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Sanità pubblica: conti in ordine, ma rischia il sorpasso privato

Il Rapporto Oasi del Cergas Bocconi certifica una messa in equilibrio dei conti pubblici sulla sanità, ma anche forti difficoltà a tenere il passo con il settore privato. Aumenta di 384 unità nel 2019 il numero di medici del sistema sanitario nazionale

Sanità pubblica: conti in ordine, ma rischia il sorpasso privato

La salute è pubblica, un cittadino è sicuro quando lo stato si occupa efficientemente di lui. È questa una delle più salde lezioni della storia europea.

Tuttavia, secondo il Rapporto Oasi 2019 – Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano – del Cergas Sda Bocconi, con 119,1 miliardi di spesa nel 2018 e 149 milioni di disavanzo, il sistema sanitario nazionale conferma sì di avere messo in sicurezza i propri conti, ma evidenzia forti difficoltà a tenere il passo con l’espansione del più ampio settore sanitario e la necessità di ridefinire la propria missione.

Secondo gli studiosi del Cergas Bocconi, coordinati da Francesco Longo e Alberto Ricci, l’espansione e diversificazione della sanità si scontra con la contrazione delle fonti di finanziamento, che produce un tasso di copertura del sistema sanitario nazionale sulla spesa sanitaria che è già oggi del 74% ed è probabilmente destinato a diminuire.
 
La spesa sanitaria pubblica pro-capite è pari a 1.900 euro, che corrisponde all’80% di quella inglese, al 66% di quella francese e al 55% di quella tedesca. Ma lo scenario per il prossimo futuro non appare roseo e il sistema sanitario nazionale fatica a tenere il passo con la crescita dei nuovi bisogni: la penisola ha una delle più alte aspettative di vita al mondo – 83 anni -, uno dei più bassi indici di natalità – 1,32 figli -, e l’Istat prevede un rapporto 1 a 2 tra pensionati e popolazione in età da lavoro entro il 2040.

Dallo studio emerge un aumento degli occupati nel settore della sanità tra il 2000 e il 2018 del 18% a 1,4 milioni. Tuttavia a questa crescita ha contribuito prevalentemente il settore privato e una congiuntura particolarmente positiva: nello stesso periodo, i residenti sono aumentati del 6% e l’occupazione in generale del 10%. Nel 2019, per la prima volta da dieci anni, è tornato a crescere il numero dei medici del sistema sanitario nazionale, aumento pari a 384 unità.

Anche in termini di spesa, tra il 2012 e il 2018, il privato surclassa il pubblico, con una crescita del 16% rispetto a un sistema nazionale che riesce appena a coprire la crescita dell’inflazione. La componente principale della spesa privata, con 35,7 miliardi, rimane quella a carico della persona o della famiglia, ma quella in maggiore crescita, a +31% dal 2012 e fino ai 4,2 miliardi del 2018, è quella intermediata, ad esempio da assicurazioni private.
 
In un tale contesto, afferma Francesco Longo, “è cruciale chiarire la missione del sistema sanitario nazionale. La scelta è tra una focalizzazione sui soli servizi finanziati dal settore pubblico; una regia della filiera produttiva che preveda anche la regolazione del mercato a pagamento e il governo dell’integrazione tra i due ambiti; o un’interpretazione olistica, orientata alla tutela della salute, con l’ambizione di influenzare l’intero settore e gli stili di vita”.

Per quanto riguarda il tema della componente femminile nel sistema sanitario nazionale, dal report emerge che le donne rappresentano complessivamente il 44% dei medici, ma solo il 16% dei direttori di unità operativa. Sul tema variazioni importanti si registrano sia su base regionale, dove è in testa l’Emilia Romagna con il 24%, mentre il Veneto è in coda con il 10%, sia tra le diverse discipline, dove 69% è direttore di farmacia ospedaliera, 10-20% direttore di discipline ospedaliere, e meno del 10% direttore nelle materie chirurgiche e addirittura zero in ortopedia e cardiochirurgia.

Anche nei ruoli manageriali, le donne costituiscono il 26% degli idonei alla nomina di direttore generale, ma solo il 17% dei direttori effettivamente in carica. Dall’analisi delle interviste a un campione di donne direttori generali, emerge una certa diffidenza verso gli strumenti di discriminazione positiva, come le quote rosa, ma anche la necessità di rendere le aziende sanitarie più aperte alle donne nelle politiche di conciliazione e nella cultura organizzativa.

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