Condividi

Smart working: retribuzioni più alte (+6%) e meno Cig

Secondo Bankitalia lo smart working ha avuto effetti positivi sui lavoratori e sulle imprese del settore privato di chi poteva svolgerlo: le retribuzioni mensili sono aumentate mediamente del 6% e il ricorso alla cassa integrazione si è ridotto. Invece, l’effetto sulle amministrazioni pubbliche, soprattutto nel settore dell’istruzione, è stato più limitato.

Smart working: retribuzioni più alte (+6%) e meno Cig

La pandemia ha portato a un’accelerazione dello smart working in italia. L’uso del lavoro agile ha dato risultati molto diversi: da un lato ha avuto effetti positivi per i dipendenti privati e imprese, dall’altro effetti limitati per la Pubblica amministrazione legati a competenze e investimenti. Questo è quanto emerge dall’analisi svolta dalla Bankitalia, “Note Covid-19”, contenuta in 3 paper che hanno analizzato il lavoro da remoto in base al settore: lavoro privato, imprese e PA.

L’epidemia di Covid-19 ha posto tutto il mondo di fronte a sfide senza precedenti. La difficoltà, a volte l’impossibilità, di svolgere il proprio lavoro secondo le modalità tradizionali ha messo a rischio l’attività di molte imprese, provocandone la chiusura di molte altre. Ha avuto forte ripercussioni su produzione, fatturato e occupazione. Il ricorso a forme di lavoro da remoto ha consentito di limitare questi effetti, ma non nello stesso modo e, soprattutto, non per tutte le imprese.

Tra il 2019 e il 2020 la diffusione dello smart working è aumentata notevolmente, soprattutto per le donne. Nei primi due trimestri del 2020, secondo l’analisi di Bankitalia, oltre il 14% dei lavoratori del settore privato non agricolo avrebbe lavorato da remoto, mentre nel 2019 meno dell’1,5%.

Inoltre, i dipendenti del settore privato che hanno fatto ricorso allo smart working, durante la pandemia, hanno conseguito una retribuzione mensile più elevata (superiore del 6%), riflettendo il maggior numero di ore lavorate e hanno fatto meno ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni (CIG). L’incremento ha riguardato donne, lavoratori di grandi imprese e specifici settori con una maggior propensione al telelavoro, come i settori legati all’informazione e comunicazione nonché attività finanziarie e assicurative.

La possibilità effettiva di poter ricorrere al lavoro agile dipende non solo dal tipo di attività svolta, ma anche dalle caratteristiche, dalle infrastrutture, dal capitale fisico e umano, e ovviamente, anche dall’esperienza dell’utilizzo dello smart-working maturata precedentemente. Il suo utilizzo era scarsamente diffuso tra le imprese italiane nel 2019, ma lo scoppio della pandemia ha indotto le imprese a ripensare ai propri modelli di business.

Secondo i risultati dell’analisi, le imprese che utilizzano lo smart working sono passate dal 28,7% nel 2019, all’82,3% nel 2020. Inoltre, si sono ridotte anche le differenze tra aree geografiche e settori: ne hanno usufruito soprattutto le imprese più dinamiche e innovative, con manager giovani e pratiche manageriali più moderne.

Per quanto riguarda il lavoro agile nei servizi pubblici, l’emergenza sanitaria l’ha resa una modalità di lavoro prevalente: circa un terzo dei dipendenti pubblici ne ha fatto ricorso nel secondo trimestre 2020. Tale percentuale, però, è stata limitata da diversi fattori. In primo luogo per un limite “naturale” alla possibilità di telelavoro di alcune funzioni del settore pubblico.

In alcuni casi, come nel settore dell’istruzione, questo limite è stato anche largamente superato con effetti sulla qualità dei servizi svolti che andranno valutati. In particolare, eventuali effetti negativi della didattica a distanza (DAD) sull’apprendimento e sull’aumento delle disuguaglianze. In altri casi, invece, questo limite non è stato raggiunto. Ciò sembra legato sia alle ridotte competenze del personale sia agli investimenti in dotazioni informatiche che non hanno inciso in maniera significativa.

Tuttavia, l’evidenza attualmente disponibile è ancora troppo scarsa. Complessivamente, però, gli studiosi ritengono che lo smart working avrebbe limitato le conseguenze negative causate dalla pandemia sulla domanda aggregata e sull’occupazione. Pertanto, una sua estensione potrebbe avere effetti positivi sul mercato del lavoro.

Commenta