Condividi

Riccardo Illy: “Il sì al referendum e l’Italicum garantiscono governabilità”

INTERVISTA DEL WEEKEND – Da Cernobbio parla Riccardo Illy, imprenditore e già governatore del Friuli Venezia Giulia: “La riforma costituzionale è imperfetta ma il meglio è nemico del bene e con l’Italicum rappresenta un giusto mix tra rappresentatività e governabilità” – Sulla Tav o sul Tap deve decidere lo Stato e non una regione – Modello Friuli per la ricostruzione dopo il terremoto in Centro Italia.

Riccardo Illy: “Il sì al referendum e l’Italicum garantiscono governabilità”

Referendum, Europa, migranti, economia. Persino un pensiero al terremoto di Amatrice, da ex presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, e una risposta argomentata al partito del “no euro”, che al Forum Ambrosetti di Cernobbio raccoglie comunque il 17% di sostenitori nel sondaggio condotto tra la platea di 250 partecipanti del mondo bancario e imprenditoriale italiano e internazionale. Riccardo Illy, storico imprenditore del caffè made in Italy e ora presidente di una holding che vende anche tè, cioccolato, vino e marmellate attraverso il controllo dei marchi Dammann (Francia), Domori, Mastrojanni e Agrimontana, è un partecipante storico dell’evento di Villa d’Este. E parte proprio dal referendum, appuntamento chiave dell’autunno.

“La riforma della Costituzione, per quanto imperfetta e carente, è fondamentale”, spiega Illy, che la considera persino debole. “Mancano due punti fondamentali: la possibilità per il premier di nominare e revocare ministri, prevista in tutte le democrazie occidentali, e il numero minimo di abitanti per costituire un’amministrazione comunale, al di sotto del quale far scattare l’obbligo di fusione”. La riforma, che a novembre passerà al vaglio di un cruciale referendum, “permetterà più governabilità e snellezza nel legiferare. Se non passa, il Paese rimane ingovernabile. In questo senso spero anche che la nuova legge elettorale, l’Italicum, rimanga così com’è”.

Il tandem riforma costituzionale-Italicum sarà dunque in grado di garantire un giusto mix tra rappresentatività e governabilità: “Finora in Italia abbiamo dato troppo peso alla prima. Berlusconi, che pur non stimo come politico, aveva ragione quando diceva che non riusciva a governare con la maggioranza che aveva. Proprio per questo è singolare che abbia espresso parere contrario alla riforma”. Al fronte del “no” il presidente di Illy Group replica così: “Il meglio è nemico del bene. Quello che sta succedendo a Roma con la Giunta Raggi dimostra che questa legge deve passare. Vincerà il Movimento 5 Stelle? Benissimo, vedremo cosa saranno in grado di fare e quanto dureranno”.

A Riccardo Illy, sindaco di Trieste dal 1993 al 2001 e governatore della Regione FVG dal 2003 al 2008, sta a cuore anche la questione del rapporto Stato-Regioni, altro punto centrale della riforma di cui si parla poco: “Sulle opere di interesse nazionale, per non dire europeo o intercontinentale, come ad esempio la Tav o il gasdotto Tap, deve decidere il governo”. Diverso il caso, tiene a precisare, quando in ballo c’è un interesse effettivamente locale: “Sotto il governo Berlusconi è stato approvato un decreto legge per attribuire al ministro dei Trasporti la nomina dell’autorità portuale di Trieste: ho fatto ricorso alla Corte Costituzionale e ho avuto ragione, tant’è vero che lo stesso Parlamento non ratificò quel provvedimento”.

Lo stesso vale per il terremoto: il Friuli, zona ad altissimi rischio sismico, ne ha conosciuto uno terribile nel 1976. “I morti in quel caso furono mille. Nel Centro Italia abbiamo dimostrato che nel gestire l’emergenza siamo persino superiori agli Usa, si pensi all’uragano Katrina, ma sulla ricostruzione va replicato il modello Friuli e cioè la delega totale dei poteri ai sindaci. Vasco Errani è un amico ma lo invito a concedere molta autonomia alle autorità locali in questa fase”. Se sulla ricostruzione il Friuli è stato il modello più virtuoso ed è replicabile, più complicata sarà la prevenzione: “Temo che stiamo calcolando male le cifre, secondo me per mettere in sicurezza il Paese servono migliaia di miliardi, cifre impensabili. Una soluzione potrebbe essere dedicarsi alle zone a più alto rischio e – in tutte zone sismiche – rendere obbligatoria l’assicurazione sulla casa. Sarebbero in milioni a sottoscriverla, rendendola sostenibile per le assicurazioni e conveniente per lo Stato”.

Il lato umano dell’imprenditore di origine ungherese stona quasi con l’atmosfera patinata del Forum di Cernobbio. Ma a pochi chilometri da Villa d’Este, alla stazione ferroviaria di Como, si può toccare con mano un’altra emergenza: quella dei migranti. “Anche in quel caso stiamo dimostrando di eccellere nella gestione delle emergenze. Renzi sta lavorando benissimo, sia attraverso incontri bilaterali o trilaterali come quelli avvenuti di recente con Merkel e Hollande, sia nel rapporto con tutta l’Ue. Il premier mi convince sempre di più ma l’immigrazione non va gestita solo in termini emergenziali, è un fenomeno che durerà e sul quale bisogna investire, come ha fatto la Germania. Gli immigrati vanno inseriti nella società attraverso progetti lungimiranti: Berlino ha accolto un milione di persone non per lasciarli in condizioni disumane nelle stazioni ma perchè ne ha valutato le professionalità e il possibile impiego nelle industrie del Paese”.

Dai migranti all’Europa è un attimo: se l’Italia sta facendo la sua parte, e anche la Germania, è proprio l’Ue che è mancata: “Non ha fatto assolutamente nulla – spiega Illy -. Vi risulta che Juncker abbia detto o fatto qualcosa? A me no”. E’ l’intera Unione che va riconsiderata e riformata, al di là della questione dei migranti: “L’immigrazione deriva da una politica estera in Medio Oriente fatta dai singoli Paesi, di solito Usa ma anche Francia e Gran Bretagna: la stessa Isis ha avuto spazio perché finanziata ma anche approfittando di una politica estera europea incerta e episodica, per non dire scellerata come nel caso dell’Iraq. La prima riforma da fare è questa, e passa anche dalla costituzione di un esercito comune. Poi va riformata la governance, che è un ibrido che non si vede da nessuna parte al mondo, con un organo importante come la commissione che viene eletta di terza mano”. Così, arringa Illy, “è ovvio che prevalgano gli interessi nazionali. Se non riusciamo a fare gli Stati Uniti d’Europa, facciamo almeno una Confederazione su questi tre temi principali: economia, politica estera, difesa”.

E Brexit, che qui a Cernobbio ha destato preoccupazione ma nemmeno troppa? “Proprio per i motivi che ho detto, Brexit diventa una opportunità: approfittiamo dell’uscita del membro più reticente in assoluto a una politica comune e riformiamo l’Europa”. Più ancora di Brexit, o dell’eventuale elezione di Trump in America (in un sondaggio i partecipanti al Forum hanno ritenuto più pericolosa la seconda), preoccupa ovviamente la situazione economica. Il governo Renzi, prima ancora di chiudere la battaglia del referendum, si appresta a confezionare la legge di Stabilità 2017. Anche su questo Illy ha la sua ricetta, da imprenditore di un gruppo che nel 2016 dovrebbe superare il mezzo miliardo di fatturato: “Il Pil è determinato da quattro fattori: considerando che ci dobbiamo scordare gli investimenti pubblici e che pure sull’export c’è poco da fare, visto il rallentamento dei Brics e il crollo del commercio mondiale (in questo senso il TTIP potrebbe aiutare parecchio, e ci spero ancora), dobbiamo insistere sui consumi ma soprattutto sugli investimenti privati”.

Gli investimenti delle aziende private in Italia sono inferiori del 30% rispetto al periodo pre-crisi: “E’ su questo che dobbiamo incidere, ma occorrono le condizioni: serve un clima di fiducia, degli incentivi sui quali il Governo sta facendo bene, e soprattutto l’aspetto finanziario”. In altre parole, i finanziamenti delle banche: “Occorre – auspica Illy – che il Governo eserciti una moral suasion sulle banche per finanziare impianti e macchinari delle imprese e adeguare i mutui alla durata utile degli impianti, che di solito è 10 anni”. Poi c’è una vera e propria proposta, una sorta di bonus sul reinvestimento nel capitale: “Bisogna premiare le aziende che capitalizzano. Bene la tassa al 24% sui profitti, ma io suggerirei che la metà venga pagata subito e l’altra metà sospesa se l’azienda reinveste quei soldi nel capitale, ovvero nella produzione e nei posti di lavoro. Allo Stato entrerebbe un po’ meno ma ci sarebbero vantaggi sull’occupazione e dunque sui consumi e su altre entrate fiscali”.

Infine sull’euro. La domanda posta nel sondaggio da Ambrosetti era la seguente: “L’euro è un successo?”. Se avesse risposto la popolazione, probabilmente il risultato sarebbe stato l’opposto: a Cernobbio vince il sì con l’82%, ma c’è comunque un 17,6% di scettici anche tra i big del mondo industriale. “La moneta unica ha avuto delle controindicazioni ma ha garantito stabilità, normalizzazione nella vita delle imprese e soprattutto riduzione dei tassi. Non rimpiango assolutamente la lira, e la sua svalutazione non significava altro che ‘fregare’ coloro che avevano acquistato titoli pubblici italiani dall’estero. E un Paese indebitato come il nostro deve per forza piazzare titoli all’estero: non siamo mica il Giappone. Ecco perché una moneta svalutatissima come la lira ci avrebbe alla lunga massacrato, bisogna sostenere l’euro”. Magari affiancando alla politica monetaria europea una governance comune e una serie di ormai irrinunciabili riforme da parte dei singoli Paesi.

Commenta