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Racconto della domenica: “Non aspettarmi alzata” di Davide Lisino

L’infedeltà coniugale di un uomo comune lo porta a ritrovarsi coinvolto in una caccia del tutto particolare, in cui i ruoli sono liquidi come lo sguardo scintillante di una pantera ammantata del nero notturno. Tra pallottole volanti, che perforano le carni come zanne selvagge, lugubri ceffi che sembrano usciti da un western tarantiniano con una spruzzata (di sangue, naturalmente) di George Romero, Davide Lisino firma un racconto weird, misterioso, senza chiare piste, dalla natura quasi soprannaturale.

Racconto della domenica: “Non aspettarmi alzata” di Davide Lisino

Nicola gira per l’ennesima volta la chiave. L’auto tossisce, ma non parte. Nell’abitacolo si sente solo il rumore monotono dei tergicristalli che vanno avanti e indietro e la pioggia che picchia sul parabrezza e sul tettuccio.  

Sbuffa.  

Che palle. 

Allunga la mano sul sedile del passeggero e afferra il cellulare per chiamare il soccorso stradale. Il display si illumina e Nicola vede che non c’è nemmeno una tacca. Niente campo.  

Oh, perfetto. 

Getta il cellulare sul sedile e si volta a osservare fuori dal finestrino. Non è che ci sia granché da vedere, dato che è buio e piove a dirotto.  

Si trova su un’anonima strada provinciale in mezzo alla campagna. La statale era interrotta ed è stato costretto a deviare su questa strada che non conosce. Nel percorso, ha incrociato pochissime auto. Da entrambi i lati della carreggiata si vedono campi scuri. Di abitazioni, invece, neppure a parlarne. 

Che cazzo di situazione. È troppo lontano anche per tornare a casa di Elena. Pensare a lei gli fa venire in mente che, forse, un po’ se l’è meritato di ritrovarsi scaraventato in mezzo al temporale. Sono mesi che racconta balle a sua moglie per stare con Elena. Ed è sposato solo da due anni. Anche stavolta ha detto che andava a Bologna per lavoro e invece ha raggiunto Elena nella sua casa di campagna per passare il week-end.  

Bologna, in effetti, è una scusa che funziona sempre. Ogni volta Nicola l’avvisa che arriverà tardi e ogni volta sua moglie lo aspetta sveglia leggendo un libro a letto. 

Oltre il parabrezza, Nicola guarda un cartello stradale illuminato dai fari dell’auto. È corroso dalla ruggine. Sul palo, qualcuno ha attaccato un mazzo di fiori ormai appassiti. Lo scheletro di una margherita, crivellato dalla pioggia, si stacca e cade a terra.  

È vero, è un pessimo marito, anzi è un vero stronzo, ma almeno potrebbe smettere di piovere, cazzo.  

Sbuffa di nuovo. Merda. Non ha nessuna voglia di passare la notte in auto. Tra l’altro, stando a quanto ha letto sul giornale, è proprio da quelle parti che è stata avvistata una pantera nera. L’ennesima pantera. Ciclicamente, sui giornali appaiono articoli su animali feroci scappati dai circhi, che se ne vanno a spasso per i boschi delle campagne. Nicola ha sempre pensato che fossero leggende metropolitane, ma in quel momento non ci scommetterebbe. Chissà, forse dovrebbe dormire in auto e aspettare l’indomani per trovare un telefono.  

Nello specchietto retrovisore compaiono due fari bianchi. Meno male. Accende le quattro luci di posizione e scende dall’auto per aspettare l’altra macchina che sopraggiunge dal fondo della strada. Si alza la giacca sopra la testa per coprirsi dalla pioggia. Le luci posteriori della sua auto tingono di rosso un paracarro sul ciglio della strada.  

Osserva l’altra vettura avvicinarsi. Ha gli abbaglianti accesi e non riesce a capire né le dimensioni né il modello. Nicola inizia a fare segno con il braccio. L’auto rallenta e gli si ferma accanto.  

Un carro funebre.  

L’auto è un carro funebre. Una Mercedes station wagon blu scuro con una croce sulla parte anteriore del tettuccio. Nicola è tentato di toccarsi gli attributi. Il finestrino col vetro oscurato dalla parte del passeggero si abbassa.  

Un uomo con folti capelli e barba neri guarda in silenzio davanti a sé.  

«Nicola?» dice una voce oltre l’uomo con la barba. «Sei Nicola Landolfi, vero?» 

«Sì… sono io» dice confuso Nicola. 

L’autista si sporge oltre l’uomo con la barba. Ha le guance scavate e grandi occhi azzurri. Sorride a Nicola.  

«Mi pareva di averti riconosciuto. Sono Giulio Fiorentini. Ti ricordi?» 

L’uomo con la barba continua a fissare di fronte a sé senza aprire bocca.  

«Ah, ciao, Giulio» dice Nicola. «Come stai?» 

Nicola si ricorda di Giulio Fiorentini. Erano compagni di classe al liceo. Giulio faceva parte del gruppo dei casinisti che andavano male a scuola e che piacevano alle ragazze. Nicola non l’aveva mai frequentato fuori dalla classe. E quando poi Giulio, in quarta liceo, era stato espulso per aver incendiato la camera d’albergo in gita, Nicola lo aveva definitivamente perso di vista.  

«Cazzarola, quanti anni saranno passati?» fa Giulio. «Dodici? Tredici?» 

«Sì, più o meno» dice Nicola.  

«E ci rincontriamo di notte su questa strada in culo ai lupi. È strano forte, puttana troia.» 

«Già.» 

Nicola è fradicio. La camicia bagnata gli si è appiccicata alla schiena. E l’acqua gli scorre nelle mutande. Non si sente per niente a suo agio.  

«Allora, vecchio minchione, che mi dici?» gli chiede allegro Giulio.  

«Ascolta, Giulio» dice Nicola, «ho la macchina in panne e il cellulare qui non prende. Potreste darmi un passaggio fino a un bar o un ristorante dove possa telefonare?» 

Giulio guarda l’uomo con la barba. «Possiamo?» 

«Hanno detto che sei tu quello che prende le decisioni» dice l’uomo con la barba senza voltarsi.  

“Hanno detto, chi?” si domanda Nicola. 

Giulio annuisce. «Giusto» dice. «Uhmm» fa poi, massaggiandosi il mento con una mano. Nicola si asciuga l’acqua dagli occhi. È come stare vestito sotto la doccia. Cosa avrà mai chiesto che quello ci deve pensare? Gesù, gli serve solo un piccolo passaggio, non un prestito di cinquantamila euro.  

Finalmente Giulio si decide. «Va bene» dice. «In fondo non ci dovrebbero essere problemi. Sali, dai.»  

Nicola ringrazia, apre la portiera posteriore e monta. Nel cassone c’è una bara chiusa in legno massiccio.  

Giulio dice: «Avvisaci se si apre all’improvviso, eh?». Poi scoppia a ridere.  

Nicola sorride incerto. «Non sapevo che le pompe funebri lavorassero di notte.» 

«Sì, beh, ogni tanto ci tocca fare gli straordinari» dice Giulio. 

Giulio ingrana la prima e il carro funebre riparte. Nicola si allaccia meccanicamente la cintura.  

Di fronte a loro, si vedono soltanto pioggia e buio. 

«Allora, Nick» dice Giulio. «Racconta un po’. Che combini?» 

«Niente di che. Faccio il rappresentante di articoli sportivi.» 

«Ah. E che ci facevi da queste parti?»  

«Sono andato a trovare un amico» mente. Non ha nessuna intenzione di raccontare i fatti suoi a Giulio. 

Giulio annuisce. «Capisco.» 

Nicola osserva l’uomo con la barba. Se ne sta seduto immobile e silenzioso, con lo sguardo fisso da alienato. È un po’ inquietante. “No, smettila di fare il cacasotto” si dice subito dopo in uno scatto di orgoglio.  

«Sei sposato?» gli domanda ancora Giulio. 

«Eh? Sì.» 

«Bene, mi fa molto piacere. Insomma, mi ricordo che al liceo non tiravi su molta figa.»  

«Beh, però mi sono rifatto all’università» dice Nicola imbarazzato.  

«Davvero? C’è proprio speranza per tutti, allora.» Giulio ridacchia.  

Nicola fissa la nuca spettinata del vecchio compagno. Ecco perché non sono mai stati amici, con quello stronzo. E poi Giulio cosa ha combinato nella vita? Guida uno sfigato di carro funebre, ecco cosa. Farglielo notare proprio ora, però, non sarebbe una grande idea, anche se se lo meriterebbe, eccome. Quello stronzo becchino.  

«E tu? Sei sposato?» chiede invece Nicola per cambiare discorso.  

«Lo sono stato per un po’, ma non è durata. Mi piace troppo la figa.» Si volta verso il compare. «Vero, Luger?» 

Lo sguardo di Nicola si sposta sulla nuca dell’uomo barbuto. La Luger non era la pistola usata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale?  

«Tu sei capace di fotterti anche i cadaveri» dice Luger guardando sempre di fronte a sé.  

Giulio sghignazza. «Sì, ma solo quelli che non hanno i vermi. Non sono mica una bestia. A proposito di morti… Luger, racconta a Nicola la barzelletta che hai detto a me. Fa davvero pisciare.» 

Luger si gira indietro verso Nicola. Le luci verde acido del cruscotto gli illuminano il viso; sembra uno zombi.  

«Che cosa fa un teschio col cazzo in bocca?» dice Luger. 

Nicola scuote la testa. 

«Le pompe funebri» conclude Luger.  

Nicola sorride per educazione, ma in realtà la conosceva. È una barzelletta che raccontano alle elementari, è coperta da metri di muffa. 

«Non ti è piaciuta?» gli chiede Giulio. «Io mi sono quasi cagato addosso dal ridere.» 

Luger fissa Nicola con gli occhi sbarrati. Nicola distoglie lo sguardo. Adesso perché cazzo lo deve fissare così?  

«No, mi è piaciuta» si affretta a dire. 

«Ma la conoscevi già» dice Luger.  

«Sì… In realtà, sì.»  

«E allora perché non l’hai detto subito, stronzo figlio di puttana?» 

Nicola scopre improvvisamente di avere la gola secca e non riesce a rispondere. Si limita a guardare Luger sbattendo le palpebre. Luger ruota sul sedile e torna nella sua posizione originaria. «Se c’è una cosa che mi fa incazzare, è raccontare le barzellette a chi le conosce già.»  

«In effetti, sono cose che non si fanno» dice Giulio, in tono comprensivo. 

Nicola si pente di aver chiesto il passaggio. Giulio non gli è mai stato simpatico e il suo amico Luger… beh, non lo vedrebbe male con una camicia di forza.  

Infila la mano nella tasca della giacca per cercare il cellulare e vedere se prende di nuovo, così finalmente può chiamare il soccorso stradale e sganciarsi da quei due. Il cellulare non c’è. L’ha dimenticato nell’auto. Si dà del coglione. Guarda fuori dal finestrino. In mezzo alle tenebre e alla pioggia si intuiscono solo boschi e, più in alto, colline con vigneti. Ma quando cominciano le case?  

Giulio il cellulare ce l’ha di sicuro. Magari potrebbe chiamare col suo, se nella zona c’è campo. Sta per domandarglielo quando, dopo una curva, vede una pattuglia dei carabinieri ferma sul ciglio della strada. Un posto di blocco. Perfetto. Può scendere e chiedere ai carabinieri di chiamargli un carro attrezzi. Un carabiniere alza la paletta e fa segno di accostare.  

«Io scendo qui» dice Nicola. «Non è il caso che vi disturbiate ancora per me.» 

Giulio mette la freccia, rallenta e si ferma dietro la jeep Defender dei carabinieri.  

Nicola si slaccia la cintura di sicurezza, pronto a scendere, quando vede Luger estrarre una pistola e metterla in mezzo alle gambe. 

A Nicola si mozza il respiro. «Ma che fate?» 

Il militare con la paletta si avvicina al finestrino di Giulio. Giulio lo abbassa, Luger allunga il braccio e fa fuoco. Nicola sobbalza sul sedile al rumore della detonazione, nell’abitacolo lo sparo ha la potenza di un tuono.  

La faccia del carabiniere esplode. Sangue e pezzi di carne si spiaccicano sul cruscotto e sul finestrino posteriore.  

Il secondo carabiniere punta la mitraglietta verso il carro funebre, Luger apre la portiera e spara. Il carabiniere, centrato sul giubbotto antiproiettile, indietreggia andando a sbattere contro la fiancata della jeep. Il secondo colpo di Luger, però, gli fa scoppiare la carotide. Lo sbocco di sangue sprizza sulla mitraglietta. Il carabiniere contrae il dito sul grilletto, una breve raffica si perde nel cielo nero e il corpo si affloscia contro la ruota della jeep.  

«Oddio» fa Nicola. «Oddio.» 

«Sta’ buono» gli dice Giulio. 

Luger si avvicina alla jeep e spara in testa al carabiniere. Poi rientra in auto. Ha i lunghi capelli bagnati appiccicati alla fronte.  

«Vai» dice a Giulio. Giulio riparte. Luger si volta verso Nicola puntandogli addosso la pistola. «Non muoverti.» 

Nicola inizia a tremare.  

Giulio gli lancia un’occhiata nello specchietto retrovisore. «Ascolta, Nick. Mi dispiace. Ma in quella bara c’è un sacco di droga. Non si poteva fare diversamente, capisci?» 

La mente di Nicola è paralizzata, peggio di un computer impallato. I suoni e le voci gli sembrano rimbombare come all’interno di una caverna. 

«Che facciamo adesso?» chiede Giulio a Luger. 

«Indovina» dice l’altro, sempre con la pistola puntata su Nicola.  

Giulio sbuffa. «Cazzo, Luger. Siamo andati a scuola insieme.» 

«Dovevi pensarci prima di caricarlo.» 

Giulio scuote la testa. «Che notte di merda.» 

Proseguono ancora un paio di chilometri, poi Luger dice: «Qui va bene». 

Giulio si ferma in uno spiazzo di terra battuta, spegne il motore ed esce dall’auto. Nicola guarda fuori. Sulla destra, oltre il guardrail, un prato in pendenza prosegue per una decina di metri fino a un bosco.  

Luger smonta dall’auto e gli apre la portiera. «Scendi» dice.  

«Dove andiamo?» La voce è flebile e tremula.  

«Scendi.» 

«No, per favore.»  

Luger gli afferra i capelli e lo tira fuori. Nicola rabbrividisce quando l’acqua fredda della pioggia gli sferza il corpo.  

Luger lo spinge verso il prato.  

Nicola scavalca il guardrail, e inizia a camminare nel prato seguito da Luger e Giulio. Ma il terrore gli fa cedere quasi subito le gambe e inciampa sull’erba bagnata. Giulio lo aiuta ad alzarsi.  

«Forza, dai» dice, come per incoraggiarlo.  

Poi si inoltrano nel bosco. “È finita” pensa Nicola. “Adesso mi ammazzano. Mi seppelliranno da qualche parte e mia moglie non mi troverà più.” L’immagine di lei che rimane sveglia apposta per dargli la buona notte, gli fa venire da piangere.  

«Fermati» dice Luger. Nicola si volta verso di loro. Sono due ombre indistinte. Luger volta la testa verso Giulio. «È tutto tuo.»  

«Come?» dice Giulio «Pensavo lo facessi tu.»  

«La responsabilità è tua.» 

«Io volevo soltanto fargli un favore.» 

Luger lo fissa tranquillo. «Chissà, magari glielo stai facendo.» 

Giulio fa un lungo sospiro, poi mette una mano dietro la schiena e prende una pistola. «In ginocchio, Nick.» 

«Ti prego, Giulio» dice Nicola. «Non dirò niente. Non ho visto niente. Giuro su Dio.» 

«Mi dispiace sul serio. Ma non è possibile» Giulio fa una pausa. «Comunque non sentirai dolore.» 

Giulio distende il braccio e punta la pistola alla fronte di Nicola.  

Luger posa una mano sulla pistola di Giulio. «Fermo» dice a bassa voce.  

«Che c’è?» gli fa Giulio. 

«Voci. Alla nostra destra.» 

«Cosa?» 

«Shhh» fa Luger e abbranca Nicola. Gli tappa una bocca con la mano, lo tira per il collo, lo trascina a terra. Poi Nicola sente la canna dura della pistola premere sulla tempia.  

Luger fa cenno con la testa a Giulio. Questo si volta nella direzione indicata da Luger e si avvicina a un terrapieno. Si arrampica e sporge la testa per guardare.  

Uno sparo.  

La testa di Giulio scompare in uno sciame di materia grigia, carne e sangue.  

«Cristo» sente dire Nicola da Luger.  

Il corpo di Giulio si piega su un lato e rotola alla base del terrapieno.  

Luger lascia la presa su di lui e scappa di corsa nella direzione opposta.  

Nicola si gira verso la sommità del terrapieno. Un lampo irradia la sagoma di un uomo con indosso una mantella impermeabile e un fucile.  

L’uomo scende il terrapieno e si ferma a osservare il cadavere di Giulio. 

Si mette le mani nei capelli e inizia a piagnucolare. «Oh, no, cazzo. No.» 

Nicola lo osserva immobile, le mani affondate nella terra bagnata.  

«L’hai presa?» dice un’altra voce maschile dall’altra parte del terrapieno.  

Altri due uomini col fucile raggiungono il primo che si dispera. «Ho visto muovere… Credevo fosse la pantera…» 

«Cristo santo, che bordello» dice uno degli altri cacciatori.  

Il terzo uomo si guarda in giro e si accorge di Nicola.  

Ha smesso di piovere, finalmente.  

Nicola, avvolto in una coperta che puzza di cane, è seduto nella station wagon di uno dei cacciatori, ferma sul ciglio della provinciale. I tre cacciatori parlottano in piedi fuori dall’auto.  

Nicola ha spiegato quello che è successo e il tizio che ha ucciso Giulio sembra meno turbato adesso. Tutti aspettano i carabinieri che dovrebbero arrivare nel giro di una ventina di minuti.  

Nicola dà uno sguardo all’orologio. Sono quasi le tre.  

Sua moglie di sicuro lo starà cercando. Deve chiamarla, non vuole farla stare in ansia. Scende dall’auto e si avvicina ai cacciatori.  

«Mi servirebbe il cellulare per chiamare casa» dice. 

Il proprietario dell’auto glielo porge. «Certo.» 

Nicola si allontana e compone il numero di casa. Pigia il tasto di chiamata, accosta il telefono all’orecchio.  

E la vede. 

La pantera.  

Al di là della strada, l’animale attraversa il prato e poi si infila nel bosco, il manto nero, lucido, sinuoso, che diventa un tutt’uno con le tenebre sotto gli alberi.  

Nicola si volta verso i cacciatori per avvertirli. I tre in effetti non l’hanno notata, stanno continuando a chiacchierare.  

Nicola li osserva qualche istante, riflettendo.  

Poi torna a voltarsi verso il bosco, e resta in silenzio ad ascoltare il segnale di libero. 

* * * 

Davide Lisino è nato Torino nel 1977. Laureato in Giurisprudenza, lavora come sceneggiatore di serie tv, prima per Endemol e poi per Sky, con la serie animata Adrian, ideata da Adriano Celentano con i disegni di Milo Manara e le musiche di Nicola Piovani. Nel 2008 pubblica il romanzo noir-comico Italian Cowboys (Fandango), una parodia delle storie di investigatori privati alla Philip Marlowe; nel 2011 esce Eroi esauriti per goWare. È autore di racconti e numerosi soggetti e sceneggiature cinematografiche. Appassionato di arti marziali, cintura nera di karate, vive fra Roma e Torino.  

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