soprattutto chi appoggerebbe un nuovo governo, se il Pd restasse in mano al leader, che può aver fatto i suoi errori, ma che è stato legittimato dalle primarie, da un congresso e dalla schiacciante vittoria elettorale alle europee? E per fare quale politica? Questo è il lato più comico degli avversari di Renzi che si annidano nei sindacati e nella minoranza del suo stesso partito.

Ma davvero si può credere che, destabilizzando Renzi, arrivi un governo che rinunci a riformare il mercato del lavoro, che riscriva o rinvii le riforme istituzionali ed elettorali, che lasci la burocrazia, la scuola e la giustizia così come sono e che rispolveri, infischiandosi dei parametri europei, l’infausta politica del “tassa e spendi”? Possono pensarlo i nostalgici come Susanna Camusso o  Stefano Fassina ma, sfortunatamente per loro, tra realtà e illusioni a vincere è sempre la realtà. Se cade Renzi, non ci sarà il sol dell’avvenire o la piccola politica di pessimo gusto. In un Parlamento tripolare come l’attuale, l’isolamento o l’indebolimento del Pd targato Renzi aprirebbe la strada – è fin troppo facile prevederlo – a turbolento periodo di instabilità e di ingovernabilità che spaventerebbe i mercati e che renderebbe impossibile raggiungere gli obiettivi di rilancio e risanamento dell’economia nel rispetto dei vincoli europei. Ecco perchè nel dopo Renzi c’è una sola prospettiva: la Troika. Complimenti.

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