Nicholas Carr è ormai considerato un veterano tra i guru dell’information technology, ma quando parla bisogna sempre prestare attenzione. Il suo libro su quello che Internet sta facendo ai nostri cervelli (niente di buono, a quanto pare) è stato finalista al Pulitzer e le sue analisi sono sempre interessanti. Quando gli hanno chiesto di prevedere che cosa accadrà il prossimo anno nel mondo dell’informazione, Carr ha cominciato facendo un bilancio di che cosa è successo negli ultimi dodici mesi: una rivoluzione che pochi hanno notato.
Secondo Carr, il confine tra il software business e il media business non esiste più. “Oggi – scrive su Nieman Lab – grazie al cloud computing e ai progressi della tecnologia, le applicazioni assomigliano sempre di più a prodotti giornalistici: sono sostenute da pubblicità, sono disponibili in abbonamento, sono continuamente aggiornate e i loro contenuti sono spesso altrettanto importanti delle funzioni che che mettono a disposizione”. In modo speculare, i media tradizionali che hanno sviluppato la diffusione dei contenuti in forma digitale assomigliano sempre di più ad aziende di software. “Distribuiscono non solo contenuti originali – rileva Carr – ma tutta una serie di strumenti online e di funzioni che consentono ai lettori di vedere, manipolare e incrementare i contenuti in una infinità di modi”.
La fusione tra software e media, mentre ancora tutti attendevano la perfetta integrazione tra carta stampata e web, ha prodotto invece la dis-integrazione di Internet. Il vecchio web generalista, aperto a tutti per la visione dello stesso materiale, è stato soppiantato – aggiunge Carr – da pacchetti specializzati di contenuto digitale indirizzati verso particolari dispositivi: iPhone, iPad, Android, BlackBerry, Galaxy, Kindle, Nook, Xbox. Il vecchio website basato su HTML sta per essere soppiantato, o almeno integrato, da applicazioni proprietarie. Giornali, riviste, libri, giochi, album musicali, programmi tv: tutto sarà riprogettato come una applicazione. Secondo Carr, questa rivoluzione è già in gran parte avvenuta e i giornali hanno ora la possibilità di approfittarne. Se i contenuti diventeranno applicazioni, sarà più facile chiedere un pagamento ai lettori. Nel vecchio mondo dell’open web, pagare per i contenuti online era considerato scandaloso.
Nel nuovo mondo delle applicazioni è normale. Qualunque “App Store” è costituito da una serie di barriere di pedaggio, sotto le quali la gente è ormai abituata a passare. La nuova parola d’ordine diventerà “versioning” (l’ha coniata Hal Varian, executive di Google), una pratica che consiste nel creare diverse versioni di uno stesso contenuto per veicolarle su dispositivi diversi a prezzi diversi in modo da rispondere alle esigenze del maggior numero di consumatori possibile. Il blogger di Nieman Lab Martin Langeveld aveva sostenuto solo poche settimane fa che “i giornali che mettono barriere di pagamento per i contenuti online si stanno scavando la fossa da soli”. Le osservazioni di Nicholas Carr aprono invece una nuova prospettiva e fanno pensare che il 2012 potrebbe essere l’anno della svolta. Ma nelle redazioni c’è molto lavoro da fare, e poco tempo per farlo.