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Rinasce il “partito unico della spesa pubblica”?

Da Bersani a Berlusconi, passando per i grillini, rinasce il partito di chi richiede interventi statali di ogni tipo per risolvere i problemi del Paese – In questo contesto Scelta Civica, che era portatrice di un progetto di ripresa dell’Italia basato sulle riforme, abbandona la sua ispirazione originaria per accontentarsi di qualche sgabello ministeriale.

Rinasce il “partito unico della spesa pubblica”?

E’ tornato più forte di prima il “partito unico della spesa pubblica”, proprio quel vecchio partito a cui ora aderiscono Berlusconi e Bersani, ma anche molti grillini e soprattutto i mezzi d’informazione che spingono una opinione pubblica sempre più impaurita a richiedere interventi statali di ogni tipo per salvare le imprese dal fallimento, i pensionati dalla estrema povertà, i giovani dalla necessità di emigrare per cercare lavoro. Obiettivi giusti e condivisibili, ma che un ulteriore allargamento della spesa pubblica non solo non riuscirebbe a sanare, ed anzi con ogni probabilità, nel giro di poco tempo, aggraverebbe ulteriormente.

Nessuno ricorda più che la crisi del 2011 fu innescata proprio dalla spinte emerse all’interno del governo Berlusconi per aumentare la spesa pubblica dopo la sconfitta elettorale alle elezioni regionali e comunali di primavera. Nessuno si preoccupa di valutare che per evitare il fallimento il governo Monti fu costretto a varare misure fiscali di emergenza assai dolorose per i cittadini e che, pur avendo evitato la deriva greca, non sono riuscite a superare una pesante recessione. Nessuno rammenta le analisi ed i dibattiti che si svolsero in quei mesi circa il ruolo del settore pubblico quale palla al piede della crescita, in quanto macchina impazzita di sprechi e ruberie che prosciugano le risorse del paese mortificando gli investimenti e quindi le potenzialità di un sano sviluppo.

Gli otto punti programmatici di Berlusconi affiancati agli otto punti di Bersani, ai quali si aggiungono dichiarazioni varie di sindacalisti ed esponenti del mondo produttivo, danno un quadro completo dell’ormai avvenuto consolidamento del “partito unico della spesa pubblica”. Si parte dalla revisione dell’Imu e dalla restituzione di quanto pagato lo scorso anno, dalla restituzione integrale dei debiti della Pa verso le imprese (che molti commentatori chiamano chissà perché “rimborsi”), alla sistemazione degli esodati ed alla necessità di nuovi fondi per la cassa integrazione, fino al finanziamento delle opere pubbliche dei piccoli comuni ed al sostegno delle spese per la ricerca, oltre al taglio dell’Irap ed all’esenzione dei contributi sociali per i nuovi assunti. Per tutte queste misure sarebbero necessari almeno 10-15 miliardi, senza considerare la riforma dell’Irpef che pure in campagna elettorale è stata promessa dal Pdl e dalla Lega. Dove si prendono questi soldi? Bersani non lo dice, mentre Berlusconi pensa che possano venire dal taglio dei costi della politica a cominciare dall’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti.

Ma i costi della politica non riguardano solo lo stipendio dei parlamentari o dei consiglieri regionali (peraltro questi ultimi già tagliati dal Governo Monti), bensì tutti gli sprechi che si annidano in un una macchina pubblica mastodontica, opaca, ed inefficiente. E quindi per ottenere veri risultati dal taglio delle spese occorre riformare tutto il sistema statale, ridisegnare i poteri delle Regioni, abolire le Province, accorpare i comuni più piccoli, soprattutto inserire nuove procedure contabili, amministrative e di controllo di tutti i vari rami dell’amministrazione dove si sono casi di enti pubblici che non tengono nemmeno in ordine la contabilità. Non solo ma bisogna mettere ordine nella selva di società pubbliche, specie quelle controllate dagli enti locali, che sono fonte inesauribile di sprechi o di sistemazioni clientelari. Un vasto programma che richiede modifiche costituzionali ed una lunga opera di riorganizzazione delle prassi burocratiche, senza la quale non si otterrà la necessaria trasparenza e non sarà possibile distinguere gli sprechi dalle spese necessarie ed utili.

Poi c’è l’insofferenza verso l’oppressione fiscale. In effetti per chi paga le tasse, il peso del fisco ha raggiunto livelli insopportabili sia per la quantità di reddito portato via dal settore pubblico sia la macchinosità delle procedure di pagamento. Così ora la rivolta si rivolge contro Equitalia i suoi metodi e le sue esagerate sanzioni o contro l’assurda inversione dell’onere della prova per cui, al limite, sia tutti colpevoli a meno che non riusciamo a provare di essere innocenti. Il Pdl si fa paladino di queste lotta contro il fisco dimenticando che Equitalia, le sue salate sanzioni, e le sue modalità operative sono state create da Tremonti. Ma ora tutti hanno paura dei controlli dei conti bancari e del redditometro, per cui la lotta all’evasione passa in secondo piano ( tanto che nei dibattiti TV non viene più citata) mentre balza in evidenza solo il caso pietoso dell’imprenditore costretto a chiudere bottega per l’arrivo di una pesante cartella di Equitalia.

Nei 16 punti elaborati da Bersani e Berlusconi manca del tutto qualsiasi indicazione sulla riforma dello Stato e sulla necessità di tagliare la spesa pubblica. Non solo ma nemmeno una parola viene spesa sulla possibilità di vendere rapidamente parte del patrimonio dello Stato o degli enti locali. Eppure proprio per pagare i debiti verso le imprese la strada maestra, quella che qualsiasi impresa è costretta a seguire quando è troppo indebitata, è proprio la vendita di parte del suo patrimonio. Si potrebbero creare dei fondi dove mettere alcuni immobili non produttivi del demanio o accorpare varie società degli enti locali e collocarne le relative azioni sul mercato. Insomma i debiti si pagano vendendo il patrimonio e non facendo altri debiti, magari in capo al un soggetto diverso da quello che è responsabile dell’indebitamento. Così come nel programma dei due maggiori partiti, manca qualsiasi idea su come aumentare la competitività del nostro sistema produttivo in modo da riattivare una effettiva crescita dell’economia e creare veri e stabili posti di lavoro.

E’ passato un mese e mezzo dalla elezioni e siamo ancora senza Governo. Tutti appaiono giustamente preoccupati. Il Pdl, nonostante abbia fatto una campagna elettorale contro il pericolo comunista, si mostra ansioso di fare un governo insieme a Bersani e si sforza di dimostrare che il suo programma non è poi così diverso da quello del Pd. Infatti sull’allargare la spesa pubblica i due partiti sembrano andare perfettamente d’accordo. E se uno preferisce la riduzione fiscale e l’altro il rafforzamento del welfare, niente paura, le due esigenze si possono tranquillamente sommare! Chi pagherà? Tutti dicono che andranno a Bruxelles a battere i pugni sul tavolo o magari a Berlino per prendere a calci la Merkel. O forse pensano che alla fine l’Euro si sfascerà e quindi chi ha tanti debiti potrà ripagarli in moneta svalutata sfregando così i risparmiatori. Oppure sarà inevitabile precipitarsi a coprire i nuovi buchi nel bilancio dello Stato con una nuova tassa, sicuramente una robusta patrimoniale, dato che sul reddito ormai rimane ben poco da tassare. E allora il Pdl così voglioso di fare un Governissimo, sarà pronto a votare una patrimoniale del 5 o 10 % sulla ricchezza degli italiani? 

Siamo in una pericolosa fase di stallo politico. Ma ancora più preoccupante è la confusione culturale che sembra aver investito la classe dirigente di questo paese dove tutti cercano di arraffare qualche beneficio immediato e nessuno riesce ad avere una visione almeno di medio periodo su dove vogliamo andare. In questa situazione come sarà possibile far tornare quella “fiducia” che è ingrediente fondamentale per mettere in moto sia gli investimenti che i consumi?

In questo caotico contesto sarebbe opportuna almeno una voce capace di richiamare alla coerenza le forze politiche, indicando le conseguenze negative di provvedimenti apparentemente “sociali”, ma, se non gestiti nella giusta maniera, potrebbero portare a conseguenze estremamente negative per gli stessi ceti che si vorrebbe proteggere. E questo dovrebbe essere il ruolo del partito di Monti, che invece si mischia con voce flebile ed inutile, al coro di quanti vogliono la Grande Coalizione, senza nemmeno delineare con forza un programma di risanamento e rilancio credibile e lontano dalle sparate demagogiche degli altri due grandi partiti. In questo modo Scelta Civica che era portatrice di un progetto di ripresa dell’Italia basato sulle riforme e non sul ritorno ai vecchi vizi dei partiti italiani basati sulla spesa facile e sul trasferimento del conseguente fardello dei debiti sulla spalle dei figli e dei nipoti, abbandona la sua ispirazione originaria, per accontentarsi di qualche sgabello ministeriale. In certi momenti bisogna avere il coraggio di fare una coerente battaglia di opposizione. I fatti, purtroppo, si incaricheranno molto presto di dimostrare chi aveva visto giusto!

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