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Trump e la Fed: confermare la Yellen o no? Tre opzioni sul tappeto

Da “IL ROSSO E IL NERO” di ALESSANDRO FUGNOLI, strategist di Kairos – Il Presidente Trump deciderà in due o tre settimane il destino della Fed, dalla cui politica monetaria dipende anche quella delle altre banche centrali – Resterà come oggi con la Yellen, diventerà più morbida o più aggressiva?

Trump e la Fed: confermare la Yellen o no? Tre opzioni sul tappeto

Nella filosofia greca tutto ciò che è bello è per questo stesso fatto anche buono. Allo stesso modo tutto ciò che è buono è anche bello. Tutto ciò che è buono e bello è anche giusto e viceversa. Tutto ciò che è buono, bello e giusto è anche vero e viceversa. Tutto ciò che è bello, buono, giusto e vero partecipa del divino ed è quindi eterno. La parte finale di un bull market è la visione beatifica di un equilibrio perfetto tra crescita e inflazione. Questo equilibrio può variare da un ciclo all’altro. Due decenni fa poteva essere il 3 di inflazione e il 4 di crescita, oggi è poco sotto il 2 per l’inflazione e vicino al 3 per la crescita.

In ogni caso in ogni ciclo esiste un allineamento che appare ottimale non solo per i numeri in gioco, ma anche e soprattutto perché questi numeri appaiono improvvisamente sostenibili per tutto l’orizzonte prevedibile. Quando il buono e il bello vengono scoperti non come il fuggevole allineamento di un’eclissi ma come nuove stelle fisse da cui promana luce eterna, la mente viene folgorata e rinasce a nuova vita. Quotazioni che fino a ieri sembravano care e insostenibili appaiono improvvisamente naturali. Comprare a un prezzo doppio o triplo rispetto a quello che qualche tempo prima ci rifiutavamo di pagare diventa facile e non richiede più particolari riflessioni.

Il fatto che non si vedano le manifestazioni pittoresche di entusiasmo dei cicli passati non deve trarre in inganno. Non compriamo più i junk bond in prima persona, ma le emissioni obbligazionarie a cento anni di debitori dubbi vengono assorbite senza problemi da fondi pensione e assicurazioni cui affidiamo il nostro futuro. Non compriamo più a leva come nei cicli passati, ma compriamo Etf a leva che fanno la stessa cosa per noi. Paghiamo le macchine per comprare senza riflettere e senza emozionarsi e queste comprano perché vedono altre macchine che comprano. La bassa volatilità rende noioso il rialzo ma lo fa apparire invulnerabile. E d’altra parte il piccolo rialzo azionario quotidiano è pur sempre più grande del rendimento annuale di un bond e quindi restiamo investiti.

Tutto è ordinato, asettico, lento e composto. E inerziale. E tutto si regge su banche centrali che procedono con il pilota automatico, economie che crescono bene in tutti gli angoli del mondo e un’inflazione talmente bene educata che la si vorrebbe perfino un po’ più vivace. Per carità, i problemi ci sono e li vediamo tutti, ma non si manifestano in modo rumoroso. Il debito aumenta ogni giorno (in particolare quello cinese), ma finché i tassi rimangono bassi e finché le banche centrali lo sostengono possiamo non farci troppo caso.

Fallisce Puerto Rico? E chi ha mai pensato che non sarebbe fallito un debitore che ha sempre venduto tutta la carta che voleva, fino ai limiti del ridicolo, per il solo fatto che era fiscalmente esente? È il secondo segnale, dopo Detroit, del marcio che dilaga in buona parte del debito locale americano? Fa niente, finché scoppia un bubbone all’anno lo possiamo assorbire senza problemi. Kim? Fa salire i titoli legati alla difesa. La Catalogna? Tiene basso l’euro e quindi fa salire la borsa. Il populista Babis sta per salire al potere a Praga e per allearsi con Budapest e Varsavia contro Berlino, Parigi e Bruxelles? Problema locale.

L’Europa francotedesca comincia a somigliare a quell’impero austroungarico in cui tutti dicevano di volersi bene salvo poi scoprire alla fine che tutti si detestavano? Fa niente, finché ci sono i soldi di mezzo e uscire dall’euro fa diventare poveri tutti resteranno insieme. Attenzione, però. L’equilibrio attuale è perfetto e potrebbe anche essere duraturo, sulla carta, se non fosse che questi allineamenti, in particolare quello tra crescita e inflazione, sono storicamente difficili da mantenere a lungo. Pensiamo alla Fed. Trump ha tre possibilità. Lasciarla come è oggi, confermando la Yellen. Renderla più aggressiva, scegliendo Warsh o Taylor.

Renderla più morbida, nominando Powell o addirittura, come dice Gundlach, l’ultracolomba Kashkari. Una Fed più aggressiva alzerebbe i tassi fino a provocare inevitabilmente, se non una recessione, un rallentamento della crescita. Una Fed più morbida lascerebbe salire l’inflazione fino a mettere in imbarazzo la parte lunga della curva e i multipli di borsa. Una Fed confermata cercherebbe di stare in equilibrio, ma si troverebbe a fare i conti con una bolla azionaria e con il suo inevitabile scoppio.

Quando una cosa è (o appare) perfetta, prima o poi arriva sempre qualcuno che la vuole rendere ancora più perfetta. Negli anni Sessanta tutto sembrava perfetto. C’era crescita, molta più di oggi, e piena occupazione. A qualcuno venne in mente che, con un po’ più di spesa pubblica, ci sarebbe stata ancora più crescita. Ci fu invece più inflazione. Oggi Trump morde il freno. Vuole più crescita e più occupazione. Avrà alla fine, quasi sicuramente, una riforma fiscale espansiva ma non è da escludere che vorrà lasciare un segno ancora più forte nella storia con una Fed anch’essa più espansiva.

Se così sarà, anche le altre banche centrali si dovranno adeguare, pena una rivalutazione eccessiva delle loro monete. Il 2018 sarà allora un anno turbo ma anche un anno in cui si andrà a vedere davvero se l’inflazione è morta, come si usa dire oggi, o se, a furia di  stuzzicarla, è pronta a tornare tra noi. Test di questo tipo vanno magari a finire bene, ma danno comunque momenti di volatilità e paura. Godiamoci il presente (sempre con moderazione, come avrebbe detto Epicuro) e restiamo investiti finché la riforma fiscale è una speranza su cui sognare e non una realtà che avrà comunque i suoi limiti e non ci aprirà le porte del paradiso. Prepariamoci ad alleggerire perché il mondo l’anno prossimo, anche nel migliore dei casi, sarà più instabile.

Quanto al lungo termine, ignoramus et ignorabimus. Quanta inflazione ci sarà nel 2100, quando i nostri bond centenari avranno ancora 17 anni di vita residua? Ce ne sarà poca perché la tecnologia avrà dispiegato nel frattempo tutto il suo impatto deflazionistico o ce ne sarà di più perché (come dice una recente analisi del Fondo Monetario) l’invecchiamento della popolazione, dopo due tre decenni di disinflazione, comincia a provocare inflazione? Quando la Cina, nel 2100, avrà 400 milioni di persone in meno nella sua forza lavoro, dovrà pagare stipendi più alti o penseranno a tutto i robot?

Cerchiamo insomma di riflettere sul fatto che alla fine della luce, per abbagliante che sia, c’è sempre un tunnel in cui bisogna infilarsi. Che sia confortevole come il nuovo Basistunnel del Gottardo o stretto e tortuoso come quello costruito dai nostri bisnonni lo vedremo a suo tempo. Fra due tre settimane, il tempo che Trump si è riservato per decidere della nuova Fed, ne sapremo di più.

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