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Riforma servizio idrico: il no delle Regioni

Il disegno di legge dei Cinque Stelle non avanza alla Camera – Le Regioni sono contrarie alla nuova organizzazione – L’Arera mette sull’avviso per la scadenza delle concessioni

Riforma servizio idrico: il no delle Regioni

Giudizio unanimemente critico da parte delle Regioni sulle proposte di legge attualmente all’esame della Camera”. Non piace ai Rappresentanti delle Regioni l’idea del M5S sull’acqua pubblica. I 20 miliardi di costo dell’operazione conseguente all’approvazione della riforma dell’on. Daga spaventano anche gli amministratori locali. Dopo le levate di scudi delle aziende, il nuovo stop è arrivato nell’ultima audizione alla Camera. Ieri il Ministro dell’Ambiente Costa ha ribadito che l’acqua deve essere pubblica e che il suo Ministero deve avere competenza sulla gestione. Ma l’altro fronte si sta compattando e non si sa come andrà a finire. Magari come il Tap o altre iniziative su cui il governo ha dovuto cambiare strada.

Il servizio idrico integrato è materia delicata e ci vuole una visione strategica, perché investe le competenze di diversi livelli istituzionali e coinvolge in modo evidente le Regioni. Questa la sintesi della posizione portata in Parlamento. Si tratta del servizio pubblico per eccellenza su cui le Regioni hanno competenza amministrativa e regolamentare. Per le tariffe che remunerano i capitali investiti e la qualità del servizio ci sono competenze anche dell’Autorità regolatoria, Arera. Il disegno di legge dei Cinquestelle limiterebbe molto queste competenze.

I principi di solidarietà, gli obiettivi di risparmio idrico, la priorità di utilizzo per l’alimentazione e il mutuo aiuto tra bacini idrografici proposti, in fondo, sono già nella normativa in vigore. Perché mettere mano ad un riordino che alla fine vuole escludere dalla gestione dell’acqua le aziende che hanno fatto investimenti e gestito le condotte? Il tema è caro ai Cinque Stelle fin dal referendum del 2011 e dei meetup. I 20 miliardi di costo stimati sono quelli che le aziende – quando dovranno cedere le gestioni – chiederebbero come ristoro. C’è stato un confronto serio prima di partire, si è detto nel corso dall’audizione alla Camera? No.

Le Regioni ricordano che la gestione dei servizi pubblici di interesse locale è una loro competenza esclusiva. Si parta, piuttosto, e si facciano riforme che obblighino i vari livelli istituzionali a gestire bene il servizio, combattere gli sprechi, innalzare il livello di qualità, diffondere una nuova responsabilità sociale. Le aziende e i poteri locali ci stanno. Una concertazione strategica, non punitiva, renderebbe giustizia anche di tante inefficienze e perdite di acqua nelle tubazioni.

Lo stato di fatto delle gestioni non sfugge all’Arera. Nel suo osservatorio semestrale nota che ci sono gestori che operano senza titolo giuridico conforme alle norme. In pratica proseguono senza limiti temporali, laddove dovevano sorgere concorrenza e competizione. I 62 ambiti ottimali sono stati definiti, ma attenzione, il tempo corre e nel giro di tre anni scadono 15 gestioni nel Nord-Ovest, 4 Nord-Est e 3 al Sud che interessano 8 milioni di abitanti.

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