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Riaprire l’Italia: quando, come e perché

Tutta l’Italia si chiede quando usciremo dalla quarantena nella sicurezza – Non subito ma nemmeno quando arriverà il vaccino anti-Covid 19, che richiederà un anno e mezzo o due – Se ne parla dopo Pasqua – Conciliare la lotta all’emergenza sanitaria a quella all’emergenza economica è la sfida di oggi. Ma da soli non ce la faremo mai, alla faccia dei sovranisti palesi e occulti. Ecco perchè

Riaprire l’Italia: quando, come e perché

L’Italia intera non vede l’ora di uscire dall’incubo del Coronavirus e delle migliaia di morti che hanno funestato l’inizio della più triste primavera che si ricordi dall’ultima guerra. Ma se cresce la speranza di vedere almeno ridurre fra qualche settimana l’intensità dei contagi al di sotto dell’unità (la fatidica soglia di contagiosità R0, che i medici considerano tollerabile), sale purtroppo anche la paura che, in assenza di adeguate terapie, all’emergenza sanitaria subentri l’emergenza economica. Un’emergenza che può mettere in ginocchio per molto tempo il Paese intero, non con una semplice recessione ma con una depressione del tipo di quella che seguì il crollo del ’29.

Ecco perché, insieme alla fine dell’incubo del Coronavirus, non c’è un italiano che non sogni anche la riapertura e la ripartenza del Paese. Ma l’ultima cosa che potremmo fare è accapigliarci sulla data di riapertura, che certamente sarà dopo il 3 aprile e dopo Pasqua e che il Governo valuterà nei prossimi giorni.

Per fortuna è stato lo stesso Matteo Renzi, il primo a porre il problema politico della riapertura, a correggere il tiro, che sembrava spingerlo verso l’obiettivo della ripartenza a Pasqua, e a spiegare, in un’intervista ad Huffington Post, che più del quando gli interessa il come ripartire: “Non do date, ma ragioniamo subito su come riaprire”. Ragionare non vuol dire riaprire, ma bisogna farlo subito, sapendo che ogni giorno che passa è un problema in più per i salari e per i posti di lavoro. Ma la salute viene prima. E la sfida è riconciliare lotta all’emergenza sanitaria e lotta all’emergenza economica.

Non si potrebbe fotografare meglio la situazione che stiamo vivendo se non con le parole del presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli – una curiosa omonimia che mi onora – quando ha dichiarato: “Chiudere è stato un atto dolorosissimo, ma più facile di decidere come ripartire”.

PERCHÉ RIAPRIRE SE IL VACCINO NON C’È?

Purtroppo non possiamo farci illusioni: prima che sia in circolazione il vaccino anti-Coronavirus passerà ancora molto tempo. Non giorni e nemmeno settimane o mesi ma, secondo le previsioni mediche più realistiche, ci vorrà ancora un anno e mezzo o due. E nel frattempo? Non è immaginabile di chiudere un Paese fino al raggiungimento della massima sicurezza, perché chiudere negozi, fabbriche e uffici per 18-24 mesi vorrebbe dire mettere letteralmente ko l’economia italiana, non solo falcidiando salari, stipendi, pensioni e risparmi, ma anche distruggendo aziende e milioni di posti di lavoro. Non è nemmeno immaginabile tenere in cassa integrazione o sussidiare per due anni un intero Paese.

Bisogna trovare un equilibrio tra la lotta all’emergenza sanitaria, senza mettere a rischio la salute e la vita degli italiani, e la necessità di non provocare un default dell’economia e un’ecatombe occupazionale che getterebbe nella disperazione e nella fame milioni di persone e rovinerebbe del tutto le nuove generazioni. L’allarme lanciato da Mario Draghi sul Financial Times affinché, costi quel che costi, si inondi di liquidità l’economia italiana e si salvino aziende e posti di lavoro anche innalzando il debito pubblico, spiega perché far ripartire l’economia non è un lusso ma un’inderogabile necessità, anche se va fatto senza sprecare i sacrifici sanitari finora compiuti. E allora quando e come ripartire?

QUANDO RIAPRIRE?

È ancora Locatelli (nella foto) a indicare un criterio per rispondere alla domanda che si pongono tutti gli italiani: quando riaprire? “Non si può allentare la presa adesso, perché vanificheremmo tutti i sacrifici fatti”, sostiene il presidente del Consiglio Superiore di Sanità in un’intervista ad Huffington Post, salvo poi aggiungere: “È ovvio che il Paese va riaperto, ma non ora”. E quando? Quando il tasso di contagiosità del Covid-19 scenderà “almeno a quota 1”, vale a dire quando una persona infetta ne potrà contagiare solo un’altra. Il che non succederà fra un anno, ma, secondo Locatelli, “tra qualche settimana”. Insomma, verosimilmente, dopo Pasqua ma forse entro la fine di aprile

COME GESTIRE LA TRANSIZIONE?

Tra la chiusura di tutto il Paese o quasi e il ritorno alla normalità c’è una difficile transizione da gestire, sia sanitaria che economica. Qualche domanda: quando saremo a quota 1 dell’indice di contagiosità, sarà opportuno aprire tutte le aziende, gli uffici, le scuole, i negozi, i bar, i ristoranti, i cinema, i musei o solo alcune attività? In tutta Italia o solo nelle zone meno colpite dal virus? Sono domande che per ora non trovano risposte, anche se, è ancora Locatelli a dirlo, “è possibile che vengano compiute scelte differenziate”. Ma a livello territoriale o settoriale? E le regole per giovani e anziani saranno le stesse? Chissà. Sembra di capire che bar e ristoranti saranno gli ultimi a riaprire, ma fin da ora, per evitare ingiustizie e discriminazioni, sarà bene ricordare che il dovere di proteggere i lavoratori dell’industria non può essere diverso da quello di proteggere la cassiera del supermercato o l’edicolante sotto casa. Poi, oltre a quella sanitaria, c’è l’emergenza economica.

SUSSIDI O RILANCIO ECONOMICO? NON TUTTI RIAPRIRANNO

Malgrado le comprensibili rassicurazioni del Governo, sarà bene prendere atto che non tutte le aziende riapriranno e che molti posti di lavoro andranno perduti. Come affrontare allora l’emergenza economica e sociale? L’idea che si possa risolvere tutto con il reddito d’emergenza (che si chiama così perché non può che avere una durata limitata) o peggio gonfiando il reddito di cittadinanza è pura illusione, anche se la cassa integrazione e gli ammortizzatori sociali sono utili proprio in periodi come questi. Non è solo questione di insostenibili costi economici, ma di saper guardare al di là dell’emergenza e sfruttare la crisi per costruire gradualmente un nuovo modello di sviluppo, che – altra scomoda verità – non sarà un pasto gratis. “La priorità – è ancora Draghi che lo spiega – non deve essere soltanto fornire un reddito di base a coloro che hanno perso il proprio lavoro”, ma “evitare che le persone perdano il proprio lavoro” inondando le imprese di tutta la liquidità che serve per tenerle aperte, liberando le banche da troppe briglie e non esitando ad aumentare il debito pubblico, che non è mai un piacere, ma è sempre meglio di un cimitero economico, industriale, occupazionale e sociale.

L’ITALIA NON PUÒ FARE DA SOLA, MA CONTE RISCHIA L’AUTOGOL

Chiamatelo pure, se volete, Piano Marshall – come ha fatto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri – o piano a medio termine, ma è evidente che per rendere sostenibile il rilancio e la ristrutturazione dell’economia italiana dopo lo shock da Coronavirus serviranno tanti soldi, tanti investimenti e tante riforme. Ed è altrettanto evidente che da sola l’Italia non ce la può fare: ha bisogno di trovare una sponda nell’Europa, alla faccia dei sovranisti, ma sapendo anche che nessuno ci regalerà niente. Ecco perché è fondamentale aver chiaro l’obiettivo, essere pragmatici nella scelta degli strumenti e non pensare di coprire le proprie debolezze con le solite furbizie all’italiana.

Strategicamente, l’obiettivo qual è? Trovare i mezzi per realizzare un grande disegno di rilancio e di riforma dell’economia italiana che sostenga la crescita e l’occupazione. E gli strumenti? Impiccarsi a una sola opzione, come ha fatto il premier Conte, che al Consiglio europeo ha escluso a priori l’uso dei fondi del Mes per puntare solo sui Coronabond europei, oltre che politicamente anche tecnicamente difficili da realizzare a breve termine, assomiglia all’anticamera di un autogol. Un autogol che comporta il rischio di una sconfitta in Europa, per paura che Salvini, la Meloni e i Cinque Stelle, da sempre fieri antieuropeisti, insorgano contro il Mes e rifiutino anche una condizionalità leggera, cioè criteri che regolino il buon uso dei fondi comunitari destinandoli solo a fronteggiare l’emergenza sanitaria ed economica. Nessuno sottovaluta la rigidità politica e spesso la miopia dei Paesi del Nord Europa, ma per vincerle ci vogliono intelligenza politica, duttilità tattica e grande abilità negoziale. Tutto il contrario della mossa di Conte, che fin da lontano sa di furbata ad uso interno, ma che stavolta rischia di costarci cara, molto cara.

*** L’autore di questo articolo è il Direttore di FIRSTonline.info

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