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Ucraina, così Putin riporta l’Europa alla Guerra Fredda: un salto indietro di mezzo secolo

Con l’operazione Ucraina Putin ha riportato l’Europa ai tempi della Guerra Fredda, con l’aiuto di alcuni errori dell’Occidente a partire dagli anni ’90

Ucraina, così Putin riporta l’Europa alla Guerra Fredda: un salto indietro di mezzo secolo

E così Vladimir Putin, con l’aiuto di alcuni errori dell’Occidente a partire dagli anni 90, ha riportato l’Europa alla Guerra Fredda. Un salto all’indietro di circa mezzo secolo. È una lunga vicenda cominciata assai prima, nel 1941.

Tutti sanno che l’obiettivo di Putin è di rivedere dal punto di vista strategico, e geografico, il massiccio crollo della posizione geopolitica russa in Europa dopo la fine dell’impero sovietico nel biennio 1989-1991. Ma come era stata raggiunta quella posizione? 

Le richieste di Putin 

La Storia ispira tutte le mosse russe. Il 17 dicembre scorso, Mosca presentava una bozza di trattato all’Alleanza Atlantica e in primis agli Stati Uniti. Due le principali richieste.  L’Ucraina e altri stati arrivati all’indipendenza nell’era post-sovietica dovevano impegnarsi alla neutralità, a non chiedere l’adesione alla Nato e questa a non concederla. La Nato poi doveva tornare in qualche modo alla realtà del 1997, prima delle nuove adesioni (avviate da Polonia e Ungheria e dalla allora Cecoslovacchia nel 1999) impegnandosi a non mantenere reparti di pronto impiego e installazioni missilistiche e altro nei Paesi entrati nell’Alleanza dopo il 97, cioè in tutta l’Europa centro-orientale. Washington e gli alleati erano disposti a trattare, ma anticipando che varie richieste, a partire dalle due centrali qui citate, erano in toto inaccettabili. A gennaio Mosca aggiungeva che anche la Svezia –  la Svezia da sempre indipendente e da due secoli neutrale – doveva impegnarsi a essere no Nato e così la Finlandia, semiautonoma da Mosca dal secondo dopoguerra al 1991, e da allora sovrana a pieno titolo, pena “gravi conseguenze” per gli equilibri europei. Più che inaccettabile.

Cosa ci insegna la storia

Stalin fu attaccato da Hitler il 22 giugno giugno 1941 dopo 20 mesi di alleanza (Patto di non-aggressione Molotov-Ribbentrop del 25 agosto 1939) e collaborazione anche economica tra Mosca e Berlino. Si trattava in realtà di un patto di aggressione che, nelle sue clausole segrete, consentiva alla Germania di attaccare la Polonia da Ovest e alla Russia da Est, il che avvenne quasi contemporaneamente nel settembre 39. C’era il via libera all’Urss per riprendersi anche i territori ex zaristi, indipendenti dopo la Prima guerra mondiale, dei tre Paesi Baltici, e parte della Finlandia, sotto controllo russo dal 1809 al 1918.

È utile ricordare che per la Russia, e così si insegna nelle scuole russe, la Seconda guerra mondiale comincia nel giugno 1941 e non nel settembre 1939, come dicono in tutto il mondo i manuali di Storia. Se è 1939, infatt,i occorre riconoscere che insieme ai nazisti a scatenare la guerra furono gli stalinisti. Un primo tentativo sovietico di riprendersi la Polonia zarista era fallito nel 1920. 

La visione di Mosca

Una ampia analisi degli archivi ex sovietici condotta, con storici americani, europei e russi dal Wilson Center di Washington (Cold War International History Project) ha consentito negli ultimi 30 anni notevoli passi avanti nella ricostruzione di come Mosca vedeva il futuro, dell’Europa in particolare, a partire da almeno il 1941. 

Emergono o vengono confermati tre punti, in estrema sintesi, della visione di allora. Una data cruciale. E una ferma convinzione. Ed è all’insegna di tutto questo che ancora oggi Putin si muove. 

Il primo punto è l’intangibilità dei confini raggiunti nel ‘41, dopo gli attacchi militari del 39-40 resi possibili dal trattato Molotov-Ribbentrop. Quando il ministro degli Esteri britannico Anthony Eden andò a Mosca a inizio dicembre 1941, poche ore dopo Pearl Harbour, trovò uno Stalin insensibile al fatto che le truppe tedesche erano ormai in vista del Cremlino e deciso a fissare, insieme all’intangibilità delle frontiere russe, il destino delle nazioni europee, vinte e demilitarizzate come la Germania, o liberate dal giogo nazista. Una visione da Mosca alla Manica. 

Il secondo punto che già emergeva a Mosca e che verrà meglio definito in seguito prevedeva che a guerra finita dovessero restare solo due potenze militari in Europa: una terrestre, l’Urss, e una marittima, la Gran Bretagna. La stessa Francia non doveva più ritornare alla preminenza militare goduta a tratti tra 800 e 900. Era il concetto di sfere d’influenza, molto caro a Mosca, e il tentativo di fare dell’intero Europa continentale, in vario modo e grado, la sfera d’influenza dell’Urss, ben oltre il cordone sanitario e protettivo di stati-vassalli sui suoi confini occidentali.

Il terzo punto, corollario del secondo se si vuole, era “prevenire la formazione in Europa di qualsiasi potere o combinazione di poteri con potenti eserciti” La citazione è da un memoriale preparato nel 1944 per il ministro degli Esteri Molotov e per Stalin da Ivan M. Maisky, autorevolissimo ex ambasciatore a Londra, sugli assetti futuri in Europa e i rapporti con Regno Unito e, soprattutto, Stati Uniti. Due analoghi memoriali, uno dell’allora molto giovane (35 anni) ambasciatore a Washington, Andrei Gromyko, l’altro dell’ex ministro degli Esteri degli anni ’30, Maxim Litvinov, vanno letti insieme. I tre documenti danno un quadro molto utile del pensiero geopolitico sovietico mentre la vittoria era ormai vicina. Litvinov aggiunge un punto, dopo aver detto che gli Usa sono lontani, due grandi oceani li separano, e interessati a un inevitabile predominio economico-finanziario, ma non strategico. Restano però capaci, osserva Mainsky, “…di creare per noi molti seri problemi…stimolando la resurrezione di Germania e Giappone…e costruendo un blocco antisovietico in Europa poggiando su Paesi come la Francia…” Proprio come sarebbe presto finita. 

L’Italia era per Maisky “ininfluente”. E per Stalin andava amputata della parte nord-orientale da cedere alla Jugoslavia di Tito. Maisky Litvinov e Gromyko erano su posizioni “aperte”, per continuare dopo la guerra la collaborazione alleata, su temi economici soprattutto; poi c’erano i “duri”.

Il piano Marshall

La data che concretizzò i timori di Maisky sugli Stati Uniti e che cambiò tutto, molto più della Dottrina Truman del 12 marzo 47 (aiuto Usa, in chiave anti-Urss, a democrazie contro guerriglia interna e pressioni esterne) è quella del 5 giugno sempre del 47, quando fu annunciato il Piano Marshall, in teoria aperto anche ad Est. Gli Stati Uniti, che avevano ampiamente smobilitato, tornavano in Europa. Donald Mclean, la spia sovietica allora  primo segretario dell’ambasciata britannica a Washington, informava Stalin che il vero obiettivo era una rinascita dell’Europa per nulla voluta dall’Urss ma vitale per Washington, per fermare le ambizioni di Mosca sull’intero continente. 

Molotov partecipava ai primi di luglio all’inizio della riunione organizzativa del Piano, a Parigi, ma lasciava presto con un discorso molto polemico. Il Piano avrebbe fatto saltare, nell’ottica moscovita, l’economia degli Stati-cuscinetto dell’Est, già orientata da Mosca verso l’Urss da vari trattati bilaterali. 

Il no sovietico era  “una dichiarazione di guerra dell’Unione Sovietica sul tema impellente del controllo dell’Europa”, diceva Walter Bedell Smith, ambasciatore Usa a Mosca. E Mosca vedeva il tutto come l’esatto contrario americano. Resta agli europei giudicare quale sorte sia stata migliore, o meno peggio.

Infine la ferma convinzione sovietica: gli Stati Uniti non appartengono all’Europa, e quindi non possono pretendere di determinarne il destino. Quello di Comunità Atlantica (formula lanciata a New York dal giornalista e politologo wilsoniano  Walter Lippmann, nel lontano 1917), è un concetto “fantastico e irrealistico, impossibile da trattare seriamente” aveva scritto Maisky nel 44. E invece ha funzionato. 

Gli obiettivi del Cremlino

Ancora recentemente, attaccando la presenza di basi antimissile Nato (americane) a meno di 1000 chilometri da Mosca, mentre la Russia non ha nulla a meno di 1000 chilometri da Washington, Putin si è rifatto all’estraneità americana dall’Europa. Come 80 anni fa l’obiettivo è spezzare il nesso Europa-America. L’alternativa, chissà se Mosca la mette in conto, è un vero riarmo tedesco in tandem con la Francia e gli altri partner europei, cosa che Mosca farebbe l’impossibile per spezzare sul nascere. 

L’errore occidentale è stato, da parte di Bill Clinton e di Bush jr. soprattutto, quello di umiliare troppo Mosca con l’eccessivo, forse, avanzamento Nato verso Est. Ma per molti aspetti Putin parla come se l’Urss esistesse ancora. Agisce come se lui fosse in linea diretta con quella stagione di 80 anni fa. E Nato e Ue andassero osteggiate come Mosca faceva nel 49 o nel 57. Per questo la moribonda Nato, priva di scopi e di futuro si diceva dopo il 91, è rinata a nuova vita ottenendo un gerovital che le assicura un decennio almeno di garantita e omaggiata esistenza. Chi dice in queste ore che è inutile? Ne avremmo fatto a meno, dopo tanti anni, perché faremmo a meno di una reincarnazione dell’Urss. 

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