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Russia, Lama e Di Vittorio: che differenza tra i grandi leader di ieri e il pacifismo pro-Putin della Cgil di oggi

La netta condanna della Cgil dell’invasione sovietica dell’Ungheria del ’56 fa pensare che i grandi leader sindacali di ieri – da Luciano Lama a Giuseppe Di Vittorio – avrebbero fatto fatica a giustificare il pacifismo a senso unico della Cgil di Landini

Russia, Lama e Di Vittorio: che differenza tra i grandi leader di ieri e il pacifismo pro-Putin della Cgil di oggi

In occasione del 26° anniversario della scomparsa di Luciano Lama, l’Associazione ex parlamentari insieme alla CGIL e all’Associazione che prende il nome dal leader sindacale, promuove oggi, 31 maggio, un’iniziativa pubblica a Roma, presso il Senato della Repubblica, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. In quella occasione verrà presentato il libro “Next Generation Union: la realtà di Forlì-Cesena”, che raccoglie i risultati di una ricerca sulla realtà giovanile e sul rapporto di questa con il mondo del lavoro.

Per quanto mi riguarda credo di aver dato diversi contributi per ricordare la vita e le opere di Luciano Lama, un grande leader indimenticabile, con il quale ho avuto l’onore di lavorare e – se mi è concesso – di aver stabilito con lui un rapporto di reciproca stima ed amicizia. Il 26° anniversario della scomparsa non rientra nelle ricorrenze canoniche in cui viene ricordata una importante personalità. Ma l’iniziativa di oggi è significativa per l’autorevolezza dei promotori e certamente, anche per la ricerca che viene rappresentata con riferimento ad un pezzo di quella Romagna solatia che segnò per sempre il profilo, il carattere di Luciano Lama, in tutti gli aspetti tipici di coloro che hanno avuto i natali in quelle terre generose: la passione per il canto, l’amore per la buona cucina e il tifo per la Juventus.

A me interessa parlare – oggi – di Lama, per chiedermi come si sarebbe comportato se fosse ancora alla guida del più importante sindacato italiano di fronte all’aggressione della Russia all’Ucraina. E ovviamente il confronto cadrebbe sulla linea di condotta – in questa tragedia – della Cgil di Maurizio Landini e compagni. Sono consapevole di avventurarmi lungo un sentiero costellato di se (una congiunzione con la quale non si fa la storia) e di assumermi l’arbitrio di interpretare il pensiero di una persona che ha vissuto in altre epoche, secondo ideali e valori oggi sfumati nella nebbia. Ma i Maestri, gli esempi servono proprio per capire quale sia la strada giusta da intraprendere quando gli eventi umani conducono al bivio di un Sì o di un No. Ciò che accadde al sottotenente Luciano Lama dopo l’8 settembre 1943, quando scelse di salire a combattere con i partigiani in montagna da dove discese alla testa delle formazioni al suo comando, mesi dopo, per liberare Forlì. Oppure ciò che il sindacalista Lama dovette decidere tutte le volte in cui fu chiamato a ad aprire una vertenza e a trovare adeguate soluzioni per chiuderla, dopo la lotta, nell’interesse dei lavoratori (che alla fine non è tanto diverso da quello del sistema delle imprese o di una singola azienda).

Il coraggio della Cgil di Di Vittorio dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss

Luciano Lama era figlio del XX secolo e, come chiunque avesse idee e sentimenti di sinistra, non poteva non fare i conti con la Rivoluzione d’ottobre e con l’Urss, sia nel caso che ritenesse prioritaria la giustizia (in realtà rivelatasi una chimera) rispetto alla libertà o viceversa. L’Urss era comunque la prova – magari degenerata e deviata – che un altro mondo e un altro modello economico e sociale erano possibili, una volta rimossi gli errori e le tragedie che accompagnano le svolte della storia. Lama però era l’allievo prediletto di Giuseppe Di Vittorio, per il quale l’idea di una società socialista era una ragione di vita che lo aveva condotto a dirigere le lotte bracciantili in Puglia, a subire la repressione e l’esilio fino a combattere in Spagna in difesa della Repubblica. Eppure quando nel 1956 l’Armata rossa invase l’Ungheria per sottomettere nel sangue quella rivolta popolare; quando i deputati comunisti e una parte degli stessi socialisti si alzarono in Parlamento inneggiando all’aggressione, la Cgil di Di Vittorio ebbe il coraggio di condannare quell’evento.

Riportiamo di seguito il brano più significativo del comunicato emesso in quella circostanza: «La segreteria della Cgil di fronte alla tragica situazione determinatasi in Ungheria […] ravvisa in questi luttuosi avvenimenti la condanna storica e definitiva di metodi antidemocratici di governo e di direzione politica che determinano il distacco fra dirigenti e masse popolari». Il documento poi prendeva atto «dell’evolversi positivo della situazione in Polonia», ed aggiungeva che «fedele al principio di non intervento di uno Stato negli affari interni di un altro Stato» la segreteria deplorava «che sia stato richiesto e si sia verificato in Ungheria l’intervento di truppe straniere».

Di Vittorio pagò caro, in sede di partito (il Pci di allora era un’organizzazione dura e spietata quando veniva messa in discussione l’egemonia sovietica e la linea generale del partito) questo suo atto di dissenso (un anno dopo Di Vittorio morì a seguito di un infarto che lo colpì a Lecco dove si era recato per presiedere una riunione); ma non volle mai che la Cgil facesse marcia indietro rispetto a quel documento. Si limitò a rilasciare una dichiarazione nella quale spiegava i motivi di opportunità (per salvaguardare l’unità della Cgil) che lo avevano indotto a condividere quella storica posizione. Da notare, allora per ora e alla faccia di Putin, la sottolineatura della fedeltà “al principio di non intervento di uno Stato negli affari interni di un altro Stato”.

Cosa direbbe Lama dell’invasione dell’Ucraina?

Con tutta la cautela del caso, sono convinto che Lama – di fronte all’invasione russa dell’Ucraina – non si sarebbe imbarcato in quel pacifismo pro-Putin che ha espresso Maurizio Landini e che resta la linea della Cgil di oggi. Soprattutto Lama non avrebbe permesso a tanti sepolcri imbiancati dell’umanità sinistrosa di riconoscere a Putin il compito di combattere l’imperialismo americano, che, a loro dire, non ha mai smesso di essere il vero nemico dei popoli. Per Lama, Putin sarebbe stato quello che è: un dittatore assassino, un criminale di guerra, il massimo esponente di un regime oligarchico-mafioso, un finanziatore e un protettore delle risorgenti forze nazionaliste e neofasciste in Europa. Sui carri armati dell’Armata rossa viaggiavano ideali rivelatisi traditi ed illusori, ma erano condivisi da milioni di persone (proprio qui sta la tragedia del comunismo: di aver compiuto cose abiette in nome di grandi ideali). L’Armata rossa, armata dagli Usa, aveva dato un contributo determinante nella sconfitta del nazismo. Oggi è il momento dei tagliagole, degli stupratori, dei torturatori, degli assassini di civili inermi. Oggi è la forza che torna a prevalere sulla ragione.

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