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Russia-Ucraina, guerra al bivio: o si chiude entro fine mese o “diventa lunga”. Parla Politi (Nato Foundation)

INTERVISTA AD ALESSANDRO POLITI, Direttore di Nato Defense College Foundation – “Se il conflitto non viene soffocato presto, le dinamiche della guerra prevarranno su quelle della diplomazia”

Russia-Ucraina, guerra al bivio: o si chiude entro fine mese o “diventa lunga”. Parla Politi (Nato Foundation)

La guerra in Ucraina sarà lunga come quella in Siria? Kiev farà la fine di Sarajevo? Perché la Nato non interviene? Bisogna fare concessioni a Putin per uscire dalla guerra? E se sì, non sarebbe un precedente grave? Sono le domande che FIRSTonline ha posto ad Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, l’unico think tank non governativo che si fregia nel titolo stesso del nome dell’Alleanza militare. 

La Fondazione è una Ong nata a Roma nel 2011, a dieci anni dall’attacco alle Torri Gemelle, su ispirazione del vertice direttivo del NATO Defense College (un’agenzia fondata nel 1951) e del presidente Alessandro Minuto-Rizzo, un esperto diplomatico italiano, già vice-segretario generale e segretario generale ad interim dell’Alleanza. Come principale scopo (e che scopo), la NDCF, ha quello di elevare il dibattito politico e strategico nei 70 paesi alleati e partner a cominciare dall’Italia. Inoltre studia le tendenze strategiche per aiutare chi le decisioni le prepara e le prende con un formato agile e compatto.

Il direttore Alessandro Politi, da trent’anni è un professionista di analisi geopolitica, che nell’immaginario talvolta somiglia al lavoro di un giocatore di scacchi e qualche altra al dottor Ryan della caccia al sottomarino Ottobre Rosso. La realtà è meno avventurosa e più affascinante come il lavoro lavorato con quattro ministri della Difesa ed altri decisori mostra dal vivo. Insegna alla Sioi, una nota scuola di diplomazia, le materie di geopolitica ed intelligence ed in tempi di crisi calda è richiesto professionalmente per valutazioni anche da amministratori delegati e ditte di alta consulenza.

Partiamo dal terreno. C’è chi sostiene che la tabella di marcia viene seguita alla lettera dall’esercito russo; e chi invece dice che esso si è impantanato perché Putin pensava di chiudere la faccenda in pochi giorni. Che cosa pensa lei? 

“È possibile che ci sia stato da parte dei russi un errore di valutazione sulla resistenza del popolo ucraino. Ma a mio avviso i russi stanno conducendo un’avanzata non spettacolare, ma molto metodica. È come lo strangolamento di un pitone, accade lentamente. La cosa più seria sta accadendo nel Sud del Paese: se i russi prendono Odessa hanno completamente tagliato fuori l’Ucraina dal mare e possono tirare una linea continua che va dal Donbass fino alla Transnistria, quel pezzo di Moldavia autoproclamatosi indipendente nel 1990 e occupato da truppe russe. È chiaro che non conta quante città vengono conquistate, non è il Risiko; quello che conta è il risultato politico rispetto al governo ucraino per costringerlo a trattare. In realtà è una corsa contro il tempo: i russi sanno che non ne hanno tantissimo, altrimenti questa guerra non l’avrebbero nemmeno iniziata, e gli Ucraini finché resistono lo guadagnano, anche se a prezzo di perdite pesanti dal punto di vista di vite umane e di distruzione del Paese. Mi chiedo però se a questo punto i russi non stiano cambiando i loro piani. Mi chiedo cioè se non stiano aggiustando i criteri di vittoria rispetto a quello che realisticamente possono ottenere”. 

E che cosa possono ottenere realisticamente?

“Da questo governo realisticamente possono ottenere che l’Ucraina resti neutrale. Sempre che però poi questo governo non cada per le proteste di piazza. Perché adesso Zelensky è un eroe, ma se va a dire: ‘scordatevi ragazzi di entrare nella Nato’, non è improbabile che almeno alcuni settori politici lo trattino da traditore.”

Non potrebbe aiutarlo la promessa da parte dell’Europa di fare entrare l’Ucraina nella Ue?

“Chi ha promesso l’entrata nell’Unione Europea di Kiev ha venduto la pelle dell’orso prima di averla. Non ci vogliono meno di dieci anni prima di essere accettati tra i membri Ue. E l’Ucraina purtroppo al momento non ha la minima condizione per entrarci. È stata una promessa, per essere molto diplomatici, incauta. Come si fa a promettere l’adesione ucraina alla Ue, se ancora non sono entrati tutti i Balcani? Ricordo a questo proposito lo sketch dell’ex attore comico Zelensky che impersonava sullo schermo la figura del presidente prima di diventarlo. Telefonata: è Merkel. ‘Congratulazioni’, dice, ‘state per entrare in Europa’. ‘Grazie grazie’, risponde l’allora presidente finto. E Merkel subito dopo: ‘ah, mi scusi, mi scusi tantissimo, mi sono confusa con il Montenegro’. Brutale, ma molto efficace, perché fa capire anche il pensiero di diverse cancellerie europee. E dimentichiamo che la Turchia attende da 40 anni? E qui non è questione di musulmani o cristiani, è questione di Stato”. 

Torniamo ai tempi della guerra: dobbiamo aspettarci una prospettiva siriana? O un assedio tipo Sarajevo?

“La risposta l’ho data recentemente a un dirigente di impresa che mi chiedeva: ‘ma quanto durerà questa faccenda?’ Domanda seria, risposta seria. Se entro la fine del mese non si chiude, diventerà una faccenda lunga. Per esperienza faccio una stima approssimata: se il conflitto non viene soffocato presto, le dinamiche della guerra prevarranno su quelle della diplomazia. Da un punto di vista della riduzione della tensione politica se i corridoi umanitari saltano, si tratta di una tragedia umanitaria e di un segnale negativo, ma di  valenza politica scarsa. In Siria si sono fatti tanti corridoi umanitari semplicemente per svuotare le città e assaltarle senza troppi civili in mezzo.”

Si parla di mediatori: di Merkel, del presidente cinese Xi. Lei che cosa ne pensa?

“Innanzitutto non è affatto vero che per arrivare a un accordo ci voglia un mediatore, sono le due parti in campo che dovrebbero trovare una soluzione, russi e ucraini. Se poi ci vogliamo affidare a un terzo, allora bisogna essere chiari. Primo: il mediatore non è uno più buono di altri, la mediazione non è un ‘volemose bene’. Il mediatore deve essere il più forte di tutti, il più stimato di tutti. E a proposito di Merkel, è una persona straordinaria per le qualità che ha, ma per Putin queste qualità non bastano più per il semplice motivo che non è più la cancelliera tedesca. Ecco perché lei stessa si è ben guardata dall’intervenire nel dibattito: sa bene di non avere più nessun potere. È questa la realtà. Putin può negoziare solo con Biden. Al massimo con Zelensky, se però questi gli concede quello che vuole.”

E quindi eliminiamo anche Xi?

“Il presidente cinese sta già facendo quello che deve fare, non per il bene della pace, ma per interesse nazionale. Tutto questo disordine in Ucraina crea problemi alla proiezione cinese in Europa. Hanno firmato con Mosca un importante documento che evidenzia la loro amicizia. E soprattutto delinea una globalizzazione alternativa a quella vigente: ‘The Est versus the Rest’; cioè l’Est contro il Resto del mondo. Quindi non più il ‘The West and the Rest’, l’Occidente e il Resto del mondo. Insomma, sostengono russi e cinesi: va bene la globalizzazione economica, ma il mondo deve essere multipolare e le regole le dobbiamo scrivere a più mani. La guerra ucraina inoltre blocca anche lo sviluppo della loro Via della Seta. Non passa dall’Ucraina, è vero, ma comunque rompe il quadro.”

E quindi solo Biden può parlare con Putin con efficacia.

“Assolutamente sì. Se Zelensky ci arriva da solo, meglio. Sperando che non venga rovesciato dal malcontento”. 

Veniamo alla Nato: perché non interviene come ha fatto nella ex Jugoslavia?

“Partiamo dai fondamentali. La Nato è un’Alleanza difensiva. Nasce per difendersi dall’Unione Sovietica, nascendo prima ancora del Patto di Varsavia. Noi ci ostiniamo a chiamare fredda questa guerra che è stata tale solo per noi pochi fortunati, quelli protetti dall’ombrello del terrore nucleare. Non lo è stata affatto per tanti popoli in almeno tre continenti. Poi quando i sovietici hanno represso tedeschi orientali, ungheresi, cecoslovacchi e polacchi, non era previsto nessun aiuto dalla Nato. Manifestazioni di solidarietà quante ne volevi, quando i carri armati russi entravano in Praga o a Budapest, ma nessuno intervento perché quei Paesi erano sotto l’egida del Patto di Varsavia. Siamo intervenuti in Kosovo intanto perché la guerra fredda era finita e quindi certe cose erano più fattibili; e siamo intervenuti, anticipando un voto del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che poi è arrivato. In ogni caso la Nato non può intervenire senza il consenso di tutti i suoi Alleati. E ultima cosa, ma non la meno importante: un conto era la Serbia, ormai isolata anche dai russi; un conto è la Russia. La Serbia è piccola, la Russia è grossa, e in più ha le armi nucleari. Non a caso Putin fa riferimento al nucleare: è un chiaro monito a chi ha orecchie per intendere: ‘Attenti, avete a che fare con una potenza di rango, non con un Paese qualunque’.” 

Chi è Putin? 

“Di Putin si possono dire tante cose. E forse a lui interessa poco quello che si dice di lui. E anche ai russi. Una cosa però è certa: che si è dato una missione, quella di ricostruire la Russia come potenza mondiale. È un obiettivo comprensibile per qualunque grande potenza e spiegabile non solo per l’ossessione di Putin per Pietro il Grande, ma per l’8 settembre che hanno vissuto i russi, quando l’Unione Sovietica si è dissolta, nel 1991. E le posso garantire che questo tipo di umiliazione era visibile a Mosca in quel periodo: ho visto soldati chiedere sigarette davanti al ministero della Difesa, una sentinella non lo fa mai. Lo sbandamento interno è stato identico a quello che abbiamo vissuto noi quando avevamo i tedeschi in casa. Putin è un uomo delle strutture di forza, uno dei syloviki, come dicono i russi. Si è riconvertito da agente segreto di quarto ordine a presidente di una potenza mondiale. E tutto questo lo ha fatto non solo per la sua ambizione, che è senza dubbio grande, ma anche perché la Russia deve essere rispettata, potente e con una fascia di Paesi che la proteggano. Tra i Paesi che vanno resi neutrali rientrano la Bielorussia, l’Ucraina la Georgia. La tragedia di Putin è che la sua concezione di potenza risale quasi a due secoli fa. Dico questo perché avrebbe potuto ottenere gli stessi risultati con un po’ più di tempo e di pazienza. Questa fretta è una spia di debolezza. Non sappiamo perché, se è per la salute, per l’età… non sappiamo una serie di cose. Ma questo precipitare dell’azione indica che ritiene che il tempo non sia dalla sua parte. Un risultato l’ha ottenuto: ha ricostruito la potenza all’esterno del Paese, ma la Russia ha il Pil del Benelux. Non mi sembra un gran risultato. È questa la tragedia di Putin come uomo di Stato, forse la tragedia della Russia. Nemmeno Pietro il Grande, di cui Putin ha un enorme ritratto nel suo studio, pur essendo il grande riformatore che si conosce, riuscì a migliorare le condizioni del suo popolo rapidamente. Perché – noi occidentali lo sappiamo bene – l’azione politica di un uomo o di una donna soli al comando non bastano a incidere più di tanto nella realtà a breve e talvolta nemmeno a lungo termine”.

Avremmo potuto fare qualcosa di diverso noi occidentali quando cadde l’Urss?

“Ne sono convinto. Noi non abbiamo fatto nulla per sostenere quel breve periodo che è seguito alla caduta del comunismo e che a me piace chiamare piccola repubblica di Weimar in Russia. Se lo avessimo fatto, forse oggi non staremmo a fronteggiare Putin”. 

Veniamo alle vie d’uscita: ogni cedimento a Putin è segno di debolezza?

“ È un ragionamento corretto, ma parziale. Perché tutti pensiamo a Monaco, quando, nel 1938, per difendere la pace, Francia e Gran Bretagna, con Daladier e Chamberlain da una parte e Mussolini e Hitler dall’altra, firmarono un accordo che portò all’annessione da parte della Germania dei Sudeti, un pezzo di Cecoslovacchia abitata da tedeschi. I paragoni storici vanno però messi nel contesto. Il Trattato di Monaco, al contrario delle vulgate più note, non fu una calata di braghe dei Paesi democratici, che così facendo pensavano di aver accontentato Hitler ed evitato la guerra. Esso si fondava su tre convinzioni: la prima era che la pace di Versailles era stata una vera schifezza, scritta da ultranazionalisti; la seconda era che, se l’Inghilterra entrava in guerra, spariva dal Pacifico, previsione avveratasi in modo chirurgico nel ’41; la terza era che bisognava prendere tempo per riarmarsi. Ce n’è anche una quarta, che non viene esplicitata dagli storici britannici per omissione: e cioè l’odio per l’esperienza rivoluzionaria sovietica. Si sperava che Hitler facesse fuori Stalin. Sappiamo com’è andata. E quindi per tornare a noi: anche se fossimo dei guerrafondai, e molti di noi lo sono solo in poltrona, non siamo pronti per una guerra con la Russia. La Nato ha un potenziale militare molto superiore a quello della Russia, grazie agli americani ovviamente. Ma così come è schierato questo potenziale in questo momento, ci espone alla sconfitta, almeno all’inizio. A parte che dovremmo addestrare molto di più le nostre forze; a parte che dobbiamo equipaggiarle seriamente; dobbiamo poi farle arrivare sul fronte queste forze e dalla Spagna fino al confine con la Polonia il viaggio è lungo.”

E quindi?

“E quindi dobbiamo sperare che Zelensky trovi la formula giusta insieme con Putin. perché queste cose si fanno in due; che il conflitto si fermi; e che con pazienza, con il tempo, vengano corrette le storture che verranno imposte ulteriormente dal negoziato. Perché l’occupazione della Crimea resta illegale. Ed è tanto vero, che Putin ne chiede la legalizzazione.”

Per questo c’era il Protocollo di Minsk…

“Con Minsk si voleva risolvere la questione del Donbass. E qui gli Ucraini non hanno pensato per niente alla lezione italiana dell’Alto Adige o a quella del Kosovo. In Kosovo non è che i kosovari non abbiano accettato importanti presenze serbe, ma con pazienza le hanno negoziate e le hanno gradualmente risolte. Gli ucraini non hanno ancora questa sensibilità. Che non riguarda solo gli ucraini. A questo proposito faccio notare che noi italiani parliamo pochissimo, non facciamo pubblicità di quello che facciamo bene. La lezione dell’Alto Adige non la conosce quasi nessuno per esempio”.

Veniamo all’Europa, alla difesa europea che dovrebbe prima o poi nascere.

“Se ne parla da 30 anni. Noto che dal 2005 abbiamo gruppi di combattimento già disponibili che non sono mai stati schierati in tutto questo tempo. Nemmeno in Sahel. Se gli europei vogliono essere seri ne mandino uno ai confini della Romania. L’opposizione americana oggi non c’è più. Essi dicono: fate, basta che fate qualcosa. Ma non si fa. Da europeista convinto dico che non ci siamo”.

E la Nato? Come dovrebbe essere in futuro?

“La Nato è una struttura che esiste ed è solida, ma tutta la discussione sul come renderla più politica non è aria fritta. Perché se non c’è attenzione politica dentro l’Alleanza le cose si burocratizzano. A Madrid nel giugno prossimo avremo il testo del nuovo concetto strategico della Nato, dopo dieci anni di uno che era frutto di un buon lavoro. Capiremo le nuove linee guida. Intanto però abbiamo un alleato come gli Usa che ha la testa da un’altra parte; innanzitutto a casa sua e poi nel Pacifico. Si vedrà in quel documento se l’alleato americano ha contribuito e in che maniera a indicare la nuova rotta. E capiremo anche dove il mondo Occidentale sarà diretto e come vuole arrivarci”.

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