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Scandalo Facebook: Zuckerberg chiede scusa, ma i dubbi restano

Il padre del social network più famoso al mondo fa mea culpa, ma nelle sue parole sullo scandalo Cambridge Analytica non mancano le lacune – Intanto, emerge che la società britannica nell’occhio del ciclone ha lavorato anche in Italia. E il Garante della privacy valuta l’apertura di un’istruttoria

Scandalo Facebook: Zuckerberg chiede scusa, ma i dubbi restano

“Abbiamo la responsabilità di proteggere i vostri dati e, se non ci riusciamo, non meritiamo la vostra fiducia. Faremo sì che non accada più”. Questo il mea culpa di Mark Zuckerberg dopo lo scandalo causato da Cambridge Analytica, società di marketing politico che ha rubato dati personali da 51 milioni di profili Facebook per sfruttarli in alcune campagne elettorali, a cominciare da quella di Donald Trump.

Il padre del social network più famoso al mondo non chiede esplicitamente scusa e soprattutto non spiega per quale motivo, quando nel 2015 ha scoperto gli abusi di Cambridge Analytica, Facebook non abbia detto nulla né agli utenti né all’opinione pubblica (negli Usa è già partita la prima class action).

Il cavallo di Troia che ha permesso alla società britannica di ottenere le informazioni personali di decine di milioni di americani è un’app per Facebook progettata dallo psicologo Aleksandr Kogan, ricercatore all’Università di Cambridge. “Abbiamo immediatamente cancellato l’app di Kogan da Facebook – spiega Zuckerberg – e abbiamo chiesto a Kogan e a Cambridge Analytica di cancellare i dati, con le prove. La settimana scorsa abbiamo saputo da Guardian, New York Times e Channel 4 che forse quei dati non erano stati cancellati. Stiamo investigando”.

Zuckerberg ha poi annunciato ulteriori misure di sicurezza, nuove indagini su tutte le applicazioni e giochi di Facebook e ulteriori limiti ai gestori di queste app: “Continueremo a rendere Facebook più sicuro: quello che è successo con Cambridge Analytica non accadrà più”.

Intanto, lo scandalo rischia di allargarsi. Non solo Cambridge Analytica ha lavorato anche per la campagna pro-Brexit nel Regno Unito, ma ieri si è scoperto anche che la società da cui è controllata, Scl Group, ha collaborato con il ministero della Difesa britannica e fino al 2013 era nella “List X”, il che significa che aveva accesso a documenti segreti e a informazioni riservate.

E nel nostro Paese? Secondo La Repubblica, nel corso di una conferenza di fine 2013 gli esponenti di Scl dissero di avere già operato in Italia per un partito che “aveva avuto gli ultimi successi negli anni Ottanta” e che, grazie anche a loro, aveva ottenuto alle elezioni un risultato superiore alle previsioni. Il quotidiano romano identifica questo partito con Fratelli d’Italia, ma l’ufficio stampa della formazione guidata da Giorgia Meloni smentisce.

In ogni caso, un video interno girato da uno degli analisti di Scl Elections, il ramo politico della compagnia, documenta una riunione nella sede di Londra dell’aprile 2016 durante la quale, stando alla sovrimpressione “Scl Italy?”, si discuteva dell’apertura di una filiale nel nostro Paese.

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