Non è tanto Renzi che ha fretta, ma è l’Italia che ha bisogno di rafforzare i primi timidi segnali di ripresa dell’economia, e di consolidare il ritorno della fiducia che si sta manifestando in maniera ogni giorno più evidente da parte degli investitori italiani ed internazionali. Scendono i tassi d’interesse, il risanamento delle banche sembra aver imboccato il tratto finale del lungo e tormentato percorso iniziato cinque anni fa. La produzione industriale e la domanda interna mantengono, dopo tanti trimestri disastrosi, un segno positivo. Scendono i prezzi dell’energia, mentre l’inflazione in generale è così bassa (appena lo 0,5%) da non lasciar immaginare altre discese dei prezzi. Anzi, si attende con ansia una mossa “non convenzionale” della Bce per cercare di riportare l’andamento dei prezzi verso il target del 2% annuo.
Le riforme messe in cantiere da Matteo Renzi stanno giocando un ruolo fondamentale per rafforzare il cambio di aspettative nei confronti del nostro Paese. E tra queste contano certamente quelle del mercato del lavoro e quelle riguardanti il taglio della spesa pubblica e la riduzione del carico fiscale, ma soprattutto stanno avendo un forte impatto quelle riforme riguardanti l’assetto istituzionale: l’abolizione del Senato e la riforma delle autonomie locali, oltre alla legge elettorale necessaria per assicurare una maggiore stabilità di governo.
Ma, come spesso succede in Italia, le polemiche infuriano. E riguardano non tanto gli aspetti certamente migliorabili dei progetti finora approvati dal Consiglio dei Ministri, ma proprio l’impianto generale delle riforme, facendo ricorso a teoremi generali francamente ridicoli per quanto sono infondati. Si parla di “svolta autoritaria”, di “pericoli per la democrazia”, di mancanza di bilanciamenti a quella che viene vista come una potenziale dittatura della maggioranza ed in particolare del premier.
Vanno in questa direzione le critiche veramente inusuali del presidente del Senato Pietro Grasso e di un gruppo di intellettuali (Rodotà, Zagrebesky, Spinelli) che hanno pubblicato un manifesto in difesa della “Costituzione più bella del mondo”, senza tener conto che quelle regole hanno portato il Paese non solo alla paralisi decisionale, ma ad un passo dal vero e proprio collasso degli apparati dello Stato.
Stupiscono le critiche di Pietro Grasso, un magistrato appena arrivato in politica su indicazione dell’allora segretario del Pd, Bersani, che attacca uno dei punti centrali del progetto di Renzi e cioè quello della non elezione popolare dei futuri senatori che verranno invece nominati dalle autonomie locali. E’ evidente che un Senato eletto dai cittadini tenderebbe a riproporre gli attuali meccanismi del bicameralismo perfetto, che sono tra i responsabili non solo delle lungaggini del nostro iter legislativo ma anche della pessima qualità delle leggi.
In questo modo Grasso, che come presidente dovrebbe essere super partes e quindi non prendere posizioni politiche, ha dato voce ai tanti malpancisti del Pd, gente quest’ultima che appare incapace di formulare qualsiasi critica costruttiva alle proposte del segretario del partito, ma si limita a mugugnare contro la sua irruenza, invocando vuote formule come il diritto alla discussione, o il sempre verde “benaltrismo”, oppure la semplice necessità di pensarci bene prima di varare riforme tanto incisive sul nostro ordinamento. Ma se sono trent’anni che si studiano i possibili cambiamenti alla Costituzione, dire che bisogna pensarci ancora è quantomeno sospetto!
Mentre l’attenzione di tutti si concentra sula riforma del Senato, ancora più importante appare il ridisegno delle autonomie locali alle quali vengono tolte una serie di materie riportandole alla competenza statale. Ed anche qui le critiche al decisionismo centralista non si contano. Ma se le Regioni sono state (con qualche eccezione) le vere responsabili dell’esplosione della spesa pubblica e della paralisi decisionale causate della confusione e sovrapposizione delle competenze!
Appare chiaro che molti vogliono boicottare le riforme per motivi politici, e cioè per mettere in difficoltà Renzi e costringerlo a trattare sulla spartizione delle poltrone, oppure per motivi ideologici, perché incapaci di vedere le esigenze dei una moderna democrazia funzionante. Diverso è l’atteggiamento di quanti, come Monti e la Lanzillotta, ma anche D’Onofrio, mettono in rilievo alcune questioni che non toccano l’impianto generale della riforma, ma ne potrebbero migliorare l’efficacia. In questo senso vanno le proposte che tendono ad allargare la platea dei possibili senatori ad esponenti della società civile, riducendo il peso della classe politica locale che negli ultimi anni non ha certo brillato per correttezza e per i risultati conseguiti.
In definitiva, vista la grande attenzione con la quale tutti gli osservatori internazionali guardano a quello che sta facendo l’Italia per adeguare il proprio sistema istituzionale ed economico alle esigenze della moderna competitività, chi avrà il coraggio di boicottare le riforme e risospingere il Paese nel buco nero delle nazioni inaffidabili dalle quali è meglio stare alla larga? Chi si assumerà la responsabilità di gelare i primi germogli di ripresa che cominciano ad essere ben visibili? Al contrario, viste le drammatiche urgenze del Paese ed il discredito delle istituzioni, i parlamentari dovrebbero accorciare i tempi della discussione, dandosi delle scadenze precise per arrivare alla votazione finale e lavorando, se necessario, anche il sabato e la domenica, come peraltro tanti cittadini sono costretti a fare per arrotondare il magro stipendio.