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Ronaldo, Messi, Dybala: ecco tutti gli stipendi dei fuoriclasse

Spagna caput mundi: i primi quattro giocatori più pagati al mondo giocano tra Barcellona e Real Madrid. Impietoso il confronto fra la Serie A ed i campionati esteri, con la Cina che avanza. In Italia gli stipendi pesano il 69% sui ricavi. Mancanza di stadi di proprietà e scarsa gestione del merchandising fra le principali cause del gap con gli altri campionati europei.

Ronaldo, Messi, Dybala: ecco tutti gli stipendi dei fuoriclasse

I più grandi calciatori che giocano in Europa sono diventati ormai dei veri e propri brand mondiali. Prendiamo come spunto Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, che occupano la prima e la seconda posizione nella classifica dei giocatori più pagati al mondo. Il portoghese guadagna 87,5 milioni di euro lordi annui, l’argentino invece “solo” 76,5 milioni.

Oltre ad essere le stelle di due dei più importanti club del mondo – sia a livello calcistico che commerciale – sono anche i principali testimonial di Nike e Adidas. Cosa significa questo? Semplice, i due brand leader del settore sportswear hanno affidato lo sviluppo del proprio prodotto, su scala mondiale, alle loro gesta. Ovviamente, Cristiano Ronaldo e Messi non sono due casi di eccezione. 

Dalla classifica fornita dalla ricerca di “Calcio e Finanza”, rilanciata da Corriere Economia, si nota anche come il quinto giocatore più pagato al mondo sia Ezequiel Lavezzi, vecchia conoscenza del campionato Italiano, con uno stipendio annuo di quasi 30 milioni. L’argentino ha ormai abbandonato il calcio europeo, decidendo di emigrare verso l’oriente, e più precisamente verso l‘Hebei Fortune. Il movimento calcistico cinese sta progressivamente crescendo, e molti dei club della prima serie stanno iniziando ad attirare gli interessi di giocatori che ormai in Europa avevano fatto il loro corso, facendo leva su una quasi illimitata disponibilità economica. 

E l’Italia? Ovviamente la Juve monopolizza anche questa particolare classifica. La coppia argentina del gol, Higuain-Dybala, occupa le prime due posizioni. Il “pipita” guadagna quasi 14 milioni lordi annui, il giovane fantasista poco meno di 13. Al terzo posto con 12 milioni la bandiera della Roma Daniele De Rossi

Numerosi sono i fattori che determinano questa enorme distanza, a livello di salari, fra i calciatori che giocano in Italia e quelli che giocano all’estero. Il campionato italiano ha ormai da tempo perso lo scettro di campionato più bello e seguito d’Europa, come accadeva ai tempi di Platini, Van Basten e Maradona.

Perchè? Successi a livello europeo rarefatti, basso livello di incassi dovuto alla mancanza di stadi di proprietà (ad esclusione di Juve, Sassuolo ed Udinese), scarsa patrimonalizzazione del brand e, soprattutto, peso eccessivo dei costi degli stipendi sui ricavi. 

Facendo parlare i numeri, si nota che se in Italia il totale salari ammonta a 1309 miliardi di euro, con un peso del 69% sui ricavi totali, mentre nel Regno Unito lo scenario è molto diverso. Gli stipendi hanno sì un peso inferiore (61%) pur a fronte di un totale salari pari al doppio di quello riscontrato in Italia, circa 2690 miliardi di euro. 

Per quanto riguarda il lato ricavi, come si rileva dal “benchmarking report” Uefa dello scorso gennaio, negli ultimi sei anni la Serie A è cresciuta di 380 milioni contro i quasi 2 miliardi dell’Inghilterra, i 900 della Germania e i 550 della Spagna. 
In questo contesto, in Italia il peso dei diritti televisivi sui ricavi è il più elevato in assoluto, pari al 50% contro il 49% inglese (anche se il paragone non regge vista la disparità di incassi: circa tre a uno), il 36% spagnolo ed il 27% tedesco. 

Impressionano anche i dati relativi al merchandising: questa attività per i club inglesi rappresenta, nella media, già il 44% del fatturato. In Italia i club stentano ad espandere i propri store e la vendita di magliette finte all’esterno degli stadi è all’ordine del giorno. 

Purtroppo le prospettive di crescita del calcio italiano non sono rosee: la Juventus rappresenta un’oasi nel deserto, sia a livello di capacità organizzativa che di gestione del brand. Lo stadio di proprietà è una delle poche possibilità di massimizzare ricavi e profitti. Solamente Sassuolo e Udinese, due società a gestione quasi “familiare”, hanno deciso di investire nella struttura, cercando di far aumentare l’indotto tramite negozi, ristoranti e punti merchandising all’interno dello stadio stesso.
L’obiettivo deve essere quello di strutturare lo stadio per il segmento corporate, cercando di saturarne la capacità produttiva.

Qualche esempio per capire le differenze: il Manchester United ricava annualmente più di 140 milioni di euro dalla vendita dei biglietti per le partite di casa nel proprio stadio, con una percentuale di utilizzo dei posti a disposizione pari al 99,5%. Il Milan, club che nulla ha da invidiare rispetto agli inglesi a livello di fama e storia, ricava dalle partite giocate a San Siro – stadio in concessione – solamente 16,7 milioni di euro, con una percentuale di utilizzo 46,6%.

Tra il 2008 ed il 2012 in Europa ci sono stati 23 nuovi progetti, nel quadriennio 2013-2017 ben 58, con Inghilterra e Germania che hanno presentato 12 e 16 progetti. In Italia ne contiamo ad oggi tre, e qualcuno ancora si chiede perché il nostro calcio continua a rincorrere gli standard di eccellenza europei. 

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