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Pollock e gli irascibili della scuola di New York in mostra al Vittoriano

La mostra POLLOCK e la Scuola di New York, prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con The Whitney Museum of America Art, New York e curata da David Breslin e Carrie Springer con Luca Beatrice, rimarrà aperta fino al 24 febbraio 2019.

Pollock e gli irascibili della scuola di New York in mostra al Vittoriano

Dopo la visionaria sregolatezza di Warhol, approdano a Roma,  gli “Irascibili” della Scuola di New York, quel gruppo di artisti dell’Action Painter che nel 1950 rivoluzionarono il mondo dell’arte americana irrompendo sulla scena culturale con la loro dirompente  e dissacrante carica di anticonformismo. Una vera e propria rivolta  che  divise  il mondo artistico americano al punto che il Metropolitan Museum di New York, con  scarsa preveggenza sul futuro dell’arte, arrivò ad escluderli da un’importante mostra di arte contemporanea suscitando grande scalpore negli ambienti artistici americani

Eccoli dunque in mostra fino al 24 febbraio all’Ala Brasini del Vittoriano, con Jackson Pollock in testa, il fondatore dell’Action Painting, superstar  della  pittura  americana  di quegli anni  al quale la rivista “Life”, già  nel 1949, aveva dedicato un lungo servizio  nelle  pagine  centrali chiedendosi   se  fosse  lui  il  più  importante  artista  americano  vivente. E con Pollock di cui viene esposto per la prima volta il celebre Number 27, la grande tela lunga oltre 3 metri  straordinaria sintesi dell’espressionismo astratto  fra le pennellate di nero e la fusione di colori chiariche da sola giustifica una visita alla Mostra del Vittoriano,  figurano in esposizione 50 capolavori di Mark RothkoWillem de KooningFranz Kline, William  Baziotes, David  Smith,  Lenore  Krasner, musa e compagna di Pollock costretta  a  cambiare  il  nome  di  battesimo  in  Lee (sembra incredibile negli anni ’50 ma è così) per  ovviare  alle discriminazioni  di  genere  radicate  nel sistema  dell’arte  e  figurare come   un  pittore  maschio, ed altri, che  offrono uno sguardo complessivo sul clima di quegli anni in cui la Scuola di New York impose al mondo l’espressionismo astratto come segno indelebile della cultura pop moderna, connubio tra espressività della forma e astrattismo stilistico, che influenzarono sensibilmente tutti gli anni 50’.
Action painting è dunque  innovazione, trasformazione, rottura dagli schemi e dal passato. La mostra che si propone di far scoprire al pubblico non solo il fascino di tale movimento attraverso l’arte ma soprattutto di far rivivere emozioni e sentimenti propri di quegli artisti che hanno reso unica un’era della storia dell’arte si basa su uno dei nuclei più importanti della collezione del Whitney Museum di New York. Un museo che ha  svolto una funzione determinante nella storia dell’arte moderna americana.  Lo fondò  nel 1931, quindi subito dopo la grande depressione del ’29, Gertrude  Vanderblit  Whitney  (1875-1942),  mecenate,  ricca  ereditiera  e  collezionista,  con il proposito di sostenere artisti  americani  viventi  e  non  ancora  consacrati  dalla  critica  e  dal  mercato.  Istituzione fondamentale  per  l’affermarsi  di  una  nuova  sensibilità  contemporanea,  differente  dal  modello  del MoMA,  ancora  eurocentrico  e  attratto  dai  maestri  delle  avanguardie  storiche.    E dal  1955  il  Whitney  Museum  rafforzò ancor di più  la  politica  di  acquisizione,  proprio per  rispondere  alla  mancata  fusione  con  il  Metropolitan,  di  cui  avrebbe  dovuto  essere  un’ala  dedicata  alla  nuova  arte  americana.

I critici lo definirono  un  “contenitore  vuoto”,  ma in realtà la  Scuola  di  New  York vi  trovò  un momento di coesione  in cui gli  artisti  discutevano,  

parlavano,  scrivevano,  si  radunavano  e andavano insieme  quando  c’’era  bisogno  di  combattere  una  qualche  battaglia.  Non fu vita facile per il gruppo. Nell’aprile del 1950  diversi  di  loro  –  Robert  Motherwell,  De  Kooning,  Gottlieb, Newman,  Hans  Hofmann,  William  Baziotes  –  avevano animato  la  tavola  rotonda  allo  Studio  35  per  lanciare  la  pubblicazione  di  “Possibilities  I. Modern  Artists  in  America” registrando  notevoli  difficoltà  di  essere  presi  in  considerazione  dal  pubblico  e  dalle istituzioni,  non  ancora  pronti  a  cogliere  “l’essenza  reale  del  lavoro  artistico”.  Anche fra loro le divergenze non mancano, non  si  mettono  d’accordo  neanche sul  nome  da  darsi.  Ufficialmente  è  Motherwell  a  introdurre  l’appellativo  Scuola  di  New  York  in  occasione  della  mostra  collettiva  Seventeen  Modern  American  Painterspresso  la  

Frank  Pearls  Gallery  di  Beverly  Hills  a  Los  Angeles,  a  sottolineare  la  forza  catalizzatrice  di  Manhattan  all’inizio  degli  anni  Cinquanta.  

L’episodio  più  significativo  che  ha  prodotto  quell’immagine  diventata  vero  e  proprio  simbolo  dell’arte  americana,  è  la  fotografia  di  Nina  Leen  apparsa  nel  gennaio  1951  su  “Life” ed esposta su un maxipannello al Vittoriano:  quindici  artisti,  Hedda  Sterne  è  l’unica  donna,  “vestiti  da  banchieri”,  messi  in  posa  per  mostrare  la  loro  forza  e  la  loro  coesione  contro  il  Metropolitan  Museum  che  non  ha  incluso  gli  Espressionisti  Astratti  nella  mostra  sull’arte  americana  contemporanea.  Un  modo  alquanto  singolare  di  contestare  la  decisione,  anticipato  dalla  lettera  pubblicata  sul  “New  York  Times”  nel  maggio  1950  che  raccoglie  

diciotto  firme.  Lo  scatto  identifica  dunque  gli  Irascibili,  nonostante  la  forma  così  civile  sottolineata  dagli  abiti  formali,  ove  i  protagonisti  (Pollock  al  centro,  Newman,  Rothko,  Motherwell,  De  Kooning)  sono  insieme  ai  comprimari.  L’aspetto  è  bonario  eppure  sono  tecnicamente  arrabbiati  per  questa  condizione  appartata,  che  pure  li  mette  in  una  situazione  piuttosto  tipica  ai  tempi  dell’avanguardia:  fare  fronte  comune,  lavorare  insieme,  condividere  successi  e  difficoltà  in  maniera  compatta.  Dal  Greenwich  Village,  il  quartiere  in  cui  si  radunano,  si  alza  così  una  voce  forte  sul  difficile  rapporto  tra  artisti  e  istituzioni,  anche  se  siamo  in  America,  il  Paese  del  nuovo.  Paese  in  cui  il  cambiamento,  per  non  dire  la  spaccatura  generazionale,  è  in  atto  e  non  si  fermerà  più  per  tanto  tempo,  a  partire  proprio  dal  1950,  l’anno degli  Irascibili,  appunto.  E da  Pittsburgh,  Andy  

Warhol  si  è  trasferito  stabilmente  sotto  l’Empire  State  Building,  lavora  come  illustratore  e  vetrinista  in  attesa  di  mettere  a  punto  la  strategia  che  lo  porterà  a  diventare  l’artista  più  importante  del  decennio  successivo.

 

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