Notte di scontri a Istanbul e Ankara dopo la terza giornata di proteste in tutta la Turchia. La polizia ha usato gas lacrimogeni e idranti contro i manifestanti che hanno marciato contro gli uffici del premier Recep Tayyp Erdogan nelle due città urlando “dittatore, dimettiti!… Resisteremo fino alla vittoria”. Stando all’ultimo bilancio diffuso dal ministro dell’Interno, sono oltre 1.700 le persone arrestate in tre giorni di proteste in 67 città del Paese, sebbene molte di loro siano già state rilasciate, mentre sono stati contati 58 feriti tra i civili e altri 115 tra le forze di sicurezza.
Secondo l’Associazione dei medici turchi, sono 484 i manifestanti soccorsi negli ospedali di Istanbul da venerdì scorso, quando sono iniziate le proteste contro il progetto di radere al suolo un parco per costruite un centro commerciale. Il Governo ha annunciato sabato che il progetto di sviluppo del parco andrà avanti, ma potrebbe non prevedere un centro commerciale. Ieri, Erdogan ha rinnovato il suo appello a mettere fine alle proteste: “Se amate questo Paese, se amate Istanbul, non cadete in questi giochi”.
Per la Turchia è stato il fine settimana più lungo e violento della sua storia recente. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in diverse parti del Paese. Il motivo iniziale della protesta era la difesa dei 600 alberi di Gezi Parki, un piccolo giardino dietro Piazza Taksim, nel centro di Istanbul e simbolo dello stile di vita occidentale della città. In breve, però, le manifestazioni si sono trasformate in un’onda lunga di dissenso nei confronti dell’esecutivo islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan, accusato di aver attuato una stretta autoritaria alla vita quotidiana del Paese negli ultimi due anni.
Sabato i manifestanti hanno assediato Piazza Taksim e tutte le zone limitrofe, fronteggiando gli attacchi della polizia, che ha utilizzato gas urticanti lanciati ad altezza d’uomo e getti di idrante. Una repressione ai limiti dello spietato, che ha indotto il presidente della Repubblica, Abdullah Gul, ha chiamare il premier turco Recep Tayyip Erdogan e a chiedere di favorire un atteggiamento più mite da parte delle forze dell’ordine.
Sabato pomeriggio si pensava fosse arrivata la svolta. Erdogan aveva ammesso l’uso eccessivo della forza da parte degli agenti, la polizia si era ritirata da piazza Taksim, lasciando il campo ai manifestanti. Ma il teatro della violenza si era solo spostato di qualche chilometro. Le proteste e la repressione, ancora più violenta, hanno traslocato a Besiktas, quartiere sul Bosforo nella parte europea della città, dove si trova l’ufficio che il premier Erdogan utilizza a Istanbul. Gli agenti hanno utilizzato contro i manifestanti gas ancora più urticanti di quelli usati durante la giornata. Decine di feriti, anche in modo grave hanno trovato rifugio nei portoni dei palazzi e nelle case private. Allo stesso tempo, nel resto del Paese, la gente si è fatta strada percuotendo pentole e marciando al grido di “Erdogan istifa”, Erdogan dimissioni.
Ieri in decine di migliaia si sono radunati nuovamente a Taksim, pacificamente e senza la polizia. Una manifestazione colorata e allegra, con tante anime in piazza, dagli ultralaici ai nazionalisti, dai curdi alle persone legate agli ambienti conservatori, ma contrarie alla deriva autoritaria di Erdogan. Ma fuori dalla zona, le scene di guerriglia urbana sono rimaste le stesse. La polizia ha caricato i manifestanti a Besiktas fino all’alba. Ad Ankara ne ha arrestati oltre 500.
Dal premier Erdogan sono arrivati messaggi, ma non quelli che la piazza si aspettava. Il premier durante un’intervista all’emittente Haberturk, ha parlato della futura piazza Taksim dopo il lavoro di riqualificazione, spiegando dove costruirà la moschea. Non una parola sulle proteste, salvo poi definire “saccheggiatori” i manifestanti e Twitter “una digrazia per la nazione”.