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Serval, telefonare con il cellulare senza Sim. Gratis

Un’applicazione per smartphone sviluppata da un ricercatore australiano potrebbe rivoluzionare il mondo della telefonia mobile – Si chiama Serval e permette chiamate dai cellulari senza utilizzo di SIM card, cioè senza essere abbonati ad alcun operatore – Merito delle reti mesh e di alcuni protocolli di comunicazione open source.

Serval, telefonare con il cellulare senza Sim. Gratis

Le reti mesh tornano a far parlare di sè, ancora una volta come strumento chiave per la creazione di tecnologie innovative dal basso. L’idea è venuta ad un ricercatore della Flinders University di Adelaide, in Australia e consiste nel far dialogare due smartphone relativamente distanti tra loro, senza il bisogno delle antenne cellulari, ergo senza la necessità di un operatore di telefonia mobile.

Il progetto, che si chiama “Serval” (gattopardo africano), è andato in porto e si è già distinto in ulteriori applicazioni a sfondo umanitario: ad esempio permettere la comunicazione nelle aree disastrate del pianeta, dove le antenne sono state distrutte o non ci sono mai state. D’altronde, a supportare finanziariamente il Dr. Paul Gardner-Stephen, questo il nome del ricercatore, c’è la fondazione Shuttleworth del paladino dell’open-source Mark Shuttleworth, già impegnato in analoghe attività filantropiche e padre, attraverso Canonical Ltd, di Ubuntu, la distribuzione di Linux più diffusa al mondo.

Come funziona? Prima di tutto occorre procurarsi uno smarphone basato su Android (niente iPhone, nè Windows Mobile). Sul marketplace si trova l’unica applicazione gratuita chiamata “Serval”, si scarica e si installa. A questo punto occorre ricordare che il progetto è in fase di sviluppo e non ci sono garanzie su eventuali effetti collaterali durante l’utilizzo del software. La pagina di descrizione dell’app è comprensibilmente piena di avvertimenti e controindicazioni ma non è finita perchè, superata anche questa schermata, occorre passare il test dei requisiti di sistema, ovvero: abilitazione dei diritti di “root” sul dispositivo, abilitazione installazione da sorgenti sconosciute, chipset WiFi controllabile tramite software. Serval si basa su diversi protocolli open-source, come ad esempio il “SIP” utilizzato nelle applicazioni VoIP, il B.A.T.M.A.N. (Better Approach To Mobile Adhoc Networking) oppure l’OSLR (protocollo di routing adottato anche da Ninux, una delle più grandi reti mesh senza fili italiane). Una volta configurate le altre scelte possibili, si può far partire una chiamata semplicemente digitando un numero di cellulare (anche dalla rubrica) analogamente equipaggiato.

In questa prima versione, Serval utilizza i trasmettitori Wi-Fi dei telefoni, ma la successiva si baserà sulle frequenze GSM, il che – almeno in Europa – potrebbe entrare in conflitto con le legislazioni nazionali. Altro discorso va fatto per i paesi in via di sviluppo, nelle aree marginali trascurate dai gestori telefonici perché poco redditizie, e nelle zone colpite da catastrofi naturali, dove si verifichino black out delle reti di telecomunicazione.

E’ chiaro che Serval potrebbe dare molto fastidio ai gestori di telecomunicazioni mobili che già devono fare i conti con il Voice over IP e con le mille applicazioni di messagistica istantanea tra smartphone (whatsapp, skype, viber solo per citarne alcuni). Nel 1980 – ricorda Gardner-Stephen – gli ingegneri che lavorarono sui primi prototipi di reti GSM avevano già immaginato la topologia a maglia (mesh) con dispositivi allo stesso tempo ricevitori e ripetitori di segnale, ma le compagnie telefoniche avevano impedito loro di lavorare in questa direzione perché volevano conservare il modello di piramide controllata dall’alto. Modello ereditato dal telefono con il cavo, tecnicamente obsoleto, ma molto redditizio.

Anche oggi, dal punto di vista tecnico, il cellulare potrebbe essere usato come un walkie-talkie aperto, pluridirezionale, poichè la maggior parte dei dispositivi è dotata di per se della tecnologia necessaria per collegamenti “ad hoc”. Nel 2004 venne anche lanciato dal produttore Nokia un sistema di tipo PTT (Push To Talk) che voleva essere un modo per mettere in collegamento, in maniera diretta, due terminali mobili, ma alla fine il servizio venne fornito dai gestori telefonici in maniera tale che il segnale venisse indirizzato verso i trasmettitori fissi. Solo in questo modo avrebbero potuto controllare e fatturare le conversazioni.

Prima ancora del progetto Serval, alcuni ricercatori del dipartimento di automatica e informatica del Politecnico di Torino si erano dati da fare per trovare un’alternativa valida alle reti wireless infrastrutturali, all’epoca spinti anche dalla necessità del superamento del digital divide. Nel 2007, la soluzione fu trovata proprio grazie alle reti mesh dove ogni dispositivo diventava automaticamente parte attiva della rete collaborando alla sua estensione, alla stabilizzazione e ottimizzazione nell’utilizzo della banda. Il successo del criterio della distribuzione dell’intelligenza dei router sull’intera rete, svincolata quindi dalla presenza di concentratori, è fuori discussione, tanto è vero che, una rete di questo tipo è stata scelta per la copertura Wi-Fi del modernissimo stadio della Juventus Football Club ed è stata realizzata poprio dalla start-up nata all’interno dell’Incubatore delle Imprese Innovative del Politecnico di Torino (I3P).

A questo punto la domanda sorge spontanea: perché i ricercatori guidati da Garner-Stephen, invece di farne un business, stanno conducendo le loro ricerche offrendone i frutti a chiunque? La risposta è in calce alla home page del sito del progetto e riporta le parole dello stesso Gardner-Stephen: “Crediamo che l’accesso alle comunicazioni e delle informazioni sia un diritto umano. Sogniamo un mondo in cui chiunque sia collegato, sempre e ovunque“.

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