Vendere, vendere e ancora vendere, approfittando di ogni rimbalzo, per modesto che sia. E’ il consiglio in arrivo dagli analisti di Barclays, convinti che la combinazione tra petrolio sempre più debole, rischi geopolitici ed un mercato reso più fragile dalle perdite dei listini, sia sufficiente a frustrare qualsiasi accenno di ripresa nei prossimi mesi.
E così il Toro stenta a rialzare la testa, schiacciato dai fantasmi della paura. Capita a Milano, frenata dalla pioggia di vendita sui bancari più esposti al nodo delle sofferenze. Capita a Wall Street, ancora una volta frenata nel pomeriggio dalla caduta dei prezzi petroliferi.
Il copione si è ripetuto stamane in Asia, sull’onda del calo del prezzo del petrolio, sceso di nuovo sotto i 28 dollari: un report dell’agenzia internazionale dell’energia ha messo in guardia contro il rischio che l’attivo sui mercati del greggio iraniano sia in grado di annullare i benefici del taglio della produzione dello shale oil.
Soffrono così Tokyo (-3,2%) e Hong Kong (-3,8%). Deboli a metà seduta anche i listini cinesi: Shanghai -1,2%, Shenzhen -1,4%.
WALL STREET SULLE MONTAGNE RUSSE. CHIUSURA SULLA PARITA’
La Borsa americana ha chiuso contrastata una seduta ad alta volatilità che ha visto l’indice S&P500 inabissarsi fino a toccare i livelli minimi toccati il 25 agosto dell’anno scorso a 1864 punti: al termine delle contrattazioni, Dow Jones +0,17%, S&P 500 +0,01%, Nasdaq -0,26%.
Il settore petrolifero ha lasciato sul terreno il 2,17%. Scendono i Big, come (Exxon -1,52%) e Chevron (-2,58%). Ma il malessere del mercato oil ha ormai contagiato una parte rilevante del listino. Arretra ad esempio Bank of America (-2,7%), nonostante risultati migliori delle previsioni. Ma la relazione trimestrale della banca esprime preoccupazione per le conseguenze del petrolio debole sull’economia. Pagano un alto prezzo anche i consumi: Tiffany, dopo i dati negativi sulle vendite di Natale, ha perduto il 6%.
SORRIDE SOLO NETFLIX +8%. EUROPA VERSO APERTURA IN ROSSO
La nota positiva l’ha fornita Netflix (+8%) dopo la trimestrale: gli abbonati internazionali sono saliti oltre i 4 milioni (contro i 3,5 milioni previsti). Anche l’Europa sembra destinata ad un’apertura debole, segnata dalle perdite dell’Asia e dal mancato sprint di Wall Street. Sono in forte ribasso i futures sugli indici di Londra (-110), Francoforte (-221) e Parigi (-96).
MPS -45% A GENNAIO. E CRESCONO LE POSIZIONI SHORT
Milano, intanto, tenta di rialzarsi dallo shock delle perdite del settore bancario. Ieri, dopo tre giorni di ribasso, Piazza Affari ha reagito mettendo a segno un rialzo dell’1% (indice FtseMib), che però è stato solo la metà dei rialzi delle altre principali Borse europee: Parigi è salita dell’1,9%, Francoforte +1,4%.
E’ proseguita infatti la pressione su gran parte del sistema bancario italiano. Sotto tiro, ancora una volta, sono stati Monte Paschi (-14% dopo diverse sospensioni per eccesso di ribasso, e Carige -11%). Proseguirà anche oggi il divieto Consob a vendere allo scoperto i titoli della banca di Siena che dall’inizio del 2016 ha perduto il 45%. Il fonde hedge Usa Aristeia Capital ha aperto una posizione Short (ovvero guadagna se il prezzo scende) pari allo 0,70% del capitale di Mps.
UNICREDIT NEL MIRINO, SALDE INTESA E MEDIOBANCA
La crisi non si è però limitata ai due istituti ritenuti a più alto rischio, ma ha investito la maggior parte degli istituti oggetto delle richieste della Bce sui Non Performing Loans. A poco è servita la nota del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ha provato a gettare acqua sul fuoco chiarendo che l’iniziativa avviata dalla Bce sulle sofferenze non mira a evidenziare nessuna preoccupazione specifica per gli istituti italiani.
La pioggia di vendite ha investito Unicredit (-3,4%). L’istituto ha precisato in una nota che “rispetto a quanto comunicato in occasione dell’ultima trimestrale (al 30 settembre 2015) non si evidenzia alcun elemento di novità”. A livello di gruppo – si ricorda – “le sofferenze (non performing loans) lorde si attestano a 50,6 miliardi di euro, in calo di circa il 3% rispetto a dicembre 2014 e il tasso di copertura è pari al 61,4%, tra i più alti in Italia. Di conseguenza, le sofferenze al netto delle riserve ammontano a 19,5 miliardi, in calo rispetto a dicembre 2014”.
In forte calo anche il Banco Popolare (-6,3%), uno degli istituti più esposti al tema sofferenze. Va meglio ad altre banche, pur oggetto delle comunicazioni di Francoforte: Banca Popolare di Milano +0,4%,Banca Popolare dell’Emilia -0,4%. Va ancora meglio agli istituti ignorati dall’indagine della Bce. Nessuna richiesta infatti è stata inviata a Intesa, in rialzo dell’1%, e a Mediobanca, in progresso del 2%. Sale anche Credem (+0,66%).
In controtendenza BancaIfis (+4,6%), dopo avere annunciato i risultati di bilancio 2015, chiuso con un utile netto di 162 milioni di euro, in crescita del 69%.
CRESCONO LE SOFFERENZE, TENGONO I BTP
Intanto la Commissione europea ha chiesto al governo italiano ulteriori informazioni sulla nuova proposta di bad bank, uno strumento studiato per aiutare le banche nazionali a liberarsi di oltre 200 miliardi di sofferenze. Ma nel frattempo ha reso noto che a novembre le sofferenze sono tornate a salire, con quelle lorde a 201 miliardi di euro dai 199 di ottobre (pari al 10,4% degli impieghi, percentuale invariata da ottobre) e quelle nette a 88,8 miliardi da 87,2 (4,89% degli impieghi, da 4,85% a ottobre).
In questo quadro sale l’attesa per il vertice di domani della Bce. Ancora una volta, mentre si profila il rischio di una frattura drammatica ai piani alti della Ue, i mercati si affidano alle parole di Mario Draghi. Intanto, grazie alla Bce, il mercato dei titoli di Stato non è colpito per ora dalla crisi. Stabile in area 1,57% il tasso del Btp decennale. Si riduce intanto lo spread sul Bund 10 anni a 108 punti base da 109. Si allenta anche la tensione sui titoli spagnoli nonostante l’incertezza politica e la mole dei titoli offerti in settimana: il decennale spagnolo scende a 1,71% da 1,75%, lo spread su Bund a 123 punti base da 128.
TELECOM, VIVENDI ESCLUDE ACCORDI CON ORANGE
A sostenere il listino milanese ha contribuito il rialzo di Telecom Italia (+4,7%). Dopo la notizia dei nuovi acquisti da parte di Vivendi, salita al 21,4% dell’ex incumbent delle tlc, il mercato scommette su possibili operazioni di M&A. Nel corso di una audizione al Senato, l’ad del gruppo Arnaud De Puyfontaine ha detto che il gruppo parigino non è il “punto di accesso” per Orange in Telecom Italia e che non esiste alcuna azione congiunta con con Xavier Niel.
OIL & UTILITY SOSTENGONO L’INDICE
Piazza Affari ha chiuso i battenti ieri prima dell’inversione di rotta ribassista del greggio. Di qui la buona performnace dei petroliferi che hanno sostenuto l’indice Ftse Mib: Eni +1,3%, promossa a Buy dal broker canadese Canaccord. Tenaris + 3,1%, Saipem invariata. Bene anche le utility: Enel ha guadagnato l’1,1%, Terna +3%.
SNAM E MONCLER UNICHE BLUE CHIPS CON IL SEGNO PIU’ A GENNAIO
Una citazione particolare la merita Snam: +1,8% a 4,9780 euro, a un passo dal recente record storico di 5,10 euro (13 gennaio), unica blue chip insieme a Moncler, ieri +1,62%, a registrare un guadagno dal primo gennaio ad oggi. Tra le note positive di giornata anche A2A (+1,1%), Atlantia (+1,9%) e Autogrill (+2,9%).
Nel lusso forte rimbalzo di Yoox (+4,3%) e di Luxottica (+2,37%). Ferragamo cade in ribasso dell’1%, declassata da Ubs a Sell.
COLPO DI ACCELERATORE PER FERRARI
Rimbalza dopo i forti ribassi Fiat Chrysler (+2,5%). Il vero sprint lo produce Ferrari (+8,5%) che, dopo quattro cali consecutivi (-15% dalla quotazione a Milano) si riporta a 38,80 euro, mettendo a segno il maggior rialzo giornaliero da quando è stata quotata in Borsa. BNP Paribas ha ribadito la raccomandazione Underweight, abbassando il prezzo obiettivo a 41 dollari (circa 37,70 euro). Tra gli altri industriali, Finmeccanica (+2,2%) e StM (+4%).