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Startup e Ai generativa: dalla concorrenza all’alleanza, si ribaltano le strategie classiche

L’intelligenza artificiale ha ribaltato le strategie concorrenziali classiche tra startup e incumbent. Ora si punta sulle alleanze come OpenAi e Microsoft. Ecco perché e quali scenari di open source si stanno aprendo

Startup e Ai generativa: dalla concorrenza all’alleanza, si ribaltano le strategie classiche

Nella mitologia delle start-up tecnologiche c’è il garage. Tutto inizia in un garage. Il garage dove, nel 1947 al 367 di Addison Avenue a Palo Alto, i due giovani ingegneri David Packard e Bill Hewlett avevano “startuppato” l’HP – la madre di tutte le imprese innovative dell’IT –  è oggi uno dei simboli più leggendari dell’imprenditoria. Lo stesso dicasi per il garage di Steve Jobs dove è nata la Apple. Non molto diversa è anche l’origine di Google. 

La genesi di queste imprese destinate a durare è entrata nell’immaginario di intere generazioni di imprenditori ispirandoli e anche indicandogli che è sull’idea che si costruisce qualcosa di grande. 

Molti hanno iniziato a vedere nell’inaspettato e sorprendente sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa il ritorno del garage. 

Il successo di Open Ai, una startup sconosciuta fino a pochi mesi fa e oggi addirittura nel mirino dell’antitrust, sembra rappresentare un momento di svolta nel percorso dell’alta tecnologia come possono essere stati lo sbarco del personal computer nella seconda parte degli anni settanta con l’Apple 2 o l’accesso a Internet con il browser Netscape a metà degli anni Novanta.

Analogie

L’accostamento può avere un senso fino a un certo punto. Nell’odierna nuova ondata dell’AI generativa ritroviamo dei tratti comuni a quei momenti, ma pure dei tratti del tutto inediti.

Un tratto comune è che ad avviare una rivoluzione, come spesso accade nella storia, non è stato un incumbent, cioè una grande entità con una posizione di preminenza come era l’IBM quando si affacciò l’Apple 2 oppure Microsoft quando Netscape Navigator iniziò a portare la gente su Internet. Sono state delle start-up fondate da giovani visionari e coraggiosi ad innescare il cambiamento e a fissarlo nelle abitudini della massa dei consumatori.

È successo però che, dopo qualche anno di disorientamento, gli incumbent hanno riacciuffato il controllo della situazione: Big Blue con il Pc IBM e Microsoft con Internet Explorer. È accaduto però che la ripresa del controllo è durata un’estate di San Martino perché la sfida lanciata dai disrupter aveva messo in moto un processo di proliferazione di investimenti e d’imprese innovative che sfuggiva al controllo di qualsivoglia entità.

Forse le analogie tra i citati momenti di svolta nella storia della tecnologia e quello attuale dell’AI generativa sostanzialmente si esauriscono qui. 

Nuove condizioni e nuove strategie

Le ingenti risorse economiche e la potenza di calcolo necessarie alle start-up che tentano di affermare le loro soluzioni basate sulla tecnologia più in voga del momento potrebbero rendere l’epos del garage un canto delle sirene.

Nella corsa dell’AI generativa la soglia di ingresso è molto alta e il conto è salato. La creazione di applicazioni o piattaforme richiede investimenti, infrastrutture e risorse organizzative che sovrastano le possibilità di una start-up anche nel caso di un forte apporto del capitale di ventura. 

Per le start-up dell’AI generativa si profilano due strade: sviluppare una tecnologia innovativa e venderla all’incumbent di turno che ne è privo, oppure, mantenere il controllo della società e allearsi con quest’ultimo utilizzando le risorse, i servizi e le infrastrutture che l’incumbent ha già costruito nella dimensione che serve.

Pertanto costruire una start-up di successo è una missione pressoché impossibile senza il sostegno di una società che disponga di vasti, diffusi e costosi data-center. Queste società sono poche e in genere sono delle multinazionali potenti e temute anche dai governi.

A braccetto con il nemico

Si capisce pertanto perché è l’opzione dell’alleanza piuttosto che della concorrenza ad essere maggiormente accreditata nella strategia di crescita della startup. Si viene a verificare così una congiunzione di obiettivi tra la start up che vuole scombinare i giochi e l’impresa che già guida quei giochi. Una cosa impensabile all’epoca del garage: ve lo immaginate la Apple di Steve Jobs che va dall’IBM a offrire la propria tecnologia in cambio di un sostegno a scalare la sua attività? Inimmaginabile.

Oggi però sta avvenendo proprio questo. Anzi è già avvenuto con l’alleanza strategica tra OpenAI, che ha sviluppato gli algoritmi di ChatGTP4 e DALL-E, e Microsoft che possiede la infrastruttura cloud e la potenza di calcolo per portare queste applicazioni alla massa dei consumatori.

OpenAI ha, infatti, ricevuto 10 miliardi di dollari da Microsoft. La maggior parte di questa somma tornerà a Microsoft per pagare il tempo consumato dalle applicazioni di AI sui computer delle proprie server farm. Grazie a cluster di migliaia di chip specializzati, ChatGPT e altre tecnologie simili sono in grado di servire adeguatamente il pubblico sempre più numeroso che le interroga. E OpenAI non è la sola ad avere intrapreso questa strada di alleanze diciamo “innaturali”.

Inoltre le scelte di OpenAI finiscono per condizionare anche i possibili concorrenti. Quest’ultimi, infatti, devono poter mettere le mani su un’analoga quantità di elaborazione.

Alla ricerca della potenza di calcolo

Cade Metz, reporter tecnologico del New York Times”, in un recente servizio riporta alcuni casi di startup che si stanno muovendo nella scia di OpenAI.

Tra le altre c’è Cohere che recentemente ha raccolto 700 milioni di dollari che utilizzerà in gran parte per accedere alle server farm di Google. I tre giovani fondatori di Cohere sono ex-dipendenti della società di Mountain View. Il Ceo di Google, Sundar Pichai, ha personalmente approvato questo accordo che prevede un sostegno decisivo a un potenziale concorrente.

Infatti Cohere sta costruendo un modello di rete neurale artificiale, un LLM (Large Language Model, capace di competere con Bard, la proposta di Google. In realtà non ci sarà collisione perché il modello di business di Cohere è B2B.

L’idea dei fondatori di Cohere è intatti quella di rendere disponibile la propria tecnologia ad altre aziende, nel senso di fornirgli una sorta di motore di AI per costruire e gestire le proprie applicazioni siano esse chatbot, motori di ricerca, tutor personali o contenuti specifici. Tutte queste applicazioni saranno cloud e quindi voraci di potenza di calcolo.

I giganti della tecnologia sono quindi in una posizione di forza perché hanno in casa le risorse necessarie per spingere questi sistemi più in là di chiunque altro. Google, inoltre, detiene anche il brevetto su Transformer, la tecnologia alla base dei sistemi di AI che Cohere e molte altre aziende stanno costruendo.

Transformer è un esempio di ciò che si chiama rete neurale, cioè un sistema matematico in grado di apprendere da dati massivi. Le reti neurali esistono da tempo e sono alla base degli assistenti vocali come Siri o dei servizi di traduzione istantanea come Google Translate.

Il jolly dell’open source

In tutto questo ambaradan c’è un convitato di pietra, l’open source. Un’opzione che Meta ha abbracciato senza riserve.

Meta, un altro gigante che dispone della potenza di calcolo necessaria per supportare la prossima ondata di Ai, ha recentemente messo nel pubblico dominio il sorgente del suo modello di linguaggio di grandi dimensioni, LLaMA. Un passo che mette chiunque nelle condizioni di riutilizzarlo e costruirci sopra la propria versione di AI. 

Un approccio, quello di Meta, differente dai concorrenti come OpenAI o Google, le cui applicazioni, GPT-4 e Bard, sono una “scatola nera” nel senso che i dati e il codice utilizzati per costruire il modello non sono disponibili a terzi.

Sono in molti a ritenere che l’open source permetterà a chiunque di entrare nella competizione dell’AI generativa con simili opportunità.

Non del tutto comunque, perché anche per le startup che si incamminano nella direzione dell’open source resta il problema della potenza di calcolo e delle server farm. Sarà Meta a fornirgli tutto ciò? Chi sa se il business vero non stia proprio qui. Inoltre mettere qualcosa nell’open source non significa alienare la proprietà intellettuale di quella risorsa.

Si potrebbe dire che Meta sta un po’ cercando di fare quello che Google ha fatto con Android, cioè cedere a terze parti l’uso dello strumento in cambio di dati e informazioni raccolti con la circolazione massiva dello strumento stesso. 

Sappiano che le applicazioni di AI migliorano con l’afflusso di dati e se l’open source porta dati al sistema di Meta tanto di guadagnato.

Anche altre aziende di AI, come la startup francese Mistral, stanno valutando la possibilità di rilasciare versioni open source della loro tecnologia. OpenAI, che ha già reso disponibili modelli di AI open source per il riconoscimento del parlato e delle immagini, ha dichiarato che il suo team sta valutando la possibilità di sviluppare un LLM open source solo a condizione che sia in grado di ridurre i rischi di abuso al di sotto di una soglia accettabile.

Buona fortuna!

Fonti:

Cade Metz, In the Age of A.I., Tech’s Little Guys Need Big Friend, The New York Times, 3 luglio 2023

Nick Clegg, Openness on AI is the way forward for tech, The Financial Times, 11 luglio 2023

Cristina Criddle, Madhumita Murgia, Hannah Murphy e Leila Abboud, Meta to release commercial AI model in effort to catch rivals, The Financial Times, 1o luglio 2023

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