L’escalation tra Iran e Israele, aggravata dalle crescenti tensioni con gli Stati Uniti, riporta l’attenzione sullo Stretto di Hormuz, uno dei passaggi marittimi più strategici al mondo. Questo corridoio tra il Golfo Persico e il Golfo dell’Oman, cruciale per il transito di petrolio e gas naturale destinati a Europa, Asia e Nord America, è oggi al centro di uno scenario ad altissimo rischio. La possibilità che Teheran decida di bloccarlo non è più soltanto teorica. Ma quali sarebbero le conseguenze?
Una chiusura dello Stretto di Hormuz avrebbe effetti immediati, ben oltre i confini regionali. I prezzi del petrolio e del gas subirebbero un’impennata immediata e, a cascata, inflazione, bollette, costi dei trasporti, attività industriali e mercati finanziari ne risentirebbero profondamente. L’Europa, e in particolare l’Italia, ne sarebbe colpita in modo diretto, vista la forte dipendenza dalle importazioni di energia. L’interruzione aggraverebbe i rincari e le difficoltà delle raffinerie europee già provate dalla crisi energetica post-Ucraina.
Uno scenario che riecheggia le crisi petrolifere degli anni ’70, con conseguenze potenzialmente recessive.
Stretto di Hormuz: cos’è e perché è così importante
Lo Stretto di Hormuz è una lingua di mare larga circa 54 km nel punto più ampio e solo 21 km nel punto più stretto, che collega il Golfo Persico al Golfo di Oman e quindi all’Oceano Indiano. Si tratta dell’unica via d’uscita marittima per i principali esportatori di greggio del Medio Oriente: Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait, Qatar e Bahrein.
Secondo i dati dell’EIA (U.S. Energy Information Administration):
- Circa il 20% del petrolio mondiale passa ogni giorno da qui, pari a oltre 17 milioni di barili.
- Attraversa anche circa un quinto del gas naturale liquefatto (gnl) prodotto nel mondo, principalmente dal Qatar.
- Oltre 3.000 navi commerciali transitano mensilmente.
Una chiusura – anche temporanea – metterebbe a rischio una fetta enorme dell’approvvigionamento energetico globale.
Stretto di Hormuz: cosa succede se lo chiudono? Gli effetti
Se l’Iran dovesse realmente chiudere lo Stretto, anche solo minacciandolo con mine o operazioni navali, gli effetti sarebbero immediati:
Prezzi del petrolio in impennata
Anche in assenza di un blocco concreto, il solo rischio ha già spinto il prezzo del Brent oltre i 79 dollari al barile (+18% in due settimane); attualmente si attesta intorno ai 77,35 dollari (+0,44%). In caso di interruzione totale, secondo gli analisti i prezzi potrebbero salirerapidamente tra i 100 e i 130 dollari, con punte fino a 150 dollari in caso di conflitto prolungato.
Aumento dei prezzi del gas
Il gnl qatariota, destinato principalmente a Europa e Asia, verrebbe fortemente limitato. Gli effetti sarebbero analoghi a quelli della crisi del gas del 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina, con prezzi alle stelle e nuove tensioni sui mercati. Ad Amsterdam, il prezzo del gas è già salito del 2% a ridosso dei 42 euro per megawattora.
Impennata dell’inflazione e bollette in salita
Secondo Unimpresa, tre mesi di tensione nel Golfo Persico basterebbero a far salire l’inflazione in Italia di 0,8 punti percentuali, con:
- Bollette elettriche e del gas in crescita del 30-40%
- Carburanti oltre i 2,2 euro/litro
- Prezzi in aumento per trasporti, beni di consumo e alimentari
Le famiglie vedrebbero peggiorare significativamente il potere d’acquisto, mentre per le imprese energivore (ceramica, metallurgia, meccanica, alimentare) i costi operativi mensili potrebbero aumentare fino a 6.000 euro solo per l’energia.
Rallentamento della crescita economica
In un contesto già fragile per via di guerre commerciali e tensioni internazionali, un blocco a Hormuz comporterebbe interruzioni logistiche e ritardi nelle catene di approvvigionamento. Il rischio è quello di frenare la fragile ripresa economica post-pandemica, aggravando le tensioni su bilanci pubblici e consumi privati.
Stretto di Hormuz: perché i mercati reggono (per ora)
Nonostante le tensioni, i mercati energetici non sono ancora nel panico. Perché? C’è un eccesso di offerta.
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, la produzione mondiale di petrolio sta crescendo più velocemente della domanda. Se questo ritmo continuerà, entro la fine del decennio si potrebbe avere un surplus di 8 milioni di barili al giorno. Questo “cuscinetto” limita l’instabilità.
Ma in caso di chiusura prolungata, le scortestrategiche non basterebbero a contenere l’onda d’urto, e i prezzi tornerebbero a salire bruscamente.
Impatto geopolitico e militare: chi decide sullo Stretto di Hormuz?
L’Iran ha più volte minacciato la chiusura dello Stretto ma non è mai passato ai fatti, consapevole dei rischi economici e politici, anche perché un blocco danneggerebbe le esportazioni verso alleati come Cina e Russia, principali partner di Teheran. Tuttavia, in un clima così instabile, l’eventualità di una sua chiusura non può essere esclusa.
Dopo l’attacco statunitense ai siti nucleari iraniani e le minacce di Teheran di chiudere lo Stretto, il regime sta valutando varie opzioni, dal blocco totale alla creazione di un passaggio “poco sicuro”, come dimostrato dall’incidente tra petroliere nel Golfo di Oman del 15 giugno. La decisione finale spetta al Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale iraniano, sotto la Guida Suprema Ali Khamenei.
Gli Stati Uniti e l’Europa hanno ribadito l’importanza della libertà di navigazione nello Stretto. Washington mantiene una presenza navale costante, supportata da missioni europee come Emasoh e Aspides, pronte a intervenire in caso di blocco. Un conflitto aperto rischierebbe di coinvolgere attori regionali come Hezbollah, Siria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, portando a un’escalation pericolosa per la stabilità globale.