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“Shipping: ecco le sfide che ci attendono”. Parla Paolo D’Amico

INTERVISTA a PAOLO D’AMICO, presidente dell’omonima Società di Navigazione che fa il punto sullo stato del settore: prospettive positive dopo l’anno del Covid, l’incidente a Suez e i porti cinesi sovraccarichi. Il segmento Dry accelera ma le petroliere sono ferme. “E poi c’è il rompicapo dell’obiettivo zero CO2 al 2050”

“Shipping: ecco le sfide che ci attendono”. Parla Paolo D’Amico

Sembra un luogo comune, ma stavolta è proprio così. “Tra pandemia, incertezza del mercato e sfide tecnologiche non possiamo che navigare a vista”. Parola di Paolo D’Amico, presidente della D’Amico società di Navigazione, uno dei primi gruppi a livello globale nel trasporto marittimo dry cargo, che lui guida assieme al cugino Cesare. Un testimone d’eccezione, non solo perché a capo di una flotta di 50 navi di proprietà e 160 in gestione tra rinfusiere, cisterne e porta container, ma anche per l’esperienza accumulata come presidente di Intertanko, l’associazione mondiale degli armatori di navi cisterna indipendenti. 

Insomma, un testimonial d’eccezione per capire lo stato di salute del commercio mondiale nel bel mezzo della strada della ripresa tra colli di bottiglia, minacce di inflazione e le incognite della rivoluzione ambientale, in buona parte ancora da definire. “Finora, dalla scoperta della ruota in poi – scherza ma non troppo – prima ci sono state le innovazioni poi si è pensato al loro impiego. Stavolta, al contrario, prima ci siamo posti l’obiettivo dell’eliminazione dell’inquinamento. E ora si tratta di raggiungere la mèta. Ma come farlo, dati i costi, ancora bene non si sa”. 

Ma prima delle incognite future qual è lo stato attuale del settore tra lockdown, ingorghi nei porti, incidenti come quello del canale di Suez?

“Occorre distinguere. Il mondo dei container, dopo la caduta dell’attività dello scorso anno, è al centro di una formidabile ricostituzione degli stock delle imprese, perché i container trasportano sia le merci finite che i semilavorati. A rendere più complicata l’offerta, poi, contribuisce l’assenza di nuove navi, che arriveranno tra un anno, ma anche l’aumento del carburante: a questi prezzi nessun armatore ha voglia di forzare la velocità delle navi aumentando i consumi. La domanda in crescita, insomma, crea anche dei problemi”.

A proposito di problemi quest’anno c’è stato l’incidente che ha bloccato il Canale di Suez e gli ingorghi nei porti cinesi. Siete stati colpiti?

“Per nostra fortuna no. L’incidente di Suez è stato meno doloroso di quanto si temeva perché il blocco è durato solo due settimane a fronte di previsioni ben peggiori.  Sono più seri i problemi dei porti cinesi: scali dove si caricavano i container in un paio di giorni, sono stati costretti ad allungare i tempi fino a 15-20 giorni per problemi vari, legati in varia maniera alla pandemia e su come ha inciso sui cicli di lavoro. Ora la situazione si sta lentamente normalizzando, ma gli strascichi dureranno fino alla fine dell’anno”.

Questo vale per le navi cisterna, quelle che fanno capo a D’Amico International Shipping. Ma lo stesso si può dire per il dry?

“No, questo è un mercato dominato dalla domanda cinese, letteralmente affamata di materie prime come il carbone o di soft commodities, come soia o mais. La ripresa in questo caso è senz’altro forte, al contrario di quel che avviene per il petrolio”.

Eppure i prezzi del greggio sono ripartiti.

“Viviamo ancora una situazione travagliata. Le navi in esercizio sono troppe rispetto alla domanda. I consumi sono ancora sensibilmente inferiori al 2019”.

In sintesi: prospettive buone, ma tra colli di bottiglia e problemi post-pandemia per i container, dry in forte accelerazione. Petroliere ancora in disarmo. E’ una situazione che incoraggia fusioni o altre operazioni finanziarie?

“Qualcosa si muove, ma non troppo. Il mondo dello shipping non è portato all’attività di merger. E’ un ambiente chiuso, dominato da famiglie che hanno una lunga presenza sul mercato e che si muovono con molta prudenza”.

Anche perché i cicli di investimento sono molto lunghi. O no?

“Una nave è destinata a ripagarsi in vent’anni. Detto questo, noi abbiamo avuto il merito e la fortuna di chiudere il piano di investimenti da 750 milioni di dollari nel settembre dello scorso anno, con l’ultima delle 22 nuove navi prese in consegna. Sono navi che consumano il 30% in meno rispetto ai precedenti modelli, e sono già allineate all’Imo 2030. Ma già dobbiamo occuparci dell’obiettivo del 2050, cioè l’eliminazione del C02. Per quanto riguarda le previsioni, è difficile esporsi più di tanto. Il quadro cambia molto velocemente: un mese fa sarei stato più ottimista, poi a cambiare i piani ci ha pensato la variante Delta che complicato i piani delle vacanze ed obbligato a rivedere i programmi, a partire dal turismo. Oggi Fiumicino serve 60-70 voli al giorno tra arrivi e partenze. A agosto si salirà, salvo sorprese, a 150. Ma lo scalo in epoca normale serve 700 operazioni”.

Qual è il vostro giro d’affari italiano?

“Poco più di zero. Noi operiamo da quattro basi: Londra, Montecarlo, New York e Singapore. Non è una scelta, ma così ha voluto l’evoluzione del business”.  

Piazza Affari vi ha dato soddisfazioni?

“Ho molto apprezzato l’atteggiamento responsabile degli investitori in un anno complicato per i commerci mondiali. Prima il Covid che ha preso in contropiede l’intero settore che già veniva da un anno difficile per il dry. Poi le difficoltà del petrolio, complicate dal braccio di ferro tra Russia ed Arabia Saudita. Speriamo ora di non dover affrontar una crisi nel mar Giallo. Ma il titolo, tutto sommato, ha retto. Merito anche del lavoro nostro Cfo e dell’investors relator”.

Ha accennato agli obiettivi al 2050, un appuntamento remoto

“Abbiamo di fronte un bel rompicapo: sviluppare navi di nuovo tipo che non inquinano muovendoci all’interno di un quadro finanziario precario, perché tutte le economie sono piene di debiti. Non è l‘ideale per realizzare investimenti che promettono di essere molto costosi. Ma è una sfida che ci impegna tutti, dai grandi Paesi ai privati”.

Voi che fate?

“Noi stiamo sperimentando bio-carburante di origine  non alimentare, basato sugli scarti dell’agricoltura con l’obiettivo di arrivare a riciclare i rifiuti con ricadute positive sulle città. Un buon esempio di economia circolare. Ma è evidente che la sfida, gigantesca, richiede l’impegno degli Stati. Si passerà dal petrolio al gas naturale, poi ad altre forme di alimentazione”.

L’idrogeno?

“Ci credo poco per il nostro settore. Ci vorrebbero serbatoi più grandi delle navi. Mi sembra più convincente la soluzione dell’ammoniaca”.       

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