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Trivelle e rinnovabili: l’errore di confondere desideri e realtà

L’opinione pubblica italiana riceve una rappresentazione deforme della transizione energetica verso l’energia verde – Manca un piano energetico serio come invece hanno la Norvegia e gli Emirati – Ecco allora cosa si dovrebbe fare per raggiungere davvero gli obiettivi

Trivelle e rinnovabili: l’errore di confondere desideri e realtà

Stop alle trivelle, corsa alle fonti rinnovabili, rivoluzione energetica, transizione dalle fonti fossili all’energia pulita. Sono le parole-chiave al centro del dibattito politico-economico sui media in materia di energia.

Ho letto e condivido l’analisi di fondo dell’articolo “Stop alle trivelle, ma anche le rinnovabili sono ferme” ma vorrei aggiungere qualche spunto volante, utile a completare il quadro.

Partiamo da alcuni numeri: qui sotto abbiamo il grafico della disponibilità mondiale di energia primaria nel mondo alle soglie del 2040, elaborato dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA). Vediamo il consolidare delle tendenze 2010-2020, ovvero un aumento progressivo lento e costante del consumo globale di energia; una complessiva immutabilità del mix; un lieve progressivo aumento proporzionale del carbone e in misura minore del gas; un contributo bassissimo del complesso delle rinnovabili, la cui crescita non è quasi avvertibile, e comunque in gran parte rappresentata ancora da idroelettrico e geotermico.

Grafico Iea su domanda mondiale energia primaria
IEA World Energy Outlook 2018

Grafico interattivo

Se questi sono i fatti, l’opinione pubblica italiana ne riceve una rappresentazione deforme, che tende a far confondere i desideri e gli auspici con la realtà: sono state e sono investite grandi somme in Italia sul settore, equivalenti ad una finanziaria l’anno per gli ultimi dieci anni, tutte in bolletta invece che nella fiscalità ordinaria dove sarebbero state anche leggibili, con un’incidenza sul mix energetico sostanzialmente nulla.
Con quelle stesse somme avremmo potuto risanare le scuole, incrementare il welfare, o più semplicemente fare un piano energetico serio.

La mancanza di un serio piano di sviluppo delle rinnovabili, quali hanno invece ad esempio Norvegia ed Emirati, ha paradossalmente finora favorito la permanenza delle centrali a carbone, sempre più necessarie al bilanciamento quanto più aumentano le produzioni da rinnovabili discontinue (il fotovoltaico) in assenza di un sistema di equilibrio efficiente.

Vediamo allora quel che fanno i tanti Paesi più avanzati e razionali di noi:

– il tema del cambiamento del mix energetico è un tema mondiale che deve essere affrontato con politiche europee e con piani europei: sulla carta è così, nei fatti un po’ meno;

– occorre un piano per potenziare l’accumulo, rapidamente, per ora e per breve tempo con batterie, nel medio periodo con l’idrogeno, a regime con le tecnologie che la ricerca ci metterà a disposizione. Le batterie a disposizione possono essere quelle delle auto elettriche se finalmente verranno approvati standard comuni per l’inserimento e l’estrazione delle batterie dalle auto alle stazioni di servizio, rendendole ricaricabili per davvero in tempi ragionevoli (2-4 minuti) e costituendo in tal modo un prezioso stoccaggio di batterie in ricarica a disposizione della rete per gli stoccaggi orari.

– L’idrogeno può sopperire in modo più ecologico delle batterie al problema del l’accumulo, ma occorre sviluppare rapidamente gli studi e i programmi per il trasporto e lo stoccaggio, che vanno sostenuti dallo Stato; la ricerca di nuovi sistemi di produzione e di accumulo per le rinnovabili deve essere sostenuta maggiormente e a livello italiano gestita in modo più coordinato e finalizzato, per uscire dall’attuale situazione di meri utilizzatori finali di tecnologie e infrastrutture altrui.

– Il blocco delle trivelle, come viene chiamato, sposta semplicemente l’approvvigionamento di fossili dal territorio nazionale all’estero. Poiché parliamo soprattutto di gas, sposta dalle produzioni del nostro Adriatico a quelle della Russia, in particolare in assenza di gasdotti alternativi quali il TAP. Su quest’ultimo punto mi piacerebbe che qualcuno approfondisse, nella logica del ‘cui bono’, le azioni poste in atto con successo per fermare lo sviluppo dello shale gas in Europa, del gas nell’offshore italiano, dell’importazione da paesi alternativi attraverso i il TAP per il gas azero.

Il piano energetico, o Piano Energia Clima se vogliamo, è stato proposto in varie salse per molti anni con scarso successo. I motivi sono tanti, ma certamente tutti i piani e le strategie avevano in comune queste caratteristiche:

– ridotto orizzonte temporale, spesso limitato a pochi anni e comunque sempre solo alla prima scadenza europea in vista, mentre gli investimenti energetici hanno bisogno di un orizzonte certo di almeno 20 anni;

– scarsa analisi dello stato dell’arte: non è mai stata fatta una mappatura completa di tutte le fonti e del reale potenziale di sviluppo nel territorio;

mancanza di connessione con i piani energetici regionali: ancora oggi se qualcuno si prende cura di sommare tra loro i piani regionali (e non ci sono neanche tutti), si accorge che non si integrano e che la loro somma non corrisponde affatto a quella del piano nazionale;

– assenza di concertazione reale, mediante strumenti di débat public regolati dalla legge;

– mancanza di una Valutazione Ambientale Strategica del piano;

– assenza di strumento normativo di recepimento del piano;

assenza di raccordo tra le politiche del piano e gli stanziamenti nelle finanziarie.

Da quanto sopra si desume facilmente cosa invece si dovrebbe fare: è facile desumerlo, tutt’altro che facile farlo.

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