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Piombino, acciaio: la fretta è cattiva consigliera

L’indiano Jindal, alleato di Arvedi, è molto interessato a rilevare l’impianto siderurgico ex Lucchini di Piombino ma chiede chiarezza e certezze, per evitare trappole come all’Ilva di Taranto – Gli errori di Calenda e quelli del commissario Nardi – Nuove tecnologie per l’impianto a ciclo continuo o acciaieria elettrica?

Piombino, acciaio: la fretta è cattiva consigliera

Adesso Carlo Calenda lo sa. L’acciaio scotta e può bruciare quanti gli si avvicinano senza le necessarie attenzioni e cautele. Dopo Taranto, lasciato in surplace fino al prossimo Governo, anche a Piombino il Ministro ha avuto troppa fretta di dichiarare chiusa la partita della ex Lucchini in favore dell’altro indiano dell’acciaio, Naaven Jindal, lasciato sulla porta dell’impianto pugliese dal Gruppo che fa capo a Lahshmi Mittal. Se a Taranto gli sgambetti istituzionali e le trappole giuridiche giocano dei punti in favore del giovane Ministro e della sua iniziativa per mantenere in vita l’impianto più importante dell’Europa così non si può dire per la vicenda piombinese.

Una vicenda affrontata senza gli schermi protettivi della discrezione, con troppi protagonisti e consulenti, di tutta fretta, con un commissario governativo alla liquidazione degli ex beni Lucchini preso dalla fregola di licenziare seduta stante  il proprietario algerino dell’Aferpi senza tuttavia indicare  una chiara linea di transizione verso una nuova proprietà. E’ parso a molti che si poteva lasciar intendere che… allungando il brodo del commissariamento si poteva contare ragionevolmente su un rinnovato  periodo di assistenza per i dipendenti  e di tornare a fare il “dominus” di uno stabilimento che lo ha visto per più di trent’anni amministratore pubblico, poi venditore, poi amministratore per conto dei privati e infine commissario quando i libri sono stati portati in tribunale e il problema è tornato nuovamente nelle mani del governo. 

Carlo Calenda ha quindi annunciato ai piombinesi che il sito produttivo era ormai salvo e pronto ad un progetto di rilancio nelle solide mani di Jindal e con l’Aferpi algerina in ritirata. Questione di ore e poi, nero su bianco, l’acciaio tornava in Val di Cornia. Con Jindal, si sa, si muove come alleato anche il lombardo Giovanni Arvedi con lo sguardo rivolto verso la Magona d’Italia, lo stabilimento che affianca il sito storico dell’acciaio. Poi le ore si sono trasformate in giorni e, infine, in un…arrivederci a dopo le elezioni. Cosa che ha permesso a Matteo Salvini e alla sua Lega di maramaldeggiare per una giornata intera tra Piombino e Follonica gridando al mondo intero che se lui andrà al Governo a far funzionare treni e forni sarebbe tornato lo Stato. Un bel pasticcio sfornato per il palato dei neo statalisti, dei sovranisti a buon mercato e capace di rimettere in vita il ricordo rassicurante delle mammelle pubbliche.  

Jindal non ha negato il suo interessamento. Anzi! Ha semplicemente messo a profitto la storia tarantina e quindi vuole camminare  a passi felpati in cerca di certezze e di punti di partenza chiari e definiti. Così l’occhio dei suoi consulenti cade ripetutamente sulle tematiche ambientali messe in  luce da provvedimenti di sequestro e da recenti indagini della magistratura livornese. Poi la questione delle concessioni portuali e dei terreni demaniali e della loro durata, che ora sono in testa all’algerina aferpi e che Jindal vuole pienamente riconosciuti dentro la sua iniziativa. Nel frattempo fa giocare all’alleato Arvedi la carta della Magona che Acelor-Mittal deve cedere per le regole europee di tutela del mercato ma che vorrebbe “castrare” smontando le linee del pre-verniciato quelle a maggior valore aggiunto.  

Jindal sa che Piombino ha una linea di laminazione competitiva nella vergella e nel bordione. Conosce lo stato avanzato tecnologicamente dell’impianto rotaie, forte di contratti a lungo periodo con le Ferrovie, competitivo nel trasporto metropolitano e con un mercato europeo controllato in comune con la sola Voestalpine. A lato della vecchia acciaieria c’è anche un buon treno per prodotti lunghi il cui revamping potrebbe determinare un impianto in grado di far concorrenza a molti privati. Infine il treno per tondo per cemento armato, nuovo di zecca, smontato dalla ex Stefana di Ospitaletto potrebbe rappresentare per Piombino il completamento dell’intero ventaglio dei lunghi.

Cinque o sei milioni di tonnellate che metterebbero in allarme i bresciani ed un mercato diventato nuovamente interessante da i margini del tutto appetitosi. L’unica riflessione (non ancora maturata in progetto) è intorno all’acciaio necessario ad alimentare le linee di laminazione. Riprendere con nuove tecnologie l’impianto a ciclo continuo o affidarsi alla potenzialità di una acciaieria elettrica? Un nodo che va sciolto ma senza fretta dal momento che sul porto di Piombino bramme e billette potranno sbarcare a tonnellate sia dall’India che da Cremona. 

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