Condividi

Social network e politica: ecco come Twitter e Facebook hanno cambiato la campagna elettorale

I social network sono uno strumento sempre più diffuso su scala mondiale: il 75% dei governi ha un account – Twitter e Facebook non spostano voti, ma creano un nuovo modo di interagire, che però in Italia non è stato ben interpretato: lo stesso Grillo non risponde mai ai follower – E i cittadini come si pongono? Ecco le 4 categorie dell’utente-elettore.

Social network e politica: ecco come Twitter e Facebook hanno cambiato la campagna elettorale

Perché la comunicazione politica sui social network è diventata così diffusa? “Perché è economica, o almeno apparentemente. Se è utilizzata in modo bidirezionale, ossia interagendo con utenti ed elettori, diventa in realtà uno strumento molto costoso”. Secondo Michael Slaby, guru hi-tech della campagna elettorale dell’appena rieletto presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il fenomeno che ha portato il 75% di tutti i governi mondiali a una presenza su Twitter (141 capi di governo e ben 56 ministri degli esteri hanno un profilo attivo) parte da motivazioni di tipo economico.

E in Italia lì sembrerebbe rimasto, visto che mentre Obama arruolò un esercito di ingegneri e comunicatori per rispondere a tutti i tweet dei sostenitori, nello Stivale tra i sei candidati principali alle elezioni politiche ce n’è addirittura uno che registra una percentuale di interazione vicinissima allo 0%. E’ Beppe Grillo, il primo a utilizzare il web, ma l’ultimo a raccoglierne le potenzialità: solo due risposte, due, nell’ultimo anno, ai suoi numerosissimi fan.

Già, perché secondo quanto emerso al Social Media Week che si è tenuto a Milano, con la partecipazione del professor Robert Shrum della New York University, in Italia manca ancora l’approccio “down-top” all’utilizzo dei social network e in particolare di Twitter. “I politici utilizzano sempre di più la rete per comunicare e fare campagna – spiega Luigi Curini di “Voice from the blogs” -, ma è stato provato che questa attività ha zero impatto sul voto finale: al massimo può influire sulla partecipazione a una manifestazione o alle urne stesse. In altri Paesi invece, Usa in primis, Twitter e soci diventano delle vere e proprie “agorà”, dei luoghi di confronto e di responsabilizzazione dell’azione politica. Luoghi dove ascoltare le persone e dare risposte”.

In Italia, purtroppo, non è ancora così. “Da noi – spiega Stefano Iacus, sempre di “Voice from the blogs” – siamo ancora fermi alla sfida tra chi ha più followers”. Oppure alle foto con cani e animali vari, verrebbe anche da dire. Questo, del resto, ci avvicina piuttosto a Paesi lontanissimi dalle democrazie occidentali: basti pensare che lo sceicco Mohammed degli Emirati Arabi si è fatto ritrarre con il suo cavallo, o che Elbegdorj Tsakhia, presidente della Mongolia, ha scelto una significativa foto con un dromedario. Tuttavia, c’è chi fa ancora peggio, come il presidente bolivariano del Venezuela Hugo Chavez, che non perde tempo per le cose serie ed esulta guardando una partita di calcio: “Gooooooooooool!!”.

E gli elettori, invece, come utilizzano lo strumento dei social network? In maniera, se non altro, molto più originale. A tracciare un divertente quadro del trend di questa campagna elettorale ci hanno pensato i blogger di “Squadrati”, quelli famosi per i “tovaglioli” o per meglio dire quadrati semiotici, che hanno diviso gli utenti in quattro categorie: gli informat(or)i, i satirici, gli endorsers e i trendenzialisti.

Le prime due categorie sono quelle attive e si distinguono fra serietà e ironia. I primi per esempio sono quelli che twittano domande dirette menzionando i candidati (e aspettando vanamente una risposta…), mentre i secondi sono quelli che fanno impazzire il web, in questo caso soprattutto Facebook, creando per esempio gruppi come “Accelerare il declino”, o “Il terzo segreto di satira”, o ancora “Marxisti per Tabacci”. La terza categoria è invece quella che cerca disperatamente una collocazione, seguendo principalmente gli umori della rete: rispondendo ai vari test di appartenenza o magari togliendo il like a Giannino dopo la vicenda master. Infine i trendenzialisti: quelli che scherzano, criticano e ironizzano sui politici, ma non sanno neanche di che cosa parlano. E se fossero la maggioranza?

Commenta