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Produttività: imprese divise, accordo rimandato

Si determina una spaccatura tra il rinsaldato asse Cgil-Confindustria e il mondo delle piccole imprese, banche e assicurazioni. Passera e Fornero chiedono un utilizzo efficiente dei fondi messi a disposizione per i salari di produttività. Mussari: “sono fiducioso”, ma l’accordo slitta.

Produttività: imprese divise, accordo rimandato

La triangolazione tra Governo, sindacati e parti sociali sul tavolo della produttività non ha – per ora – avuto successo.
Mario Monti sperava in un accordo dell’ultimora, da mostrare a Bruxelles insieme all’approvazione in Senato del ddl anticorruzione.

Dopo lunghe e concitate trattative il rush finale non ha prodotto risultati, ma polemiche sì: Susanna Camusso ha accusato il Governo di intralciare il processo concertativo tra sindacati e mondo imprenditoriale, in seguito a un incontro separato al Ministero dello Sviluppo tra il duo Passera-Fornero e le associazioni datoriali di categoria. L’aspra critica della Camusso non è passata inosservata, tanto che il superministro di Via Veneto ha prontamente bollato come “privi di senso” i commenti del segretario Cgil, che ha criticato il mancato invito delle rappresentanze sindacali.

Stamattina, invece, il Presidente Abi Giuseppe Mussari si è dichiarato “ottimista sulla possibilita’ di trovare un accordo per la produttività”. Un ottimismo condiviso anche da Giorgio Squinzi, nonostante il mancato raggiungimento di un patto in tempi utili sia dovuto proprio alla spaccatura che si è determinata tra il rinsaldato asse Confindustria-Cgil da un lato, e il mondo della piccola imprenditoria e della finanza dall’altro.

Proprio l’Abi (Associazione Bancaria Italiana) e l’Ania, che rappresenta le imprese assicurative a livello nazionale, si sono opposte a un accordo che – secondo alcune indiscrezioni – Cgil e Confindustria avrebbero raggiunto e presentato all’esecutivo, accordo tuttavia giudicato insufficiente anche da Corrado Passera ed Elsa Fornero. Il ministro del Lavoro, in particolare, ha più volte ricordato che condizione necessaria alla concessione del finanziamento (pari a 1,6 miliardi tra 2013 e 2014) per i salari di produttività è il raggiungimento di un accordo serio e quantificabile con certezza.

Ma l’intesa raggiunta tra Giorgio Squinzi e Susanna Camusso non soddisfa questi requisiti, dal momento che si limita a implementare l’accordo del 28 giugno 2011 (in materia di rappresentanza), accordo che Passera considera insufficiente dal momento che “parla di strumenti a disposizione e non di impegni a favore della produttività concretamente misurabili”.

Il Governo esige che i fondi vengano spesi nel modo più efficiente possibile, ed è pronto a dirottarli verso il risanamento dei conti pubblici qualora le parti sociali non riescano a condurre in porto, responsabilmente, una trattativa di portata sistemica nell’interesse del Paese. L’endorsement che Abi ed Ania hanno garantito all’esecutivo non è casuale: sia banche che assicurazioni affrontano – per cause diverse – problemi di costo del lavoro.

Gli istituti creditizi devono ridurre fortemente gli organici e chiudere 3000 sportelli, facendo i conti con i sindacati di categoria. Le imprese assicurative devono fronteggiare la sostanziale abolizione degli agenti monomandatari – inserita nella Legge di Stabilità – ma temono anche l’entrata in vigore di una proposta di legge (in discussione alla Camera), che introdurrebbe l’obbligo di garantire la presenza di agenzie su tutto il territorio nazionale, con conseguenze immaginabili sul costo del lavoro.

Snodo centrale della vicenda è (oltre al tema del demansionamento e della flessibilità oraria) quanta parte degli aumenti salariali spostare dal contratto-base nazionale a quello aziendale, legandolo agli obiettivi di produttività.
Mentre Confindustria e sindacati vorrebbero mantenere intatto l’assetto contrattuale (basato sulla doppia componente, quella fissa e quella legata agli accordi aziendali), Governo e mondo delle piccole imprese, appaiati in un’inedita convenzione con banche ed assicurazioni, premono per scindere il più possibile la regolamentazione del trattamento economico dalla parte normativa, lasciando quest’ultima ad appannaggio dei contratti collettivi e spostando la parte economica sulle trattative decentrate, per ridurre uno spread di competitività da 20 punti che costa al sistema produttivo, secondo Passera, non meno di 60 miliardi l’anno.

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