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Quando il lavoro lo fanno i robot: Brynjolfsson e McAfee i nuovi Keynes?

Nella seconda età delle macchine, quelle cognitive e non solo utensili, c’è meno spazio per il lavoro umano: l’offerta di lavoro è irrimediabilmente superiore alla domanda e non c’è modo di ripianare questo gap – Ma se fosse invece proprio la tecnologia ad aiutare il lavoro? Ne parla un eBook goWare, citato da Corriere della Sera e Financial Times.

Quando il lavoro lo fanno i robot: Brynjolfsson e McAfee i nuovi Keynes?

I maggiori maître-à-penser globali hanno discusso le tesi dell’ultimo libro di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, due economisti/scienziati del MIT Center for digital business. Da Thomas Friedman del “New York Times” a Larry Summers, dal “The Economist” a Martin Wolf del “Financial Times” sono tutti intervenuti a più riprese a validare l’analisi e i rimedi delineati nel libro. Indubbiamente The Second Machine Age, preceduto da uno studio seminale tradotto anche in italiano, è un libro che lascia il segno. Perché? Perché dice delle cose molto sgradevoli che non vorremmo ascoltare, come una brutta diagnosi dal medico.

Nella seconda età delle macchine, quelle cognitive e non solo utensili, c’è meno spazio per il lavoro umano: l’offerta di lavoro è irrimediabilmente superiore alla domanda e non c’è modo di ripianare questo gap con politiche keynesiane o monetariste che siano. O meglio, esiste un disallineamento tra le competenze richieste dal mercato e quelle possedute da chi perde o cerca il lavoro. Le loro professioni le svolgono adesso le macchine intelligenti iper-connesse che sono anche laddove non ci si sarebbe mai aspettato di trovarle come alla guida di un’automobile o in una sala operatoria.

Dunque, non si tratta solo di lavori generici, ripetitivi o a bassa qualificazione: le macchine iniziano a svolgere meglio dell’uomo mansioni dove c’è da assumere delle decisioni, sottraendole, così, alla classe media che è la spina dorsale delle economie dei paesi sviluppati e il perno delle loro democrazie.

Le uniche professioni che la forza centrifuga dell’automazione non riesce a risucchiare sono quelle che richiedono empatia, creatività, capacità di relazione, di negoziazione e di leadership.

La tecnologia migliora la vita degli uomini

Dobbiamo allora preoccuparci parecchio? Non più di tanto perché, come hanno dimostrato tutte le precedenti rivoluzioni industriali, la tecnologia migliora la vita degli uomini e prima o poi la società riesce a trovare un equilibrio. I robot possono sedere nei sedili posteriori nella nuova età delle macchine a patto che si riesca a trasmettere alle persone nuovi skill, cioè le competenze che sono necessarie in questo nuovo contesto sociale ed economico. È un compito che può svolgere la scuola, la formazione e tutto quello che gravita intorno alla conoscenza, compresi i libri. L’educazione permanente, cioè praticata in tutte le età della vita lavorativa di una persona, diventa la leva più importante per guardare al futuro con serenità. Si tratta di un investimento che tutti devono mettere in conto: le persone, le famiglie, le imprese e i governi.

Di seguito pubblichiamo un intervento di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee comparso anche sul “Financial Times” del 22 gennaio 2014 con il titolo “Robots stay in the back seat in the new machine age”.

Sugli stessi temi segnaliamo anche una lunga intervista di Massimo Gaggi del “Corriere della Sera”ai due autori pubblicata sul dorso “La Lettura” del 16 febbraio 2014.

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Macchine intelligenti

Di questi tempi è facile essere pessimisti sul lavoro e sui salari. Un numero crescente di mansioni sono automatizzate da tecnologie sempre più potenti, performanti e pervasive.

Non solo i computer possono trascrivere e tradurre il linguaggio umano, ma possono anche capire ed eseguire abbastanza bene istruzioni elementari. Oggi le macchine interpretano enormi quantità d’informazioni non strutturate, individuano dei modelli e traggono inferenze meglio di qualsiasi soggetto altamente qualificato ed esperto. Alcuni recenti sviluppi sono sotto gli occhi di tutti: le auto senza pilota, i droni, i robot che affiancano i lavoratori nelle fabbriche, nei magazzini e nelle campagne automatizzate.

Queste innovazioni stanno uscendo dai laboratori per inserirsi nell’economia reale, con nuove sfide per i lavoratori, dai commercialisti a chi prepara gli hamburger nei McDonald’s. Molti sono arrivati alla conclusione che la disoccupazione tecnologica è alla fine arrivata. Per questi osservatori, le tendenze del lavoro riscontrabili in molti paesi, come il declino dei salari reali, la mobilità sociale, la crescente disuguaglianza e la persistenza di un’alta disoccupazione stanno subendo un’accelerazione con l’avanzare della tecnologia.

Gli insegnamenti degli altri rivoluzioni industriali

Ma il mondo non è ancora pronto a mollare il lavoro umano. L’umanità sta entrando in una seconda età delle macchine. La prima, scaturita dalla rivoluzione industriale, era meccanica; questa è digitale. La prima accresceva la muscolatura, la seconda la nostra mente.

La storia non si ripete, ma certamente contiene degli indizi e dalle successive ondate della rivoluzione industriale meccanica possiamo trarre degli insegnamenti per il nostro tempo. Le prime decadi del 20mo secolo sono particolarmente significative. In quel tempo, l’elettricità, il motore a combustione interna e altre innovazioni trasformarono l’industria. John Maynard Keynes e altri le interpretarono come un veicolo di disoccupazione tecnologica.

Piuttosto che verso la disoccupazione, queste innovazioni spingono la domanda di un differente tipo di lavoratori, quelli che usano la testa a complemento o in sostituzione delle mani e delle spalle.

Molte società risposero a questa domanda investendo in formazione. Gli Stati Uniti vi investirono pesantemente e non è un caso che ancor’oggi primeggino in produttività e tenore di vita.

Parallelamente gli imprenditori inventarono intere nuove industrie che attrassero questa nuova forza lavoro. I lavoratori qualificati scoprirono di poter chiedere salari più alti da spendere in una vasta scelta di merci e servizi a completamento di questo circolo virtuoso. Invece che la disoccupazione tecnologica, gli anni del dopoguerra videro il nascere di un’ampia, stabile e ricca classe media.

La lezione è chiara: la rivoluzione industriale nacque come una gara tra la formazione e le macchine – e per la maggior parte del XX secolo gli umani hanno guidato la corsa.

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