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Una mostra della Fondazione Sicilia per i cento anni dalla morte del pittore Antonino Leto

Tredici opere esposte dalla Fondazione Sicilia per celebrare centesimo anniversario della morte del pittore Antonino Leto – L’allestimento è curato dall’architetto Corrado Anselmi – Le opere sono esposte nella suggestiva Sala della Cavallerizza

Una mostra della Fondazione Sicilia per i cento anni dalla morte del pittore Antonino Leto

Nella ricorrenza del centesimo anniversario della morte del pittore Antonino Leto (Monreale, 14 giugno 1844 – Capri, 31 maggio 1913), la Fondazione Sicilia dedica all’artista uno straordinario percorso espositivo, mettendo in mostra 13 opere appartenenti alla propria collezione pittorica. “Un secolo, ma non si vede – Antonino Leto nelle collezioni della Fondazione Sicilia” è il titolo dell’esposizione allestita fino al 29 settembre 2013, a Palazzo Branciforte, lo storico edificio nel cuore di Palermo dove ha sede la Fondazione Sicilia.

L’allestimento curato dall’architetto Corrado Anselmi, prevede la collocazione delle opere nella suggestiva Sala della Cavallerizza che già ospita la ricca collezione archeologica della Fondazione. Meravigliosi e coloratissimi quadri affiancati, in un insolito connubio di forme espressive, a rari e austeri reperti storici: il risultato espositivo è una contaminazione artistica dal forte impatto visivo.

Le 13 opere esposte e la loro storia:

1. Nel 1865 Antonino Leto, già discretamente noto tra gli estimatori d’arte di Palermo, conobbe il senatore Ignazio Florio, che gli commissionò la realizzazione di una veduta, oggi in mostra, dello stabilimento enologico da lui fondato a Marsala: Lo stabilimento enologico Florio a Marsala (o Fortezza sul mare o Baglio trapanese). Sebbene all’epoca la formazione dell’artista fosse tutt’altro che completa – Leto aveva trascorso, infatti, soltanto un semestre a Napoli, dove aveva conosciuto Palizzi e i pittori della Scuola di Resina e, nell’ambito della pittura siciliana, avendo frequentato la bottega del pittore Luigi Lojacono, aveva conosciuto la pittura verista di origine positivista del figlio di costui, Francesco – la personale riflessione dell’artista si manifesta chiaramente nell’equilibrio con cui il rigore analitico del disegno dell’edificio è coniugato alla scelta di rappresentare lo stabilimento nella luce offuscata dell’alba.

2. Tra il 1873 e il 1874, sussidiato sempre da da Ignazio Florio, Antonino Leto soggiornò a Portici, dove eseguì studi dal vero sul paesaggio vesuviano con i pittori della Scuola di Resina, e a Roma dove strinse amicizia con Francesco Paolo Michetti; artista questo con il quale perfezionò la resa del paesaggio e del quale assimilò le tematiche agresti come nel dipinto Scena Agreste, questo dipinto è testimonianza di una fase creativa dell’artista caratterizzata dalla costante ammirazione della natura: il paesaggio è indagato con animo poetico e con ricerca analitica e studio costante.

3. Dal mese di novembre del 1874 sino a tutto il 1877, Antonino Leto visse a Firenze dove potè usufruire di un pensionato artistico, frequentando il quale si avvicinò alle espressioni più attuali della pittura di paesaggio e alla scuola macchiaiola; corrente artistica questa che influenzò profondamente la sua concezione coloristica. L’ultimo tacchino, ritrae una scena ritratta in questa tavoletta è ambientata in una periferia urbana, probabilmente fiorentina come lasciano intuire le similitudini del dipinto con la maniera di Gioli e Cannici; artisti questi che formatisi con i maestri della “macchia”, si volgevano verso espressioni emotivamente coinvolgenti in linea con il naturalismo francese.

4. Nel 1877 dipinse Fanciulla di Zeus, il dipinto di notevoli dimensioni e caratteristico per il soggetto classicheggiante per lo più estraneo alla produzione di Leto, si colloca alla fine del soggiorno dell’artista a Firenze (1874–1877). La circolazione nell’ambiente fiorentino di saggi tedeschi incentrati sull’argomento mitologico potrebbe aver spinto il pittore a occuparsi di un simile tema. La maniera “saporosamente pittorica” adottata dall’artista in questo dipinto è riconducibile a quella con la quale Leto eseguì i bozzetti per la decorazione di una sala di Villa Florio all’Olivuzza, poi realizzata nel 1880.

5. Atrio di Palazzo Antico, è un’opera probabilmente realizzata negli ultimi decenni dell’Ottocento, questa piccola tavoletta – forse uno studio dal vero – testimonia la predilezione di Antonino Leto per i soggetti tratti dalla natura. La vegetazione che ricopre l’edificio sembra quasi un organismo vivente, attraverso cui la luce del giorno penetra a stento. Trasferitosi definitivamente a Capri, l’artista elabora un linguaggio espressivo coerente con il naturalismo europeo e con il sentimento verista che mette a frutto al meglio l’esperienza macchiaiola.

6. Dopo la spossante esperienza a Parigi (1879-1880) che lo aveva debilitato nel corpo e nello spirito, e dopo aver trascorso un breve periodo a Palermo, nel 1882 Antonino Leto si rifugia nelle isole dell’arcipelago napoletano, dove ispirato dall’incontaminata bellezza dei luoghi, si riavvicina ai temi semplici, legati al paesaggio e alla natura e realizza Bambino e fico d’india, l’immagine dell’opera è incentrata sulla ricchezza vegetativa del cactus e le pale di fico d’India sono descritte con un impianto disegnativo preciso ma quasi volutamente dissimulato con la resa a macchie del colore.

7/8. Ed è così che, dopo l’esperienza parigina che lo aveva avvicinato ai temi di vita contemporanea di derivazione impressionista e che lo aveva fiaccato nel corpo e nello spirito e forse insofferente a una cultura nella quale non si riconosceva più, Antonino Leto, ritornato in Italia, si dedicò allo studio delle possibilità luministiche ed emozionali del colore; si ridestò in lui l’interesse per la natura mediterranea, fonte di ispirazione continua e di emozione costante. Da questo momento, infatti, il mondo semplice e i gesti quotidiani dei pescatori e dei contadini diventano ricorrenti soggetti dei dipinti dell’artista, caratterizzati dalla perfezione del disegno e dalla stesura del colore “a macchie” presente in maniera sublime nei dipinti: Piccola veduta caprese e Spiaggetta caprese.

9. Segue Pescatore in riva al mare,  dove è evidente che l’artista è ispirato dal paesaggio incontaminato delle isole napoletane e dalla vita semplice condotta dagli abitanti di questi luoghi, incentra la propria attenzione sullo studio della natura e delle presenze umane che in essa operano. La figura del pescatore che osserva l’orizzonte dalla riva del mare è stata oggetto di approfonditi studi da parte dell’artista, basti ricordare tele quali Il richiamo, Vecchio pescatore e La sciavica.

10. Recuperata la salute fisica perduta a Parigi a causa del clima e dell’eccessivo lavoro scaturito dal rapporto con il mercante Goupil, ritrova con rinnovato slancio la passione per la natura. Egli trova nell’incontaminato paesaggio isolano, infatti, la situazione più confacente alla propria disposizione d’animo. Particolare è il taglio dell’inquadratura di questo dipinto Spiaggia con Agavi, che dà risalto più alle piante che al mare, evocando con straordinaria intensità la bellezza della natura mediterranea. Il quadro è stato realizzato negli stessi anni de I funari di torre del Greco, presentato all’Esposizione Nazionale di Roma del 1883.

11. Nel 1887 alla mostra della Società Promotrice di Napoli, Leto espose La sciavica – Marina di Portici, dipinto questo che fu particolarmente apprezzato da pubblico e critica. Per portare a termine quest’opera, Antonino Leto aveva realizzato molti studi e bozzetti che ritraevano figure di pescatori e ambientazioni marine, tra cui la tavola Studio per la Sciabica potrebbe rappresentare uno di questi studi. Realizzata probabilmente dal vero, ritrae le sagome inclinate di tre uomini con i piedi puntati a terra, nella caratteristica posa del pescatore che tira a riva le reti.

12. Nel 1881 Antonino Leto tornò a Palermo ospite di Ignazio Florio; questi gli commissionò, alcune decorazioni per la villa all’Olivuzza e per la villa ai Colli e, dopo una visita a Favignana – durante la quale Leto presumibilmente assistette a una mattanza – un dipinto che raffigurasse la pesca del tonno. L’opera è di notevoli dimensioni e stupefacente per le qualità formali: il vero – la brutalità della lotta tra le forze dell’uomo e del tonno – è permeato di intenso pathos. Il dipinto La Mattanza a Favignana ebbe una lunga e travagliata gestazione, iniziato, infatti, nel 1881 fu ultimato e consegnato soltanto nel 1887. Alla mostra della Promotrice Napoletana del 1890, l’artista presentò Un dettaglio della pesca del tonno in Sicilia, realizzato tra il 1881 e il 1884, di dimensioni ridotte e di diverso impianto compositivo.

13. Alle soglie degli anni Novanta lo stile di Antonino Leto era ormai pienamente definito e maturo: il giusto equilibrio tra la precisione dell’impianto disegnativo e la stesura del colore “a macchia” che permette di dispiegare le svariate possibilità cromatiche e luminose, era stato raggiunto. Ragazzo sul prato fu probabilmente realizzata dal vero, ha come protagonista la luce; essa, sobria nell’intonazione cromatica, investe l’immagine del bambino realizzata con sommari tocchi di pennello, e sembra quasi immobilizzarla. 

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